Licenziamento – Giusta Causa – Previsione Contrattuale – Valutazione del Giudice.
La tipizzazione della giusta causa di licenziamento contenuta nelle disposizioni della contrattazione collettiva non si sottrae alla valutazione del giudice ai fini dell’apprezzamento della giusta causa.
L’insussistenza di una simile previsione non impedisce al giudicante un autonoma decisione in merito alla sussistenza della giusta causa di licenziamento.
Lo afferma una recente sentenza della Corte di Cassazione di cui si trascrive di seguito la motivazione.
Cass. civ. Sez. lavoro, 06/08/2020, n. 16784
Motivi della decisione
- Con particolare riferimento agli artt. 2119 e 2118 c.c., alla L. n. 604 del 1966,art. 3, agli artt. del c.c.n.l., occorre considerare che la giusta causa di licenziamento, quale fatto “che non consenta la prosecuzione, anche provvisoria, del rapporto”, è una nozione che la legge – allo scopo di un adeguamento delle norme alla realtà da disciplinare, articolata e mutevole nel tempo – configura con una disposizione (ascrivibile alla tipologia delle c.d. clausole generali) di limitato contenuto, delineante un modulo generico che richiede di essere specificato in sede interpretativa, mediante la valorizzazione sia di fattori esterni relativi alla coscienza generale, sia di principi che la stessa disposizione tacitamente richiama; è solo l’integrazione giurisprudenziale, a livello generale ed astratto, della nozione di giusta causa o di giustificato motivo soggettivo che si colloca sul piano normativo e consente una censura per violazione di legge; mentre l’applicazione in concreto del più specifico canone integrativo, così ricostruito, rientra nella valutazione di fatto devoluta al giudice di merito e non è censurabile in sede di legittimità se non per vizio di motivazione, (cfr. Cass. n. 7838 del 2005; Cass. n. 21214 del 2009; Cass. 6901 del 2016; Cass. n. 18715 del 2016); è stato precisato come il giudizio di proporzionalità o adeguatezza della sanzione dell’illecito commesso – istituzionalmente rimesso al giudice di merito – si sostanzia nella valutazione della gravità dell’inadempimento imputato al lavoratore in relazione al concreto rapporto e a tutte le circostanze del caso, dovendo tenersi al riguardo in considerazione la circostanza che tale inadempimento deve essere valutato in senso accentuativo rispetto alla regola generale della “non scarsa importanza” di cui all’art. 1455 c.c., sicchè l’irrogazione della massima sanzione disciplinare risulta giustificata soltanto in presenza di un notevole inadempimento degli obblighi contrattuali (L. n. 604 del 1966,art. 3) ovvero addirittura tale da non consentire la prosecuzione neppure provvisoria del rapporto (art. 2119 c.c.), (cfr. Cass. 28.5.2019 n. 14504, con richiamo a Cass. 18715 del 2016; Cass. n. 21965 del 2007; Cass., n. 25743 del 2007);
- In sostanza: in materia disciplinare, non è vincolante la tipizzazione contenuta nella contrattazione collettiva ai fini dell’apprezzamento della giusta causa di recesso, rientrando il giudizio di gravità e proporzionalità della condotta nell’attività sussuntiva e valutativa del giudice, purchè vengano valorizzati elementi concreti, di natura oggettiva e soggettiva, della fattispecie, coerenti con la scala valoriale del contratto collettivo, oltre che con i principi radicati nella coscienza sociale, idonei a ledere irreparabilmente il vincolo fiduciario (cfr., Cass. 7.11.2018 n. 28492, 9396/2018, Cass. 27238/2018).
