Il DL 80/2021, Brunetta, alte professionalità, meritocrazia, assunzioni PNRR nella pubblica amministrazione.

D.L. 09/06/2021, n. 80

Misure urgenti per il rafforzamento della capacità amministrativa delle pubbliche amministrazioni funzionale all’attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR) e per l’efficienza della giustizia.

Pubblicato nella Gazz. Uff. 9 giugno 2021, n. 136.

 

Articolo 1 – comma 1 previsione per enti di assunzioni mirate al PNRR.

Si impone a ciascuna amministrazione l’individuazione di uno specifico fabbisogno per PNRR per ciascuna PA.

 

Per i reclutamenti di cui ai commi 4 e 5, ciascuna amministrazione, previa verifica di cui al presente comma, individua, in relazione ai progetti di competenza, il fabbisogno di personale necessario all’attuazione degli stessi. In caso di verifica negativa le Amministrazioni possono assumere il personale o conferire gli incarichi entro i limiti delle facoltà assunzionali verificate.

 

Comma 2 contratti a termine PNRR procedure, durata e risoluzioni speciali per l’attuazione del PNRR

 

  1. Al fine di accelerare le procedure per il reclutamento del personale a tempo determinato da impiegare per l’attuazione del PNRR, le amministrazioni di cui al comma 1, possono ricorrere alle modalità di selezione stabilite dal presente articolo. A tal fine, i contratti di lavoro a tempo determinato e i contratti di collaborazione di cui al presente articolo possono essere stipulati per un periodo complessivo anche superiore a trentasei mesi, ma non eccedente la durata di attuazione dei progetti di competenza delle singole amministrazioni e comunque non oltre il 31 dicembre 2026. Tali contratti indicano, a pena di nullità, il progetto del PNRR al quale è riferita la prestazione lavorativa e possono essere rinnovati o prorogati, anche per una durata diversa da quella iniziale, per non più di una volta. Il mancato conseguimento dei traguardi e degli obiettivi, intermedi e finali, previsti dal progetto costituisce giusta causa di recesso dell’amministrazione dal contratto ai sensi dell’articolo 2119 del codice civile

 

I contratti a termine potranno trasformarsi a tempo indeterminato con una riserva massima del 40%

 

  1. Al fine di valorizzare l’esperienza professionale maturata nei rapporti di lavoro a tempo determinato di cui ai commi 4 e 5, lettera b), le amministrazioni di cui al comma 1, prevedono, nei bandi di concorso per il reclutamento di personale a tempo indeterminato, una riserva di posti non superiore al 40 per cento, destinata al predetto personale che, alla data di pubblicazione del bando, abbia svolto servizio per almeno trentasei mesi.
  2. Fermo restando quanto stabilito ai commi 1 e 2 per le finalità ivi previste, le amministrazioni, previa verifica di cui al comma 1, possono svolgere le procedure concorsuali relative al reclutamento di personale con contratto di lavoro a tempo determinato per l’attuazione dei progetti del PNRR mediante le modalità digitali, decentrate e semplificate di cui all’articolo 10 del decreto-legge 1° aprile 2021, n. 44, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 maggio 2021, n. 76, prevedendo, oltre alla valutazione dei titoli ai sensi del citato articolo 10, lo svolgimento della sola prova scritta. Se due o più candidati ottengono pari punteggio, a conclusione delle operazioni di valutazione dei titoli e delle prove di esame, è preferito il candidato più giovane di età, ai sensi dell’articolo 3, comma 7, della legge 15 maggio 1997, n. 127.

 

Modifiche sono apportate anche all’articolo 7 del DLGS 165/2001 con la costituzione di un nucleo selezionato di consulenti cui attingere tramite gli elenchi della Funzione Pubblica inserito nel portale del reclutamento. Il comma 5 dell’articolo 1.

 

  1. Ai medesimi fini di cui al comma 1, il Dipartimento della funzione pubblica della Presidenza del Consiglio dei ministri, attraverso il portale del reclutamento di cui all’articolo 3, comma 7, della legge 19 giugno 2019, n. 56, istituisce due distinti elenchi ai quali possono iscriversi, rispettivamente:
  2. a) professionisti ed esperti per il conferimento incarichi di collaborazione con contratto di lavoro autonomo di cui all’articolo 7, comma 6, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165;
  3. b) personale in possesso di un’alta specializzazione per l’assunzione con contratto di lavoro a tempo determinato.
  4. Ciascun elenco è suddiviso in sezioni corrispondenti alle diverse professioni e specializzazioni e agli eventuali ambiti territoriali e prevede l’indicazione, da parte dell’iscritto, dell’ambito territoriale di disponibilità all’impiego. Le modalità per l’istituzione dell’elenco e la relativa gestione, l’individuazione dei profili professionali e delle specializzazioni, il limite al cumulo degli incarichi, le modalità di aggiornamento dell’elenco e le modalità semplificate di selezione comparativa e pubblica sono definite con decreto del Ministro per la pubblica amministrazione da adottarsi entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto, previa intesa con la Conferenza unificata di cui all’articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281.

La legge assicura criteri selettivi per l’inserimento negli elenchi e relativa selezione per gli incarichi.

Tutte le fasi della procedura di cui al presente comma sono tempestivamente pubblicate sul sito istituzionale di ciascuna amministrazione.

