Pubblico Impiego – azione disciplinare – Sospensione Cautelare – assenza di provvedimento disciplinare – restitutio in integrum – spetta.

Corte di Cassazione Sezione Lavoro n.4411 del 18.2.2021.

Un dipendente pubblico è imputato di peculato. Viene sospeso in base all’articolo 4 della legge n.97/2001 che impone in tali fattispecie di reati e di condanna anche non definitiva per taluni reati contro la Pubblica Amministrazione la sospensione cautelare del dipendente, con la precisazione che il provvedimento perde efficacia in caso di successivo proscioglimento o assoluzione o dopo il decorso di un termine pari al periodo di prescrizione del reato. L’accusa alla fine cade per intervenuta prescrizione. Il dipendente si dimette e non viene perseguito disciplinarmente.

Egli pertanto nei diversi gradi di giudizio, richiede il pagamento delle somme non percepite in quanto oggetto di sospensione cautelare.

La Sezione Lavoro della Corte di Cassazione con la sentenza in esame precisa come la sospensione cautelare nel pubblico impiego tanto quella obbligatoria come nel caso di specie, tanto quella facoltativa prevista anche dalla contrattazione collettiva sono provvedimenti interinali funzionali alla successiva sanzione e, pertanto il venir meno di quest’ultima produce il venir meno degli effetti della sospensione anche sotto l’aspetto economico.

L’istituto della sospensione cautelare nel pubblico impiego ha trovato una prima disciplina nel D.P.R. n. 3 del 1957, per gli impiegati civili dello Stato, articoli da 91 a 99. Tali norme sono state richiamate per il personale delle Unità Sanitarie Locali dal D.P.R. 20 dicembre 1979, n. 761, art. 51, comma 1. Dopo la privatizzazione, con la stipula dei contratti collettivi, la regolamentazione è stata fissata dalla contrattazione collettiva, secondo quanto disposto dall’attuale DLGS 165/2001 artt. 69 e 71.

Alle ipotesi di sospensione cautelare previste da tali fonti si è aggiunta una sospensione di carattere speciale e di natura obbligatoria legata alla condanna per specifici reati. La relativa disciplina è stata fissata dalla L. 27 marzo 2001, n. 97, art. 4,

Nella fattispecie in esame la sospensione è stata disposta ai sensi dell’art. 4 della suddetta L. n. 97 del 2001; la norma sancisce la sospensione obbligatoria del dipendente di amministrazioni o enti pubblici (nonchè degli enti a prevalente partecipazione pubblica) in caso di condanna, anche non definitiva, per alcuno dei più gravi delitti contro la pubblica amministrazione. Tra essi figura il delitto di peculato, per il quale il dipendente in questione veniva condannato dal Tribunale penale, procedimento che poi nelle successive fasi processuali diveniva oggetto di prescrizione.

L’art. 4 cui si è fatto cenno stabilisce la inefficacia della sospensione a seguito sia alla sentenza di assoluzione che a quella di proscioglimento. Tale ultima espressione individua le sentenze di non doversi procedere per ragioni processuali, tra le quali è compresa la sentenza di estinzione del reato per prescrizione. Il legislatore del 2001 nell’introdurre la normativa attuale mediante la legge 97/2001, ha recepito sul punto i principi enunciati dalla Corte costituzionale nella sentenza 3 giugno 1999 n. 206, nell’offrire l’interpretazione conforme a Costituzione della disciplina allora contenuta nella L. n. 55 del 1990, art. 15, comma 4 septies.

La sentenza di cui in epigrafe è stata chiamata a definire, cessati gli effetti della sospensione obbligatoria, la sorte della obbligazione retributiva che fa carico al datore di lavoro pubblico.

