Utilizzo improprio dei permessi di cui alla legge 104/92 e licenziamento
L’utilizzo improprio dei permessi di cui alla legge 104/92 può giustificare il licenziamento del lavoratore.
È legittimo l’utilizzo dell’opera di un’agenzia investigativa qualora finalizzato a confermare i sospetti di un uso fraudolento dei permessi. Conferma questo orientamento una recente ordinanza della Corte di Cassazione (Cass. civ., Sez. lavoro, Ordinanza, 12/03/2024, n. 6468).
Cosa accade e cosa può fare il datore di lavoro di fronte ad un utilizzo dei permessi di cui alla legge 104/92 non coerente con le finalità della legge?
La fattispecie.
L’articolo 33 della legge 104/1992 comma 3 e 3 bis così stabilisce:
- Il lavoratore dipendente, pubblico o privato, ha diritto a fruire di tre giorni di permesso mensile retribuito coperto da contribuzione figurativa, anche in maniera continuativa, per assistere una persona con disabilità in situazione di gravità, che non sia ricoverata a tempo pieno, rispetto alla quale il lavoratore sia coniuge, parte di un’unione civile ai sensi dell’articolo 1, comma 20, della legge 20 maggio 2016, n. 76, convivente di fatto ai sensi dell’articolo 1, comma 36, della medesima legge, parente o affine entro il secondo grado. In caso di mancanza o decesso dei genitori o del coniuge o della parte di un’unione civile o del convivente di fatto, ovvero qualora gli stessi siano affetti da patologie invalidanti o abbiano compiuto i sessantacinque anni di età, il diritto è riconosciuto a parenti o affini entro il terzo grado della persona con disabilità in situazione di gravità. Fermo restando il limite complessivo di tre giorni, per l’assistenza allo stesso individuo con disabilità in situazione di gravità, il diritto può essere riconosciuto, su richiesta, a più soggetti tra quelli sopra elencati, che possono fruirne in via alternativa tra loro. Il lavoratore ha diritto di prestare assistenza nei confronti di più persone con disabilità in situazione di gravità, a condizione che si tratti del coniuge o della parte di un’unione civile di cui all’articolo 1, comma 20, della legge 20 maggio 2016, n. 76, o del convivente di fatto ai sensi dell’articolo 1, comma 36, della medesima legge o di un parente o affine entro il primo grado o entro il secondo grado qualora i genitori o il coniuge della persona con disabilità in situazione di gravità abbiano compiuto i 65 anni di età oppure siano anch’essi affetti da patologie invalidanti o siano deceduti o mancanti.
3-bis. Il lavoratore che usufruisce dei permessi di cui al comma 3 per assistere persona in situazione di handicap grave, residente in comune situato a distanza stradale superiore a 150 chilometri rispetto a quello di residenza del lavoratore, attesta con titolo di viaggio, o altra documentazione idonea, il raggiungimento del luogo di residenza dell’assistito”.
Quindi la legge 104/92 impone al datore di lavoro un sacrificio ed un limite alla propria attività ed alla naturale corrispettività del rapporto di lavoro, sacrificio finalizzato a ragioni di solidarietà sociale a favore del lavoratore chiamato ad assistere un proprio familiare gravemente invalido.
In sostanza, l’assenza dal lavoro e la mancata prestazione trovano ragione e giustificazione in base alla stretta attinenza con tale finalità.
Al di fuori di tali limiti, si concretizza una condotta del lavoratore idonea a determinate condizioni di gravità a giustificare il licenziamento.
L’ipotesi disciplinare.
L’orientamento della Corte di Cassazione e dei giudici di merito è quello di ravvisare l’ipotesi disciplinare del licenziamento, ogniqualvolta non sussista uno stretto nesso causale tra l’attività svolta dal lavoratore nel corso del permesso e le necessità dell’assistito.
Ciò significa in primo luogo che non sussiste il nesso causale allorquando il lavoratore utilizzi il permesso per riposarsi dall’attività di assistenza prestata. Non è pertanto consentito un riposo che potrebbe definirsi “compensativo” dell’assistenza prestata in altri momenti, Non sussiste inoltre in tutti i casi in cui il lavoratore utilizzi il tempo concessogli per finalità che alcuna attinenza hanno con l’opera di assistenza.
Sussiste invece, il nesso e la giustificazione laddove il dipendente risulti assente per effettuare compere o commissioni per conto dell’assistito.
Non sussiste l’ipotesi disciplinare allorquando il lavoratore si sia momentaneamente assentato per una necessità urgente ed imprevista.
L’ipotesi di utilizzo fraudolento dei permessi qualora grave per durata o intenzionalità o reiterazione, giustifica il licenziamento per giusta causa.
Minimi discostamenti tra tempo di assistenza e durata del permesso ove contenuti e non reiterati possono dar luogo a sanzioni disciplinari minori.
Si fa presente che anche la mancata comunicazione dell’avvenuto ricovero dell’assistito che in base all’articolo 33 fa venir meno il diritto all’assistenza può costituire mancanza disciplinare che nei casi più gravi può dar luogo anche al licenziamento.
Come procedere.
L’accertamento.
L’onere di provare l’utilizzo improprio dei permessi grava sul datore di lavoro.
Normalmente gli accertamenti è consigliabile siano affidati ad una agenzia investigativa.
Sul punto meritano attenzione alcune cautele.
Se l’agenzia investigativa non può verificare e controllare l’effettuazione della prestazione del dipendente, essa può invece indagare condotte truffaldine che arrechino pregiudizio all’azienda.
Quindi ben potrà l’agenzia investigativa verificare la presenza e l’attività del lavoratore in permesso per fornire l’assistenza di cui alla legge 104/92.
Si ritiene però da molte parti che l’attività investigativa sia comunque soggetta alla disciplina in materia di trattamento dei dati e quindi, secondo quanto disposto dall’articolo 4 n.1 e 2 del Regolamento 679/2016 – GDPR, l’investigatore potrà agire solo sulla base di concreti sospetti.
Si consiglia pertanto di dare atto di un tanto nella lettera con la quale viene conferito l’incarico all’agenzia investigativa sulla base di rilevati e concreti sospetti.
Alla fine della propria attività, l’investigatore dovrà redigere una relazione con i nominativi degli accertatori che potranno essere indicati in qualità di testi nell’eventuale procedimento di impugnazione del licenziamento.
La contestazione.
La procedura disciplinare di licenziamento è imperniata sulla lettera di contestazione che in apertura del procedimento deve essere inviata all’incolpato.
Si ricorda che per la validità del procedimento, la contestazione di addebito deve individuare in maniera chiara e specifica il fatto in merito al quale il lavoratore è chiamato a discolparsi.
Quindi dovranno essere indicate le giornate e l’ora di assenza dagli incombenti di cui alla legge 104/92 e preferibilmente anche le attività svolte in luogo della dovuta assistenza.
Molta attenzione dovrà essere posta alle giustificazioni poste dal lavoratore per verificare se siano idonee o meno a smentire l’esito degli accertamenti svolti.
Fabio Petracci