  1. Per il conferimento degli incarichi di cui al comma 5, lettera a), il decreto di cui al comma 6 individua quali requisiti per l’iscrizione nell’elenco:
  2. a) almeno cinque anni di permanenza nel relativo albo, collegio o ordine professionale comunque denominato;
  3. b) essere iscritto al rispettivo albo, collegio o ordine professionale comunque denominato;
  4. c) non essere in quiescenza.
  5. Il decreto di cui al comma 6, ai fini dell’attribuzione di uno specifico punteggio agli iscritti, valorizza le documentate esperienze professionali maturate, il possesso di titoli di specializzazione ulteriori rispetto a quelli abilitanti all’esercizio della professione, purché a essa strettamente conferenti. Le amministrazioni, sulla base delle professionalità che necessitano di acquisire, invitano, rispettando l’ordine di graduatoria almeno tre professionisti o esperti, e comunque in numero tale da assicurare la parità di genere, tra quelli iscritti nel relativo elenco e li sottopongono ad un colloquio selettivo per il conferimento degli incarichi di collaborazione.
  6. L’iscrizione negli elenchi di cui al comma 5, lettera b), avviene previo svolgimento di procedure idoneative svolte ai sensi dell’articolo 10 del decreto-legge 1° aprile 2021, n. 44, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 maggio 2021, n. 76, con previsione della sola prova scritta, alle quali consegue esclusivamente il diritto all’inserimento nei predetti elenchi in ordine di graduatoria, sulla base della quale le amministrazioni attingono ai fini della stipula dei contratti.
  7. Ai fini di cui al comma 5, lettera b), per alta specializzazione si intende il possesso della laurea magistrale o specialistica e di almeno uno dei seguenti titoli, in settori scientifici o ambiti professionali strettamente correlati all’attuazione dei progetti:
  8. a) dottorato di ricerca;
  9. b) documentata esperienza professionale continuativa, di durata almeno biennale, maturata presso enti e organismi internazionali ovvero presso organismi dell’Unione Europea.

 

 

Le amministrazioni titolari degli interventi di cui al PNRR possono richiedere che le procedure concorsuali siano organizzate dal Dipartimento della Funzione Pubblica assieme a FORMEZ:

 

 

  1. Per le amministrazioni pubbliche di cui al comma 1, le procedure concorsuali di cui al comma 4 possono essere organizzate dal Dipartimento della funzione pubblica della Presidenza del Consiglio dei ministri ai sensi del comma 3-quinquies dell’articolo 4 del decreto-legge 31 agosto 2013, n. 101, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 ottobre 2013, n. 125, anche avvalendosi dell’Associazione Formez PA e del portale del reclutamento di cui all’articolo 3, comma 7, della legge 19 giugno 2019, n. 56. Nel bando è definito il cronoprogramma relativo alle diverse fasi di svolgimento della procedura

 

 

L’articolo 2 prevede l’avvio di progetti di lavoro formativi nell’ambito della pubblica amministrazione, mediante contratti di formazione e lavoro e quindi anche tramite l’istituto dell’apprendistato.

 

 

Art. 2. Misure urgenti per esperienze di formazione e lavoro professionalizzanti per giovani nella pubblica amministrazione

In vigore dal 10 giugno 2021

  1. Nelle more della attuazione della previsione di cui all’articolo 47, comma 6, del decreto legislativo 15 giugno 2015, n. 81, con decreto del Ministro per la pubblica amministrazione, di concerto con il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, il Ministro della istruzione, il Ministro della università e della ricerca e il Ministro per le politiche giovanili, previa intesa con la Conferenza Stato-Regioni di cui all’articolo 3 del decreto legislativo n. 281 del 1997, è consentita l’attivazione di specifici progetti di formazione e lavoro nelle pubbliche amministrazioni per l’acquisizione, attraverso contratti di apprendistato di cui agli articoli 4445 del decreto legislativo 15 giugno 2015, n. 81, di competenze di base e trasversali, nonché per l’orientamento professionale da parte di diplomati e di studenti universitari. A tal fine è istituito, a decorrere dall’anno 2021, un apposito fondo presso lo stato di previsione del Ministero dell’economia e delle finanze per il successivo trasferimento al bilancio autonomo della Presidenza del Consiglio dei Ministri, gestito dal Dipartimento della funzione pubblica, con una dotazione di euro 700.000 per l’anno 2021 e di euro 1.000.000 a decorrere dall’anno 2022 che costituisce limite di spesa.
  2. Agli oneri derivanti dal presente articolo, pari a euro 700.000 per l’anno 2021 e a euro 1.000.000 a decorrere dall’anno 2022 si provvede mediante corrispondente riduzione del Fondo per interventi strutturali di politica economica di cui all’articolo 10, comma 5, del decreto legge 29 novembre 2004, n. 282convertito, con modificazioni, dalla legge 27 dicembre 2004, n. 307.

 

 

 

Importanti interventi riguardano l’inquadramento del personale pubblico e le progressioni di carriera con significative modifiche all’articolo 52 del DLGS 165/2001.

Sono codificate le aree di inquadramento del personale che ammontano a 3 oltre ad una quarta area che sarà introdotta per il tramite della contrattazione collettiva e che riguarderà il personale ad alta professionalità non dirigente, quello che potrebbe intendersi un’area quadri.