In riferimento alla sospensione facoltativa disposta a seguito di procedimento penale – a norma del D.P.R. n. 3 del 1957, art. 91 o secondo la regolamentazione della contrattazione collettiva, la Suprema Corte con orientamento consolidato (fra le altre, Cass. nn. 5147/2013, 15941/2013, 26287/2013, 13160/2015, 9304/2017, 10137/2018, 20708/2018, 7657/2019, 9095/2020) ed in linea con i principi affermati dalla giurisprudenza amministrativa (C.d.S., Ad plen. 28.2.2002 n. 2) e costituzionale (Corte Cost. 6 febbraio 1973 n. 168), ha chiarito che la sospensione cautelare, in quanto misura interinale, ha il carattere della provvisorietà e della rivedibilità, nel senso che solo al termine e secondo l’esito del procedimento disciplinare si potrà stabilire se la sospensione preventiva applicata resti giustificata e debba sfociare nella destituzione o nella sospensione disciplinare, ovvero debba venire caducata a tutti gli effetti. In particolare, ogni qualvolta la sanzione disciplinare non venga inflitta o ne sia irrogata una di natura ed entità tali da non giustificare la sospensione sofferta sorge il diritto alla restitutio in integrum, che ha natura retributiva e non risarcitoria, e ciò a prescindere dalla espressa previsione della legge o della contrattazione collettiva.

Si è ritenuto, dunque, che in caso di omissione del procedimento disciplinare anche l’eventuale condanna penale intervenuta nei confronti del dipendente non sia suscettibile di tenere ferma la sospensione cautelare dal servizio disposta in corso del procedimento penale e stabilita dalla amministrazione in via discrezionale, non potendosi ammettere una conversione della misura in una sanzione di identico contenuto.

Per quanto attiene invece la cessazione dal servizio intervenuta nel corso del procedimento disciplinare, la legge DLGS 165/2001 all’articolo 55 bis , comma 9, prevede che la cessazione del rapporto con la pubblica amministrazione (non il trasferimento ad un’altra amministrazione) provoca la cessazione del procedimento disciplinare, salvo il caso di licenziamento disciplinare ed il caso in cui sia in corso la sospensione cautelare e la decisione in sede disciplinare porti alla irrogazione del provvedimento disciplinare cui la stessa è finalizzata.

Dunque, nel caso di specie, l’Amministrazione avrebbe potuto portare a termine il procedimento disciplinare anche di fronte al trasferimento del dipendente al fine di mantenere l’efficacia della sospensione cautelare, cosa che non ha fatto e quindi, secondo la Cassazione citata il provvedimento ha perso ogni effetto.

Fabio Petracci

Licenziamento – reintegra – ferie – spettano. Corte di Giustizia Europea Sentenza del 25/6/2020 Prima Sezione – Cause riunite C-762/18 e C-37/19

Le ferie si maturano anche in caso di licenziamento illegittimo.

 Lo afferma la Corte di Giustizia dell’Unione Europea.

La decisione ha ad oggetto un licenziamento illegittimo che determina la reintegra del lavoratore il quale essendo rimasto forzatamente assente chiede il riconoscimento del periodo di ferie maturate dalla data del recesso e la reintegrazione, sul presupposto che detto periodo debba a tutti gli effetti essere riconosciuto quale periodo di effettivo lavoro.
A tale riguardo, la Corte di Giustizia afferma che in caso di licenziamento, successivamente dichiarato illegittimo, le ferie maturate nel periodo compreso tra il recesso e la reintegrazione del dipendente nel suo posto di lavoro, deve essere assimilato ad un periodo di lavoro effettivo ai fini della determinazione delle ferie maturate o in alterativa, laddove per qualsivoglia ragione non possa fruirne, ad un’indennità sostitutiva delle stesse. Ciò in quanto, non avere potuto svolgere la propria prestazione, rientra tra i motivi indipendenti dalla volontà del dipendente.

Contratto di somministrazione e contratto a termine illegittimi – risarcimento del danno – pubblica amministrazione – applicazione dei criteri risarcitori comuni del diritto del lavoro.

Cassazione n.3815 del 15.2.2021.