- Tali principi sono stati riaffermati, da ultimo, da Cass. 16.7.2019 n. 19023, che ha evidenziato come l’elencazione delle ipotesi di giusta causa di licenziamento contenuta nei contratti collettivi ha, al contrario che per le sanzioni disciplinari con effetto conservativo, valenza meramente esemplificativa, sicchè non preclude un’autonoma valutazione del giudice di merito in ordine alla idoneità di un grave inadempimento o di un grave comportamento del lavoratore, contrario alle norme della comune etica o del comune vivere civile, a far venire meno il rapporto fiduciario tra datore di lavoro e lavoratore (cfr., in termini, Cass. n. 27004 del 2018 ed ivi le richiamate Cass. n. 14321 del 2017; Cass. n. 2830 del 2016 e Cass. n. 9223 del 2015); ne consegue che il giudice chiamato a verificare l’esistenza della giusta causa o del giustificato motivo soggettivo di licenziamento incontra solo il limite che non può essere irrogato un licenziamento per giusta causa quando questo costituisca una sanzione più grave di quella prevista dal contratto collettivo in relazione ad una determinata infrazione (id est: alla condotta contestata al lavoratore) (oltre Cass. n. 27004 del 2018 e Cass. n. 14321 del 2017 citate anche Cass. n. 6165 del 2016 e n. 19053 del 2005). In definitiva, la scala di valori recepita dai contratti collettivi esprime le valutazioni delle parti sociali in ordine alla gravità di determinati comportamenti e costituisce solo uno dei parametri a cui occorre fare riferimento per riempire di contenuto le clausole generali di giusta causa e giustificato motivo soggettivo. Queste ultime possono anche non coincidere completamente o esaurirsi nelle previsioni della contrattazione collettiva. Ne discende che il giudice deve verificare la condotta, in tutti gli aspetti soggettivi ed oggettivi che la compongono, anche al di là della fattispecie contrattuale prevista (Cass. n. 27004 del 2018, in motivazione, p. 7.5.).
- I medesimi principi risultano ribaditi, da ultimo, da Cass. 23.5.2019, nn. 14062 e 14063, laddove è stato affermato che le tipizzazioni delle fattispecie previste dal contratto collettivo nell’individuazione delle condotte costituenti giusta causa di recesso non sono vincolanti per il giudice, ma la scala valoriale formulata dalle parti sociali deve costituire uno dei parametri cui occorre fare riferimento per riempire di contenuto la clausola generale dell’art. 2119 c.c., e che “con la predisposizione del codice disciplinare, sebbene di solito in modo generico e meramente esemplificativo, l’autonomia collettiva individua infatti il limite di tollerabilità e la soglia di gravità delle violazioni degli artt. 2104 e 2105 c.c., in quel determinato momento storico ed in quel contesto aziendale. In tal senso, il codice disciplinare è stato richiamato dall’art. 7, dello statuto dei lavoratori in funzione di monito per il lavoratore e di garanzia di prevedibilità della reazione datoriale”. Pertanto, “pur non essendo vincolante la tipizzazione delle fattispecie previste dal contratto collettivo nell’individuazione delle condotte costituenti giusta causa di recesso, la scala valoriale ivi recepita deve costituire uno dei parametri cui occorre fare riferimento per riempire di contenuto la clausola generale dell’art. 2119 c.c., e le parti ben potranno sottoporre il risultato di tale valutazione cui è pervenuto il giudice di merito all’esame di questa Corte sotto il profilo della violazione del parametro integrativo della clausola generale costituito dalle previsioni del codice disciplinare” (cfr. Cass. 1463/2019 cit.).
- Con riguardo al caso oggetto della presente controversia, la contestazione aveva riguardo a specifica ipotesi prevista dalla contrattazione collettiva in tema di licenziamento senza preavviso ed il disvalore espresso dalla condotta tipizzata (“assenze ingiustificate per cinque volte nel periodo di un anno”) è stato ritenuto parificabile a quella del comportamento tenuto dal lavoratore quale risultato provato in causa (quattro assenze in periodo bimestrale, al netto di condotte non contestate o punite con precedente sanzione conservativa).
- Nè può ritenersi che il corredo difensivo del lavoratore, apprestato per l’addebito rapportato alla fattispecie richiamata nel c.c.n.l., in concreto contestata e posta a fondamento del recesso senza preavviso, fosse tale da non coprire anche la fattispecie ritenuta verificatasi in concreto, rispetto alla quale il giudice del merito ha espresso le proprie valutazioni in relazione alla riconducibilità della stessa alla nozione di giusta causa, sempre avendo presente il parametro integrativo della clausola generale costituito dalle previsioni del codice disciplinare, in coerenza con i principi giurisprudenziali espressi da questa Corte sopra richiamati.