 

 

Art. 3. Misure per la valorizzazione del personale e per il riconoscimento del merito

  1. All’articolo 52, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165il comma 1-bis, è sostituito dal seguente:
    «1-bis. I dipendenti pubblici, con esclusione dei dirigenti e del personale docente della scuola, delle accademie, conservatori e istituti assimilati, sono inquadrati in almeno tre distinte aree funzionali. La contrattazione collettiva individua, una ulteriore area per l’inquadramento del personale di elevata qualificazione.

 

Altrettanto importante è la previsione contenuta al comma 1, laddove è consentito in funzione prettamente meritocratica , il passaggio di area non più tramite concorso, come se si trattasse di una nuova assunzione, ma nella misura del 50% tramite procedura comparativa secondo principi di selettività, in funzione delle capacità culturali e professionali, della qualità dell’attività svolta e dei risultati conseguiti, attraverso l’attribuzione di fasce di merito.

Dunque, il superamento della rigida regola concorsuale quale barriera tra le aree professionali.

 

Le progressioni all’interno della stessa area avvengono secondo principi di selettività, in funzione delle capacità culturali e professionali, della qualità dell’attività svolta e dei risultati conseguiti, attraverso l’attribuzione di fasce di merito. Fatta salva una riserva di almeno il 50 per cento delle posizioni disponibili destinata all’accesso dall’esterno, le progressioni fra le aree avvengono tramite procedura comparativa basata sulla valutazione positiva conseguita dal dipendente negli ultimi tre anni di servizio, sull’assenza di provvedimenti disciplinari, sul possesso di titoli professionali e di studio ulteriori rispetto a quelli previsti per l’accesso all’area, nonché sul numero e sulla tipologia degli incarichi rivestiti. All’attuazione del presente comma si provvede nei limiti delle risorse destinate ad assunzioni di personale a tempo indeterminato disponibili a legislazione vigente.».

 

 

Nuove regole anche per l’accesso dall’area apicale a quella della dirigenza  per il tramite della scuola nazionale dell’amministrazione.


1-ter. Fatta salva la percentuale non inferiore al 50 per cento dei posti da ricoprire, destinata al corso-concorso selettivo di formazione bandito dalla Scuola nazionale dell’amministrazione, ai fini di cui al comma 1, una quota non superiore al 30 per cento dei posti residui disponibili sulla base delle facoltà assunzionali autorizzate è riservata, da ciascuna pubblica amministrazione al personale in servizio a tempo indeterminato, in possesso dei titoli di studio previsti a legislazione vigente e che abbia maturato almeno cinque anni di servizio nell’area o categoria apicale. Il personale di cui al presente comma è selezionato attraverso procedure comparative bandite dalla Scuola nazionale dell’amministrazione, che tengono conto della valutazione conseguita nell’attività svolta, dei titoli professionali, di studio o di specializzazione ulteriori rispetto a quelli previsti per l’accesso alla qualifica dirigenziale, della tipologia e del numero degli incarichi rivestiti con particolare riguardo a quelli inerenti agli incarichi da conferire e sono volte ad assicurare la valutazione delle capacità, attitudini e motivazioni individuali. A tal fine, i bandi definiscono le aree di competenza osservate e prevedono prove scritte e orali di esclusivo carattere esperienziale, finalizzate alla valutazione comparativa e definite secondo metodologie e standard riconosciuti. A questo scopo, sono nominati membri di commissione professionisti esperti nella valutazione delle suddette dimensioni di competenza, senza maggiori oneri.».

 

Nuove regole anche per i concorsi di accesso alla dirigenza con specializzazione delle competenze per aree

  1. All’articolo 28-bis, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, dopo il comma 3 è inserito il seguente: «3-bis. Al fine di assicurare la valutazione delle capacità, attitudini e motivazioni individuali, i concorsi di cui al comma 3 definiscono le aree di competenza osservate e prevedono prove scritte e orali, finalizzate alla valutazione comparativa, definite secondo metodologie e standard riconosciuti. A questo scopo, sono nominati membri di commissione professionisti esperti nella valutazione delle suddette dimensioni di competenza, senza maggiori oneri.».

Le innovazioni apportate in materia di accesso alla dirigenza  sono considerate principi fondamentali ai sensi dell’articolo 117 della Costituzione e pertanto non potranno essere modificate dalle regioni.

Nuove regole anche in tema di mobilità con modifiche all’articolo 30 del DLGS 165/2001, permettendo anche il superamento del previo assenso dell’amministrazione di appartenenza.

  1. All’articolo 30, comma 1, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, sono apportate le seguenti modificazioni:
  2. a) le parole «previo assenso dell’amministrazione di appartenenza» sono soppresse;
  3. b) dopo il primo periodo sono inseriti i seguenti: «E’ richiesto il previo assenso dell’amministrazione di appartenenza nel caso in cui si tratti di posizioni motivatamente infungibili, di personale assunto da meno di tre anni o qualora la suddetta amministrazione di appartenenza abbia una carenza di organico superiore al 20 per cento nella qualifica corrispondente a quella del richiedente. E’ fatta salva la possibilità di differire, per motivate esigenze organizzative, il passaggio diretto del dipendente fino ad un massimo di sessanta giorni dalla ricezione dell’istanza di passaggio diretto ad altra amministrazione. Le disposizioni di cui ai periodi secondo e terzo non si applicano al personale delle aziende e degli enti del servizio sanitario nazionale, per i quali è comunque richiesto il previo assenso dell’amministrazione di appartenenza. Al personale della scuola continuano ad applicarsi le disposizioni vigenti in materia.»