Di fronte ad un contratto di somministrazione a tempo determinato instaurato con l’INPS la Corte di Cassazione con sentenza n.3815 del 15.2.2021 nel ribadire l’insussistenza di un diritto del lavoratore alla ricostituzione del rapporto di lavoro con la pubblica amministrazione, afferma invece il pieno diritto del lavoratore ad ottenere retroattivamente e per il passato la conversione del rapporto di lavoro alle dipendenze dell’utilizzatore ed a tempo indeterminato ai fini e quindi il risarcimento del danno nei termini di cui all’allora vigente articolo 32 comma 5 L.183/2010 ed attuale articolo 28 comma 2 del DLGS 165/2001 (da 2,5 a 12 mensilità).

La sentenza appare d’interesse in quanto oltre a considerare il predetto danno (danno comunitario) come non soggetto all’onere della prova, considera come possibile nel caso delle pubbliche amministrazioni, la sussistenza di un ulteriore danno, in merito al quale l’onere della prova incomberà sul lavoratore. La stessa sentenza inoltre meglio definisce e differenzia la natura del danno cosiddetto comunitario nel caso del dipendente privato e di quello pubblico, così testualmente affermando:

 “Ciò non dà luogo ad una posizione di favore del dipendente pubblico rispetto al lavoratore privato, atteso che per il primo l’indennità forfetizzata agevola l’onere probatorio del danno subito pur rimanendo salva la possibilità di provare un danno maggiore mentre per il lavoratore privato essa funge da limite al danno risarcibile, ma questa restrizione è bilanciata dal diritto alla conversione del rapporto di lavoro, insussistente nel lavoro pubblico”

La pronuncia qui menzionata trova le proprie ragioni nella precedente Cassazione n.3189/2019 e nella precedente autorevole pronuncia delle Sezioni Unite n.5072/2016.

 

 

 

Pubblico Impiego. Festività soppresse e Ferie – monetizzazione.

E’ richiesto all’ARAN un parere in merito alla monetizzazione delle festività soppresse nell’ambito del comparto delle Amministrazioni Centrali (già Comparto Ministeri).

Nello specifico si chiede se sia possibile monetizzare le giornate di riposo ex L. n. 937/1977 nel caso di mancato godimento nell’anno di maturazione, precedente all’anno di cessazione del rapporto di lavoro, qualora non godute dal dipendente per causa diversa dai motivi di servizio (es. malattia o altro oggettivo impedimento)?

 

L’ articolo  28 del CCNL di comparto fa riferimento alle ferie ed al recupero delle festività soppresse, stabilendo che:

  1. Il dipendente ha diritto, in ogni anno di servizio, ad un periodo di ferie retribuito. Durante tale periodo al dipendente spetta la normale retribuzione ivi compresa l’indennità di posizione organizzativa, esclusi i compensi per le prestazioni di lavoro straordinario, nonché le indennità che richiedano lo svolgimento della prestazione lavorativa e quelle che non siano corrisposte per dodici mensilità.
  2. In caso di distribuzione dell’orario settimanale di lavoro su cinque giorni, la durata delle ferie è di 28 giorni lavorativi, comprensivi delle due giornate previste dall’ art. 1, comma 1, lettera “a”, della L. 23 dicembre 1977, n. 937.
  3. In caso di distribuzione dell’orario settimanale di lavoro su sei giorni, la durata del periodo di ferie è di 32 giorni, comprensivi delle due giornate previste dall’ art. 1, comma 1, lettera “a”, della L. 23 dicembre 1977, n. 937.
  4. Per i dipendenti assunti per la prima volta in una pubblica amministrazione, a seconda che l’articolazione oraria sia su cinque o su sei giorni, la durata delle ferie è rispettivamente di 26 e di 30 giorni lavorativi, comprensivi delle due giornate previste dai commi 2 e 3.
  5. Dopo tre anni di servizio, ai dipendenti di cui al comma 4 spettano i giorni di ferie stabiliti nei commi 2 e 3.
  6. A tutti i dipendenti sono altresì attribuite quattro giornate di riposo da fruire nell’anno solare ai sensi ed alle condizioni previste dalla menzionata legge n. 937/77.
  7. Nell’anno di assunzione o di cessazione dal servizio la durata delle ferie è determinata in proporzione dei dodicesimi di servizio prestato. La frazione di mese superiore a quindici giorni è considerata a tutti gli effetti come mese intero.
  8. Il dipendente che ha usufruito dei permessi retribuiti di cui agli artt. 31 e 33 conserva il diritto alle ferie.
  9. Le ferie sono un diritto irrinunciabile, non sono monetizzabili. Esse sono fruite, previa autorizzazione, nel corso di ciascun anno solare, in periodi compatibili con le esigenze di servizio, tenuto conto delle richieste del dipendente. Le ferie non possono essere fruite ad ore.
  10. L’amministrazione pianifica le ferie dei dipendenti al fine di garantire la fruizione delle stesse nei termini previsti dalle disposizioni contrattuali vigenti.
  11. Le ferie maturate e non godute per esigenze di servizio sono monetizzabili solo all’atto della cessazione del rapporto di lavoro, nei limiti delle vigenti norme di legge e delle relative disposizioni applicative.
  12. Compatibilmente con le esigenze del servizio, il dipendente può frazionare le ferie in più periodi. Esse sono fruite nel rispetto dei turni di ferie prestabiliti, assicurando comunque, al dipendente che ne abbia fatto richiesta, il godimento di almeno due settimane continuative nel periodo 1 giugno – 30 settembre.
  13. Qualora le ferie già in godimento siano interrotte o sospese per motivi di servizio, il dipendente ha diritto al rimborso delle spese documentate per il viaggio di rientro in sede e per quello di ritorno al luogo di svolgimento delle ferie. Il dipendente ha inoltre diritto al rimborso delle spese anticipate per il periodo di ferie non godute.
  14. In caso di indifferibili esigenze di servizio che non abbiano reso possibile il godimento delle ferie nel corso dell’anno, le ferie dovranno essere fruite entro il primo semestre dell’anno successivo.
  15. In caso di motivate esigenze di carattere personale e compatibilmente con le esigenze di servizio, il dipendente dovrà fruire delle ferie residue al 31 dicembre entro il mese di aprile dell’anno successivo a quello di spettanza.
  16. Le ferie sono sospese da malattie adeguatamente e debitamente documentate che si siano protratte per più di tre giorni o abbiano dato luogo a ricovero ospedaliero. E’ cura del dipendente informare tempestivamente l’amministrazione, ai fini di consentire alla stessa di compiere gli accertamenti dovuti.
  17. Fatta salva l’ipotesi di malattia non retribuita di cui all’art. 37, comma 2, il periodo di ferie non è riducibile per assenze dovute a malattia o infortunio, anche se tali assenze si siano protratte per l’intero anno solare. In tal caso, il godimento delle ferie deve essere previamente autorizzato dal dirigente in relazione alle esigenze di servizio, anche oltre i termini di cui ai commi 14 e 15.

 

Come è dato a vedere è espressamente il comma 6 che disciplina l’istituto delle festività soppresse di cui alla legge 937/1977.

Per il resto la clausola contrattuale si occupa dell’istituto delle ferie cui è attribuita natura irrinunciabile.

Il parere dell’ARAN osserva come, l’istituto delle festività soppresse di cui alla L. n. 937/1977 appare fondamentalmente equiparato a quello dei congedi ordinari (rectius, ferie) sin dalla nota sentenza del Consiglio di Stato del 20/10/1986 n. 802.

Osserva l’ARAN come in via preliminare tuttavia, permangano delle sostanziali differenze in ordine alla disciplina ad esse applicabile.

Il parere passa quindi ad esaminare il contenuto dell’articolo 28 del CCNL comparto Funzioni Centrali del 12/02/2018 che non ha operato una equiparazione piena tra il regime delle quattro giornate di festività soppresse e quello generale delle ferie, dato che questa è limitata solo ad alcuni particolari profili della disciplina (come ad es. la maturazione di giorni nel corso dell’anno e l’importo dovuto al lavoratore in caso di mancata fruizione).