- Peraltro, deve considerarsi che, con riguardo ad una pluralità di fatti contestati, quali devono ritenersi le assenze ingiustificate addebitate al lavoratore in numero di cinque, anche una condotta che si concreti nella parziale realizzazione, ma pur sempre rilevante in termini quantitativi, della fattispecie addebitata, può ben costituire la base idonea per giustificare la medesima sanzione, a meno che colui che ne abbia interesse, non provi che solo presi in considerazioni tutti i fatti congiuntamente per la loro complessiva gravità, essi siano tali da non consentire la prosecuzione, neppure provvisoria, del rapporto di lavoro. A ciò consegue che, salvo questo specifico caso, ove nel giudizio di merito emerga l’infondatezza di uno o più degli addebiti contestati, gli addebiti residui conservino la loro astratta idoneità a giustificare il licenziamento (cfr., per ipotesi sia pure non del tutto parificabili, ma per l’affermazione di principi di carattere generale, Cass. 30.5.2014 n. 12195, Cass. 2.2.2009 n. 2579, Cass. 14.1.2003 n. 454).
- Vero è che potrebbe nella fattispecie in esame pur sempre osservarsi, come del resto evidenziato dal ricorrente, che le parti collettive abbiano previsto sanzioni conservative, via via più gravi (dall’ammonizione alla sospensione) per ipotesi di assenze ingiustificate dal lavoro (“non si presenti al lavoro o si presenti in ritardo senza giustificato motivo”), arrivando a configurare, in ipotesi, quale fattispecie rilevante ai fini dell’applicazione di sanzione meramente conservativa anche quella di assenze ingiustificate inferiori a cinque. Tuttavia, nella specie la dimostrata concentrazione delle quattro assenze in un periodo bimestrale, e, sia pure prescindendo dal riferimento ad una molteplicità di contestazioni precedenti – alcune delle quali non prese in considerazione dal giudice di primo grado per irregolarità formali -, quanto meno la precedente e contigua condotta non contestata quale recidiva e punita quale semplice ritardo con la multa, “ancorchè fosse emerso dal foglio presenze che l’assenza risultasse per tutta la giornata, come del resto ammesso nella lettera datata 1.01.2015, dimessa dallo stesso appellante” (così a pag. 16 della sentenza impugnata), sono state correttamente valutate quale comportamento rilevante, sia sul piano soggettivo, sia sul piano oggettivo, ai fini dell’apprezzamento della gravità dei fatti contestati.
- In definitiva, la condotta contestata nei termini in cui è risultata provata in causa, proprio avendo riguardo alla scala valoriale contenuta nel c.c.n.l. – le cui previsioni disciplinari costituiscono, per quanto detto, il parametro integrativo della clausola generale – è stata ritenuta integrare la fattispecie più grave, sanzionata con il licenziamento, in quanto parificabile in termini di disvalore sociale alla fattispecie tipizzata dal c.c.n.l., anzichè all’ipotesi, anche nella sua massima gravità, presidiata da sanzione solo conservativa.
- Alle svolte considerazioni consegue l’assorbimento del ricorso incidentale, proposto dalla società condizionatamente all’accoglimento del ricorso principale, con il quale sono dedotte violazione dell’art. 12 preleggi, e dell’art. 88 c.c.n.l. 2008-2014 e motivazione inesistente, con riguardo alla mancata considerazione di assenze al lavoro non adeguatamente valutate ai fini della integrazione della fattispecie disciplinarmente rilevante quale contestata ed anche in relazione alla erronea ritenuta mancanza di rituale e tempestiva contestazione disciplinare.
- In conclusione, deve pervenirsi al rigetto del ricorso principale, che determina l’assorbimento dell’incidentale condizionato.
- Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza del ricorrente principale e sono liquidate in dispositivo.