 

E’ inoltre valorizzato per l’ingresso nei livelli di alta specializzazione il dottorato di ricerca.

  1. All’articolo 35 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165sono apportate le seguenti modificazioni:
  2. a) al comma 3, la lettera e-ter) è sostituita dalla seguente:

«e-ter) possibilità di richiedere, tra i requisiti previsti per specifici profili o livelli di inquadramento di alta specializzazione, il possesso del titolo di dottore di ricerca. In tali casi, le procedure individuano tra le aree dei settori scientifico-disciplinari individuate ai sensi dell’articolo 17, comma 99, della legge 15 maggio 1997, n. 127, afferenti al titolo di dottore di ricerca, quelle pertinenti alla tipologia del profilo o livello di inquadramento.»;

  1. b) il comma 3-quater è abrogato.
  2. All’articolo 4 della legge 3 luglio 1998, n. 210, sono apportate le seguenti modificazioni:
  3. a) al comma 1, sono aggiunte, alla fine, le seguenti parole: «, anche ai fini dell’accesso alle carriere nelle amministrazioni pubbliche nonché dell’integrazione di percorsi professionali di elevata innovatività»;
  4. b) al comma 2, al primo periodo, le parole «e da qualificate istituzioni italiane di formazione e ricerca avanzate» sono soppresse e, al terzo periodo, le parole «, nonché le modalità di individuazione delle qualificate istituzioni italiane di formazione e ricerca di cui al primo periodo,» sono soppresse.
  5. All’articolo 2, comma 5, della legge 21 dicembre 1999, n. 508, le parole «formazione alla ricerca» sono sostituite dalle seguenti: «dottorato di ricerca»

 

Quindi i successivi articoli 4 e 5 rafforzano il ruolo del FORMEZ e della Scuola della Pubblica Amministrazione.

 

E’ inoltre introdotto mediante l’articolo 6 il piano integrato di attività e di organizzazione che dovrà essere adottato dagli enti pubblici con più di 50 dipendenti, eccettuato il settore della scuola.

E’ previsto che il piano abbia durata triennale e deve definire gli obiettivi della performance, del lavoro agile, e della completa alfabetizzazione digitale ed i piani relativi alle progressioni di carriera del personale.

 

Così si legge all’articolo 6:

 

Art. 6. Piano integrato di attività e organizzazione

In vigore dal 10 giugno 2021

  1. Per assicurare la qualità e la trasparenza dell’attività amministrativa e migliorare la qualità dei servizi ai cittadini e alle imprese e procedere alla costante e progressiva semplificazione e reingegnerizzazione dei processi anche in materia di diritto di accesso, le pubbliche amministrazioni, con esclusione delle scuole di ogni ordine e grado e delle istituzioni educative, di cui all’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, con più di cinquanta dipendenti, entro il 31 dicembre 2021 adottano il Piano integrato di attività e organizzazione, di seguito denominato Piano, nel rispetto delle vigenti discipline di settore e, in particolare, del decreto legislativo 27 ottobre 2009, n. 150e della legge 6 novembre 2012, n. 190.
  2. Il Piano ha durata triennale, viene aggiornato annualmente e definisce:
  3. a) gli obiettivi programmatici e strategici della performance secondo i principi e criteri direttivi di cui all’articolo 10, del decreto legislativo 27 ottobre 2009, n. 150;
  4. b) la strategia di gestione del capitale umano e di sviluppo organizzativo, anche mediante il ricorso al lavoro agile, e gli obiettivi formativi annuali e pluriennali, finalizzati al raggiungimento della completa alfabetizzazione digitale, allo sviluppo delle conoscenze tecniche e delle competenze trasversali e manageriali e all’accrescimento culturale e dei titoli di studio del personale correlati all’ambito d’impiego e alla progressione di carriera del personale;
  5. c) compatibilmente con le risorse finanziarie riconducibili al Piano di cui all’articolo 6 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, gli strumenti e gli obiettivi del reclutamento di nuove risorse e della valorizzazione delle risorse interne, prevedendo, oltre alle forme di reclutamento ordinario, la percentuale di posizioni disponibili nei limiti stabiliti dalla legge destinata alle progressioni di carriera del personale, anche tra aree diverse, e le modalità di valorizzazione a tal fine dell’esperienza professionale maturata e dell’accrescimento culturale conseguito anche attraverso le attività poste in essere ai sensi della lettera b);
  6. d) gli strumenti e le fasi per giungere alla piena trasparenza dell’attività e dell’organizzazione amministrativa nonché per raggiungere gli obiettivi in materia di anticorruzione;
  7. e) l’elenco delle procedure da semplificare e reingegnerizzare ogni anno, anche mediante il ricorso alla tecnologia e sulla base della consultazione degli utenti, nonché la pianificazione delle attività inclusa la graduale misurazione dei tempi effettivi di completamento delle procedure effettuata attraverso strumenti automatizzati;
  8. f) le modalità e le azioni finalizzate a realizzare la piena accessibilità alle amministrazioni, fisica e digitale, da parte dei cittadini ultrasessantacinquenni e dei cittadini con disabilità;
  9. g) le modalità e le azioni finalizzate al pieno rispetto della parità di genere, anche con riguardo alla composizione delle commissioni esaminatrici dei concorsi.
  10. Il Piano definisce le modalità di monitoraggio degli esiti, con cadenza periodica, inclusi gli impatti sugli utenti, anche attraverso rilevazioni della soddisfazione dell’utenza mediante gli strumenti di cui al decreto legislativo 27 ottobre 2009, n. 150, nonché del monitoraggio dei procedimenti attivati ai sensi del decreto legislativo 20 dicembre 2009, n. 198.
  11. Le pubbliche amministrazioni di cui al comma 1 del presente articolo pubblicano il Piano e i relativi aggiornamenti entro il 31 dicembre di ogni anno sul proprio sito istituzionale e lo inviano al Dipartimento della funzione pubblica della Presidenza del Consiglio dei ministri per la pubblicazione sul relativo portale.
  12. Entro sessanta giorni dall’entrata in vigore del presente decreto, con uno o più decreti del Presidente della Repubblica, adottati ai sensi dell’articolo 17, comma 2, della legge 23 agosto 1988, n. 400, previa intesa in sede di Conferenza unificata di cui all’articolo 9, comma 2, del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, sono individuati e abrogati gli adempimenti relativi ai piani assorbiti da quello di cui al presente articolo.
  13. Entro il medesimo termine di cui al comma 4, il Dipartimento della funzione pubblica della Presidenza del Consiglio dei ministri, previa intesa in sede di Conferenza unificata di cui all’articolo 9, comma 2, del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, adotta un Piano tipo, quale strumento di supporto alle amministrazioni di cui al comma 1. Nel Piano tipo sono definite modalità semplificate per l’adozione del Piano di cui al comma 1 da parte delle amministrazioni con meno di cinquanta dipendenti.
  14. In caso di mancata adozione del Piano trovano applicazione le sanzioni di cui all’articolo 10, comma 5, del decreto legislativo 27 ottobre 2009, n. 150, ferme restando quelle previste dall’articolo 19, comma 5, lettera b), del decreto-legge 24 giugno 2014, n. 90(2), convertito, con modificazioni, dalla legge 11 agosto 2014, n. 114.
  15. All’attuazione delle disposizioni di cui al presente articolo le amministrazioni interessate provvedono con le risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente.