Ne è riprova, a detta dell’ARAN, che il comma 6 stabilisce almeno in parte, una disciplina specifica laddove afferma che i giorni di riposo per festività soppresse sono: “…da fruire nell’anno solare ai sensi ed alle condizioni previsti dalla menzionata Legge n.973/77”.

Pertanto, ritiene l’ARAN nel suo parere, tale riferimento contrattuale consente di affermare che, in ossequio alla L. n. 937/1977, le giornate di riposo devono essere fruite esclusivamente nell’anno di riferimento e che, conseguentemente, non è possibile in alcun modo la trasposizione di quelle maturate in un determinato anno all’anno successivo a quello di maturazione. In aggiunta a ciò, rileva l’ARAN, la medesima disposizione di legge sancisce che la monetizzazione delle stesse può avvenire solo “per fatto derivante da motivate esigenze inerenti alla organizzazione dei servizi, …” (cfr. art. 1, comma 3, della citata legge).

In conclusione, ribadisce l’ARAN, l’eventuale monetizzazione delle festività in parola (il cui importo rimane quello indicato dall’art. 1, comma 3, della L. n. 937/1977) potrà ammettersi solo nei ristretti e precisi limiti consentiti.

Sul punto giova citare il discorso dell’irrinunciabilità delle ferie e del diritto alla relativa indennità sostitutiva.

In proposito si è di recente pronunciata la Corte di Cassazione con l’ordinanza n.13613 del 2 luglio 2020 laddove in conformità a due pronunce della Corte di Giustizia Europea , la Cassazione ritiene che affinchè si determini la perdita del diritto alla monetizzazione, il datore di lavoro, nell’inerzia del lavoratore, è tenuto ad invitarlo, anche formalmente al godimento delle ferie.

Pubblico Impiego Sanità. La remunerazione delle guardie mediche spetta anche al personale non appartenente al Servizio di Pronto Soccorso

Viene posto all’ARAN il quesito se la remunerazione prevista per i medici di guardia al Servizio di Pronto Soccorso in base all’articolo 26, comma 5 del CCNL dell’Area Sanità, spetti pure al personale medico di altri reparti adibiti al turno di pronto soccorso.

 

Ritiene l’ARAN, interpellata, che il comma 5 dell’articolo 26 non fa riferimento alcuno alla struttura di appartenenza del dirigente medico chiamato a coprire il turno di guardia, riferendosi esclusivamente al turni nei servizio di pronto soccorso.

 

Per completezza, viene trascritta di seguito la citata normativa contrattuale.

 

Art. 26 Servizio di guardia 1.Nelle ore notturne e nei giorni festivi, la continuità assistenziale e le urgenze/emergenze dei servizi ospedalieri e, laddove previsto, di quelli territoriali, sono assicurate tenuto conto delle diverse attività di competenza della presente area dirigenziale nonché dell’art. 6 bis, comma 2 (Organismo paritetico), mediante: a) il dipartimento di emergenza, se istituito, eventualmente integrato, ove necessario da altri servizi di guardia o di pronta disponibilità; b) la guardia di unità operativa o tra unità operative appartenenti ad aree funzionali omogenee e dei servizi speciali di diagnosi e cura; c) la guardia nei servizi territoriali ove previsto. 2. Il servizio di guardia è svolto all’interno del normale orario di lavoro. E’ fatto salvo quanto previsto dal presente CCNL in materia di prestazioni aggiuntive di cui all’art. 115 comma 2 (Tipologie di attività libero professionale intramuraria). Di regola, sono programmabili non più di 5 servizi di guardia notturni al mese per ciascun dirigente. 3.Il servizio di guardia è assicurato da tutti i dirigenti esclusi quelli di struttura complessa. 4. Le parti, a titolo esemplificativo, rinviano all’allegato n. 2 del CCNL 3.11.2005 dell’Area IV e III con riferimento alla sola dirigenza sanitaria e delle professioni sanitarie per quanto attiene le tipologie assistenziali minime nelle quali dovrebbe essere prevista la guardia di unità operativa.

