Permessi legge 104 ed attività accessorie all’assistenza
Con l’ordinanza n. 1227/2025 la Suprema Corte si pronuncia sul caso di un dipendente licenziato per aver fruito dei permessi ex legge n. 104/1992 in 5 diverse giornate ed aver dedicato al beneficiario soltanto un’ora al giorno, impiegando tutto il resto della giornata in attività personali sulla base delle risultanze di apposita attività investigativa.
Il lavoratore valorizzava lo svolgimento nel corso della giornata di incombenze esterne come l’acquisto di medicinali e di altri generi di prima necessità e che comunque era rimasto presso l’abitazione del beneficiario anche dopo che l’attività investigativa era terminata.
La Suprema Corte precisa che ai fini dell’interpretazione dell’art. 33, co. 3, L. n. 104/1992 va evidenziato che la nozione di diritto al permesso per assistenza a familiare disabile (e quella correlativa di “uso distorto” o “abuso del diritto” al permesso) implica un profilo non soltanto quantitativo, bensì anche – e soprattutto – qualitativo.
Sotto il profilo quantitativo va tenuto conto non soltanto delle prestazioni di assistenza diretta alla persona disabile, ma anche di tutte le attività complementari ed accessorie, comunque necessarie per rendere l’assistenza fruttuosa ed utile, nel prevalente interesse del disabile.
In questo senso devono rilevare le attività (e i relativi tempi necessari) finalizzate ad esempio all’acquisto di medicinali, al conseguimento delle relative prescrizioni dal medico di famiglia, all’acquisto di generi alimentari e di altri prodotti per l’igiene, la cura della persona e il decoro della vita del disabile, o infine alla possibile partecipazione di quest’ultimo ad eventi di relazione sociale, sportiva, religiosa etc.
Sotto il profilo qualitativo vanno valutate portata e finalità dell’intervento assistenziale (da parte del dipendente) in favore del familiare disabile, tenuto conto del complessivo contesto, anche relazionale, rispetto ad eventuali strutture sanitarie, pubbliche o private, presso le quali sia necessario espletare accertamenti o effettuare ricoveri.
Dunque deve essere accertato se la condotta contestata in via disciplinare al lavoratore abbia comunque preservato le finalità primarie dell’intervento assistenziale voluto dal legislatore, perché in tal caso il fatto contestato in termini di “uso distorto” o di “abuso del diritto” si rivelerebbe insussistente.
Nell’ambito di questa imprescindibile verifica non sono sufficienti meri dati quantitativi, ma occorre compiere una valutazione complessiva, sia quantitativa che qualitativa, della condotta tenuta dal lavoratore, tenendo altresì conto del contesto in cui quella condotta è stata tenuta.
Ne consegue che il c.d. abuso del diritto potrà configurarsi soltanto quando l’assistenza al disabile sia mancata del tutto, oppure sia avvenuta per tempi così irrisori oppure con modalità talmente insignificanti, da far ritenere vanificate le finalità primarie dell’intervento assistenziale voluto dal legislatore, in vista delle quali viene sacrificato il diritto del datore di lavoro ad ottenere l’adempimento della prestazione lavorativa.