 

Quindi, il successivo articolo 7 prevede specifiche modalità di reclutamento per il personale di area apicale che dovrà coordinare gli interventi del PNRR

 

Art. 7. Reclutamento di personale nelle amministrazioni assegnatarie di progetti

  1. Per la realizzazione delle attività di coordinamento istituzionale, gestione, attuazione, monitoraggio e controllo del PNRR di cui al decreto-legge 31 maggio 2021, n. 77, entro trenta giorni dall’entrata in vigore del presente decreto, il Dipartimento della funzione pubblica della Presidenza del Consiglio dei ministri indice un concorso pubblico ai sensi dell’articolo 1, comma 4, per il reclutamento di un contingente complessivo di cinquecento unità di personale non dirigenziale a tempo determinato per un periodo anche superiore a trentasei mesi, ma non eccedente la durata di completamento del PNRR e comunque non oltre il 31 dicembre 2026, da inquadrare nell’Area III, posizione economica F1, nei profili professionali economico, giuridico, informatico, statistico-matematico, ingegneristico, ingegneristico gestionale, delle quali 80 unità da assegnare, per i profili indicati nella tabella 1, di cui all’Allegato IV al presente decreto, al Ministero dell’economia e delle finanze-Dipartimento della ragioneria generale dello Stato, e le restanti da ripartire con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, adottato su proposta del Ministro dell’economia e delle finanze, tra le amministrazioni centrali deputate allo svolgimento delle predette attività, individuate dal medesimo decreto del Presidente del Consiglio dei ministri. Con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro dell’economia e delle finanze, si provvede alla individuazione delle amministrazioni di cui all’articolo 8, comma 1, del decreto-legge 31 maggio 2021, n. 77.
  2. Le graduatorie del concorso di cui comma 1 rimangono efficaci per la durata di attuazione del PNRR e sono oggetto di scorrimento in ragione di motivate esigenze fino a ulteriori 300 unità a valere sulle vigenti facoltà assunzionali.
  3. Le assunzioni di personale di cui al comma 1, da selezionare anche avvalendosi della Commissione per l’attuazione del progetto di riqualificazione delle pubbliche amministrazioni di cui all’articolo 35, comma 5, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, sono effettuate in deroga ai limiti di spesa di cui all’articolo 9, comma 28, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122e non sono computate ai fini della consistenza della dotazione organica.
  4. Per le attività di monitoraggio e rendicontazione del PNRR di cui all’articolo 6, del decreto-legge 31 maggio 2021, n. 77, il Dipartimento della Ragioneria Generale dello Stato può avvalersi di un contingente di esperti di comprovata qualificazione professionale fino a un importo massimo di euro 50.000 lordi annui per singolo incarico, entro il limite di spesa complessivo di euro 167.000 per l’anno 2021 e di euro 500.000 per ciascuno degli anni 2022, 2023, 2024, 2025 e 2026. Al fine di assicurare la più efficace e tempestiva attuazione degli interventi del PNRR, nello stato di previsione del Ministero dell’economia e delle finanze è istituito un fondo da ripartire con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro dell’economia e delle finanze con una dotazione di euro 2.668.000 per l’anno 2021 e di euro 8.000.000 per ciascuno degli anni 2022, 2023, 2024, 2025 e 2026 per le restanti amministrazioni di cui al comma 1 che possono avvalersi, di un contingente di esperti di comprovata qualificazione professionale nelle materie oggetto degli interventi per un importo massimo di 50.000 euro lordi annui per singolo incarico. Gli incarichi di cui al presente comma sono conferiti ai sensi dell’articolo 7, comma 6, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165e con le modalità di cui all’articolo 1 per la durata massima di trentasei mesi.
  5. Il Dipartimento della Ragioneria Generale dello Stato assicura la formazione del personale assunto ai sensi del comma 1. A tal fine è autorizzata la spesa di euro 865.000 per l’anno 2021.
  6. Per l’attuazione delle disposizioni di cui al presente articolo è autorizzata la spesa di euro 12.600.000 per l’anno 2021 e di euro 35.198.000 per gli anni dal 2022 al 2026. Ai relativi oneri si provvede mediante corrispondente riduzione dello stanziamento del Fondo speciale di parte corrente iscritto, ai fini del bilancio triennale 2021 – 2023, nell’ambito del programma «Fondi di riserva e speciali», della missione «Fondi da ripartire» dello stato di previsione del Ministero dell’economia e delle finanze per l’anno 2021, allo scopo parzialmente utilizzando l’accantonamento del medesimo Ministero.