  1. La remunerazione delle guardie notturne e/o festive svolte in Azienda o Ente dopo aver detratto da quelle fuori dell’orario di lavoro il numero, non superiore al 12%, delle guardie complessive retribuibili ai sensi dell’art. 115 comma 2 bis (Tipologie di attività libero professionale intramuraria) è stabilita in € 100,00 per ogni turno di guardia notturno e/o festivo in orario e fuori dell’orario di lavoro e in € 120,00 per i medesimi turni nei servizi di pronto soccorso. Tale compenso, che è corrisposto a decorrere dal mese successivo alla data di entrata in vigore del presente CCNL, comprende ed assorbe l’indennità prevista dall’art. 98, comma 1, (Indennità per servizio notturno e festivo) che pertanto non compete per i soli turni di guardia. 44 Qualora si proceda al pagamento delle ore di lavoro straordinario per l’intero turno di guardia notturno e/o festivo prestato fuori dell’orario di lavoro, non si dà luogo all’erogazione del suddetto compenso. Detto compenso compete, invece, per le guardie fuori dell’orario di lavoro che diano luogo al recupero dell’orario eccedente.
  2. Per la corretta determinazione dei turni di guardia notturni da calcolare si rinvia all’allegato 1 del CCNL del 5.7. 2006 dell’Area IV e III con riferimento alla sola dirigenza sanitaria e delle professioni sanitarie. Resta fermo che la prestazione di turni di guardia notturna fuori dell’orario di lavoro dovrà avvenire nel rispetto, tra l’altro, della normativa vigente in materia di riposo giornaliero di cui in particolare al D.Lgs. n. 66/2003 e s.m.i.

 

Segretari Comunali – Clausola di Galleggiamento. Articolo 41 comma 5 CCNL Segretari Comunali 16.5.2001.

L’ articolo 41, comma 5, del contratto dei segretari comunali prevede un meccanismo che garantisce che l’indennità di posizione dei segretari comunali non può essere inferiore a quella stabilita per la funzione dirigenziale più elevata nell’ente. Trattasi della cosiddetta clausola di galleggiamento.

Nel corso di una causa avviata davanti al Giudice del Lavoro di Ferrara si è posta la questione se l’allineamento dovesse valere anche in relazione a quella del dirigente a tempo determinato assunto ai sensi dell’articolo 110 del DLGS 267/2000 oppure se essa debba intendersi limitata alla funzione dirigenziale con rapporto di lavoro a tempo indeterminato.

Il Giudice del Lavoro del Tribunale di Ferrara ritenendo di non avere gli strumenti normativi in base all’articolo 64 del DLGS 165/2001 ha investito dell’interpretazioni della clausola le parti contrattuali.

Queste ultime hanno sottoscritto l’ipotesi di accordo di interpretazione autentica dell’articolo 41 comma 5 del CCNL Segretari Comunali.

Le parti contrattuali hanno chiarito che la previsione di cui all’articolo 41 , comma 5 del richiamato CCNL possa trovare applicazione anche confrontando la retribuzione di posizione del dirigente assunto con contratto a tempo determinato sempre che la retribuzione di posizione dello stesso sia stata determinata esclusivamente entro i limiti di importo e nel pieno rispetto delle norme previste dalla disciplina contrattuale della Dirigenza degli Enti Locali, a seguito della preventiva graduazione e pesatura della posizione dirigenziale.

Dunque in base alla cosiddetta clausola di galleggiamento, l’indennità di posizione del segretario comunale potrà essere rapportata a quella del dirigente apicale anche se assunto con contratto a tempo determinato ex articolo 110 DLGS 267/2000.

 

Fabio Petracci

PARERE Lavoratore autonomo e professionista con cassa propria che opera in prestazione coordinata e continuativa: pagamento dei contributi e diritto alla pensione in caso di mancato pagamento dei contributi

Mi viene richiesto il seguente parere:

Nel caso del lavoratore autonomo e nel caso del professionista con cassa propria che opera in prestazione coordinata e continuativa – in particolare, nel caso dell’infermiere che ha anche un contratto di collaborazione coordinata e continuativa, ad esempio, con una casa di risposo – su chi ricadono gli obblighi della contribuzione? E, nel caso in cui questi obblighi non siano adempiuti, quali sono le conseguenze, e quali sono le conseguenze sul diritto alla prestazione pensionistica?

Fornisco di seguito il parere:

  1. Il lavoratore autonomo

I lavoratori autonomi di cui all’art. 53 del DPR 917/1986, i titolari di rapporti di collaborazione coordinata e continuativa e gli incaricati di vendita a domicilio – se si tratta della loro attività abituale, ancorché non esclusiva, ma anche se l’attività di lavoro autonomo è occasionale e il loro reddito annuo supera i 5.000 euro – sono tenuti, ex art. 2 commi 26-32 della legge 335/1995, ad iscriversi alla gestione separata dell’INPS.

L’obbligo di iscrizione alla gestione separata è esteso ad altre categorie di lavoratori, quali assegnisti e dottorandi di ricerca (legge 240/2010 e 315/1998), gli spedizionieri doganali (legge 230/1997), e associati in partecipazione di cui agli art. 2549 e segg. del codice civile (legge 326/23003).

I professionisti lavoratori autonomi iscritti in albi professionali e con cassa previdenziale propria, invece, sono invece esclusi dall’iscrizione alla gestione separata.

La prestazione del lavoratore può dirsi coordinata e continuativa, quindi, qualora non si tratti di un’attività occasionale o episodica, e deve essere resa nell’ambito di un rapporto di lavoro a favore di un determinato soggetto, senza l’uso di mezzi organizzati, di proprietà del lavoratore, e senza che l’attività rientri nei compiti già attribuiti ad un lavoratore subordinato, con retribuzione predefinita e periodica.

Infatti, il Tribunale di Roma sez. Lavoro nella sentenza 24.03.2020 (S.I.E. Società Iniziative Editoriali S.p.a. c. INPGI) ha enunciato che in tali rapporti di lavoro autonomo “l’obbligo di contribuzione richiede solo che si provi che la collaborazione abbia i caratteri della continuità e collaborazione, e quindi: a) la prestazione si personale o almeno prevalentemente personale, nel senso che l’apporto personale deve essere prevalente rispetto a quello di eventuali collaboratori del collaboratore e dell’eventuale impiego di mezzi propri; b) la prestazione sia continuativa, ossia non meramente occasionale, ma perduri nel tempo ed importi un impegno costante; c) la prestazione si svolga in coordinamento con il committente e sia diretta al conseguimento delle finalità di questi”.

La legge 183/2010 dispone che l’omesso versamento dei contributi previdenziali nelle forme e nei termini previsti della legge, dei 2/3 a carico del datore di lavoro, configura l’ipotesi di cui all’articolo 2 del DL 463/1983, comportando l’applicazione di una sanzione pecuniaria a carico del datore stesso, ma la prestazione pensionistica al lavoratore verrà versata comunque.

  1. Il professionista con cassa previdenziale propria

Come anticipato sopra, l’iscrizione alla gestione separata dell’INPS non è applicabile ai professionisti iscritti in albi professionali e con cassa previdenziale propria, quali ad esempio avvocati o infermieri, qualora inseriti in un rapporto con prestazione coordinata e continuativa, che invece versano integralmente i loro contributi a tale cassa e non alla gestione separata dell’INPS.

Nel caso in cui il professionista, nel caso di specie un infermiere, abbia un rapporto di prestazione lavorativa coordinata e continuativa con il committente, ad esempio una casa di riposo per anziani, l’obbligo di contribuzione alla cassa previdenziale ENPAPI grava per 1/3 sull’infermiere e per 2/3 sul committente (articolo 3 del D. lgs. 103/1996). I committenti sono tenuti quindi ad inviare la denuncia contributiva mediante la procedura DARC e ad effettuare il versamento della contribuzione complessivamente dovuta, anche per la quota a carico del collaboratore.