 

Dello stesso tenore il successivo articolo 8 che prevede le modalità di reclutamento di personale per attività di controllo, audit, anticorruzione e trasparenza, nonché l’articolo 9 che prevede il conferimento di incarichi professionali connessi a tali attività.

 

I successivi articoli riguardano invece l’assunzione di personale presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri (articolo 10)  e di seguito da 1 a 17 l’assunzione e la gestione del personale addetto all’ufficio per il processo.

 

Fabio Petracci.

Avvocatura pubblica e processo

Professionisti dipendenti da pubblica amministrazione.

Avvocatura di ente pubblico – cessazione dal servizio di avvocato –

Conseguenze sui procedimenti in corso – prosecuzione del professionista oltre alla data di cessazione dal servizio – inammissibilità.

 

Corte dei Conti Sezione Regionale di Controllo per la Campania – Parere depositato in data 12.5.2021.

 

Un comune ha alle proprie dipendenze un avvocato che sta seguendo un procedimento in essere in corso del quale si verifica il pensionamento del professionista dipendente.

Il Comune interpella la locale sezione di controllo della Corte dei Conti per conoscere se il legale potrà continuare nel proprio mandato sino alla cessazione della causa e se, in caso di continuazione, potrà essere retribuito dal comune medesimo.

La risposta al quesito che la Corte dei Conti è totalmente negativa e ne verificheremo il perché.

La Corte dei Conti prende le mosse del proprio ragionamento dall’articolo 85 del codice di procedura civile che disciplina la procura conferita al legale. In caso di revoca della stessa o di rinuncia del legale, essa conserva valenza sino alla nomina del nuovo legale e ciò per evidenti ragioni di speditezza processuale.

Lo stesso, afferma la Corte non avviene nel caso di cessazione dal servizio dell’avvocato pubblico dipendente, in quanto al rapporto di rappresentanza sottintende quello di servizio.

Conformemente si sono espresse in diversi contesti diverse sentenze della Suprema Corte fra le tante Cassazione n.27308/2018, Cassazione n.25638/2016).

Quindi, la cessazione del rapporto di impiego determina l’automatico venir meno della legittimazione a compiere atti processuali, ricorrendo una fattispecie assimilabile a quella dell’articolo 301 del codice di procedura civile che disciplina la morte, la radiazione e la sospensione dell’avvocato.

In effetti le conclusioni paiono esatte dal momento che il difensore pubblico dipendente cessato dal servizio cessa automaticamente dall’iscrizione all’albo speciale degli avvocati dipendenti pubblici.

Quanto al compenso, ritiene la Corte dei Conti come il professionista in questione avrà diritto esclusivamente ai compensi per l’attività maturata e svolta effettivamente sino alla data della cessazione dal servizio.

 

Avvocato Fabio Petracci

Nuove regole per i concorsi pubblici

Si appresta un periodo ricco di assunzioni nell’ambito delle pubbliche amministrazioni.

E’ prevista e programmata per la gran parte l’assunzione di personale con specifiche e spesso elevate professionalità per quella che dovrebbe essere la pubblica amministrazione che darà luogo alla ripresa del nostro paese, cessata la pandemia.

Le nuove regole sono contenute nel DL 44/2021 che in parte innova alle regole concorsuali contenute nel DPR 487/1994.

In pratica le prove scritte sono ridotte ad una cui si accompagnerà una prova scritta.

Viene istituzionalizzato l’uso dei mezzi informatici nell’ambito di tutte le prove.

E’ stabilito che acquistano peso nella selezione preliminare, ma anche nella valutazione finale i titoli legalmente riconosciuti e le esperienze maturate e riconosciute.

E’ prevista infatti che per i profili qualificati dalle amministrazioni, in sede di bando come ad elevata specializzazione tecnica, una fase di valutazione dei titoli legalmente riconosciuti e strettamente correlati alla natura e alle caratteristiche delle posizioni bandite, ai fini dell’ammissione a successive fasi concorsuali.

E’ inoltre previsto che detti titoli e l’eventuale esperienza professionale maturata, inclusi i titoli di servizio, possono concorrere, in misura non superiore ad un terzo, alla formazione del punteggio finale.

La norma sul punto riprende e rafforza quanto già in proposito previsto dalla legge 56/2019 all’articolo 6. ( legge concretezza).

La nuova disposizione convertita nella legge 74/2021 tende ad ampliare l’ambito concorsuale oltre le basi nozionistiche della prova scritta per introdurvi una valutazione molto più ampia della professionalità che avvicina in qualche modo il concorso pubblico alla selezione svolta dalle imprese.

In fase di conversione del provvedimento, sono state avanzate numerose critiche al peso conferito in sede di valutazione ai titoli legalmente riconosciuti ed a quelli professionali, in quanto in molti hanno ritenuto che in questo modo, sarebbero stati penalizzati i più giovani che difficilmente possiedono simili referenze.

Quindi in fase di conversione è stato nuovamente introdotto il limite del peso di un terzo per questi requisiti limite già previsto nel DPR 487/1994.

In sostanza è stata introdotta una procedura concorsuale finalizzata all’assunzione delle professionalità più elevate nell’ambito delle Pubbliche Amministrazioni.

Stante la complessità delle procedure concorsuali spesso foriere di defatiganti contenziosi, alcuni punti della normativa andrebbero chiariti.

In primo luogo, si vuol capire se trattasi di una procedura opzionale come appariva nel decreto prima della conversione, oppure di una disposizione cogente.

Propenderei per la prima ipotesi, dal momento che le disposizioni facoltative della legge sono espressamente indicate come tali.

Inoltre se, la valutazione dei titoli in sede preliminare pare riservata alle professionalità specifiche ed elevate indicate nel bando, tale precisazione non è affatto estesa alla valutazione finale di titoli ed esperienze contenuti nella misura di un terzo nell’ambito della valutazione finale.

Fabio Petracci.

Pubblico Impiego – Sanzioni Disciplinari. Ufficio Procedimenti disciplinari.

Cassazione n.13911/2021

Il titolare può delegare ad altri dipendenti addetti alla struttura amministrativa dell’ufficio l’attività di istruttoria disciplinare, in quanto le competenze del titolare l’UPD restano circoscritte alle attività valutative r deliberative.

Lo afferma la Corte di cassazione con la sentenza n.13911/2021.

La Corte ha affermato che le norme sulla competenza non vanno confuse con le regole del procedimento per cui, ove risulti che quest’ultimo sia stato, comunque, gestito dal soggetto cui è attribuito il potere disciplinare, non ogni difformità rispetto alla previsione normativa, produce la nullità della sanzione, la quale è invece configurabile solo qualora l’interferenza di organi esterni all’UPD abbia determinato in senso decisivo e sostitutivo la compartecipazione di soggetto estraneo all’ufficio con conseguente ed inammissibile sostanziale trasferimento della competenza ad un diverso organo non competente ( Cassazione 11632/2016).

Va anche notato come gli atti del procedimento disciplinare siano ormai espressione di un potere privatistico del datore di lavoro (Cassazione 14200/2018) non avendo gli stessi natura amministrativa e non operando quindi i principi che in relazione agli atti autoritativi limitano la delega di funzioni.

L’istituzione dell’Ufficio per i Procedimenti disciplinari è sancita dall’articolo 55 bis del DLGS 165/2001 con il DLGS 75/2017 (Decreto Madia) la competenza dell’ufficio e quindi la sua necessaria partecipazione al procedimento disciplinare è stata estesa a tutte le procedure disciplinari ad eccezione di quelle dove è prevista la sanzione del rimprovero verbale.

Il comma 2 del DLGS 165/2001 prevede che ciascuna amministrazione nell’ambito della propria organizzazione è tenuta ad individuare l’ufficio per i procedimenti disciplinari per le infrazioni punibili con sanzione superiore al rimprovero verbale, attribuendone apposita titolarità e responsabilità.

Di fronte alle evidenti difficoltà per i piccoli enti soprattutto locali, la legge articolo 55 bis comma 3 prevede che le amministrazioni, previa convenzione, possono prevedere la gestione unificata delle funzioni dell’ufficio competente per i procedimenti disciplinari, senza maggiori oneri per la finanza pubblica.

La recente sentenza della Corte di Cassazione trova avvallo anche in precedente pronuncia della Corte stessa (Cassazione n.14200/2018).

Quest’ultima stabilisce che Nel pubblico impiego contrattualizzato, il titolare dell’ufficio dei procedimenti disciplinari può delegare a dipendenti esterni allo stesso il compimento di atti istruttori, facendone propri i risultati, purché detti atti non abbiano contenuto valutativo o decisorio ed il soggetto delegato offra garanzia di terzietà ed imparzialità, non essendo gli stessi soggetti ai limiti della delega di funzioni in quanto espressione del potere privatistico del datore di lavoro e non di quello pubblicistico.

Sempre in tema di Ufficio per i Procedimenti Disciplinari, Cassazione 9.1.2019 n.271 ha ritenuto come non sia necessaria la costituzione ex novo ed in maniera espressa di un ufficio destinato ai procedimenti disciplinari, essendo sufficiente che all’organo che ha inflitto la sanzione siano stati ufficialmente riconosciuti i relativi poteri e che esso garantisca idonea terzietà.