Le sanzioni per chi non paga ENPAPI sono previste dagli articoli 10 e 11 del regolamento della Cassa stessa. Vengono applicate, quindi, agli iscritti che pagano i contributi in ritardo, oppure che pagano un importo inferiore al dovuto, o che non inviano o inviano in ritardo la dichiarazione del reddito professionale, o inviano una comunicazione del reddito professionale infedele, e dipendono dalla tipologia del mancato adempimento e dal ritardo. Per la riscossione dei contributi insoluti, ENPAPI può avvalersi di procedure ingiuntive ed esecutive previste dalla legge.

Inoltre, chi non è in regola con gli adempimenti non può partecipare ai bandi previdenziali dell’ente, e non può accedere a borse di studio per i figli e a supporto per l’acquisto di una casa e per l’avvio dell’attività professionale.

La natura obbligatoria del pagamento permette all’ente di avvalersi in ogni tempo, per l’attività di vigilanza, della conoscenza del reddito imponibile dell’iscritto, attraverso i dati della Amministrazione finanziaria oppure di altri soggetti pubblici e privati.

Pubblico Impiego – reiterazione contratti a termine – maggiore anzianità di servizio – spettanza. Cassazione 19.8.2020 n.17314.

Sostiene la Corte di Cassazione che se l’avvenuta stabilizzazione vale a tacitare la pretesa risarcitoria, lo stesso non valga per quanto riguarda l’anzianità di servizio maturata nel periodo di precariato che attiene ad una diversa pretesa ed è regolamentata dalla clausola 4 dell’Accordo Quadro sul rapporto a tempo determinato recepito nella direttiva 1999/70/CE.

Quindi, si dovrà riconoscere l’anzianità di servizio maturata al personale del comparto scuola assunto con contratti a termine reiterati ai fini della medesima progressione stipendiale prevista dal contratto per i dipendenti a tempo indeterminato.

 

Il dipendente che rinuncia alla pausa pranzo, ha diritto al controvalore pecuniario?

La Cassazione afferma che, stante la natura assistenziale e non retributiva dei buoni pasto, il diritto agli stessi viene meno qualora il dipendente rinunci a fruire della pausa pranzo. La Corte conferma così la statuizione della Corte d’Appello che aveva rigettato la domanda, di una dipendente ministeriale volta ad ottenere il pagamento del controvalore pecuniario dei buoni pasto non percepiti sul presupposto che, nell’arco temporale oggetto di causa, la ricorrente aveva volutamente rinunciato – con l’avallo della Amministrazione datrice alla pausa pranzo. La Cassazione afferma che il diritto alla fruizione dei buoni pasto ha natura assistenziale e non retributiva, finalizzata ad alleviare, in mancanza di un servizio mensa, il disagio di chi sia costretto, in ragione dell’orario di lavoro osservato, a mangiare fuori casa. Concetto questo contenuto anche nel CCNL applicabile al caso di specie, ove non risultano integrati gli estremi a cui la disciplina collettiva subordina il diritto alla prestazione.

Per beneficiare dell’aspettativa sindacale è necessario essere iscritti al sindacato che la richiede?

Il parere dell’ARAN:

Le aspettative sindacali non retribuite sono disciplinate all’art. 15 del CCNQ del 4 dicembre 2017 ( contratto quadro prerogative sindacali) il quale, al comma 1, individua i requisiti soggettivi che permettono di poter accedere a tale prerogativa sindacale ovvero essere dipendenti con rapporto di lavoro a tempo indeterminato o determinato ed essere dirigenti sindacali che ricoprono cariche in organismi direttivi statutari di associazioni sindacali rappresentative. Pertanto, la circostanza di essere iscritti o meno al sindacato non rileva ai fini della concessione della prerogativa purché il sindacato richiedente attesti – e a richiesta dimostri – che la persona per la quale l’aspettativa viene richiesta faccia parte dei propri organismi direttivi statutari.