Nel caso di identificazione dell’Ufficio per i Procedimenti Disciplinari con la figura del direttore regionale dell’Agenzia delle Entrate è stata ritenuta garantire, stante la posizione di vertice di tale organo, il sufficiente distacco dalla struttura lavorativa alla quale era addetto il dipendente e dunque la terzietà dell’ufficio disciplinare (Cassazione n.20417/2019).

Chiarisce molti punti ed indirizzi Cassazione n.1753/2017 la quale afferma che in tema di pubblico impiego contrattualizzato, il principio di terzietà dell’ufficio dei procedimenti disciplinari ne postula la distinzione sul piano organizzativo con la struttura nella quale opera il dipendente, e non va confuso con la imparzialità dell’organo giudicante, che solo un soggetto terzo, rispetto al lavoratore ed alla P.A., potrebbe assicurare, laddove il giudizio disciplinare, sebbene connotato da plurime garanzie poste a difesa del dipendente, è comunque condotto dal datore di lavoro, ossia da una delle parti del rapporto. Ne consegue che qualora il suddetto ufficio abbia composizione collegiale, e sia distinto dalla struttura nella quale opera il dipendente sottoposto a procedimento, la terzietà dell’organo non viene meno solo perché sia composto anche dal soggetto che ha effettuato la segnalazione disciplinare.

Fabio Petracci.

CONVEGNO – Il procedimento disciplinare nei rapporti di lavoro pubblico e privato.

Pubblichiamo il video Youtube del convegno “Il procedimento disciplinare nei rapporti di lavoro pubblico e privato” organizzato dall’Ordine degli avvocati di Roma e tenutosi in diretta streaming il 25 maggio 2021 contenente l’intervento dell’avv. Petracci “La difesa ed il contraddittorio nel procedimento disciplinare” che ha inizio al minuto 1.14.13

Il contraddittorio nel procedimento disciplinare del lavoro pubblico e privato e la sua rilevanza nella fase processuale

  1. Considerazioni generali – Due diversi procedimenti disciplinari.

 

Nel trattare il tema è sicuramente utile premettere un breve esame della struttura del procedimento disciplinare nel lavoro privato e nel lavoro pubblico contrattualizzato.

 

  1. Nel lavoro alle dipendenze dei privati.

 

Nel lavoro alle dipendenze dei privati datori di lavoro, la procedura disciplinare era introdotta con lo statuto dei lavoratori che con l’articolo 7 inserito nel titolo I della libertà e della dignità del lavoratore, introduce , quella che è stata una rilevante innovazione per l’epoca, quale il diritto del lavoratore a conoscere le condotte destinate a dar luogo alla sanzione disciplinare e ad avere tempestiva contezza delle mancanze che gli venivano addebitate al fine di potersi adeguatamente difendere.

Nella sostanza un bilanciamento innovativo tra il potere imprenditoriale e la libertà e dignità del lavoratore.

In concreto, la semplice realizzazione dell’articolo 41 della carta costituzionale che vuole armonizzare la libertà organizzativa dell’impresa con la dignità umana.

 

  1. Nel lavoro contrattualizzato alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni.

Diversa invece la genesi e l’impostazione del sistema disciplinare nel lavoro pubblico contrattualizzato.

In tale ambito, diamo per scontato quanto posto dallo statuto dei lavoratori, ma è contestualmente considerata l’innovativa natura contrattuale del rapporto di lavoro, accanto alla quale come elemento di specialità, si vuole introdurre un impianto disciplinare funzionale ai principi di buon andamento della pubblica amministrazione contenuti nell’articolo 97 della carta costituzionale.

Quindi, in quest’ultimo caso, la tutela del lavoratore deve bilanciarsi con questo principio costituzionale, dove il buon andamento si coniuga oltre che con l’interesse della pubblica amministrazione che dovrebbe riflettere quello della comunità, anche con il principio di imparzialità contenuto nello stesso articolo 97.

La sintesi è data dall’impianto normativo contenuto nel testo unico del pubblico impiego agli articoli da 55 a 55 sexies.

Trattasi di un corpo di norme inderogabili improntate a principi di officialità, dove l’avvio dell’azione disciplinare è obbligatoria, a scanso di responsabilità del dirigente, dove sussiste l’obbligo dei dipendenti a collaborarvi.

Sussiste in tale ambito un principio di terzietà che tocca l’intera fase di applicazione della sanzione affidata ad apposito ufficio dei procedimenti disciplinari.

La fase segnalazione contestazione, difesa e decisione è scandita da termini definiti e precisi laddove il termine massimo per la segnalazione ed il termine finale per la conclusione del procedimento non possono essere superati a pena di nullità dell’intero procedimento.

Tornando all’esame della fase procedimentale e delle tutele difensive, le differenze delle impostazioni qui rilevate assisteranno le considerazioni che saranno di seguito svolte.

Notiamo in ogni caso che al rigore ed all’ufficialità della normativa corrispondono maggiori garanzie difensive per gli incolpati, come se in qualche modo, anche impropriamente, il procedimento disciplinare pubblico venisse ad avvicinarsi al processo penale.

Di seguito esamineremo le varie fasi dei procedimenti disciplinari rilevando le opportunità ed i limiti del contraddittorio nell’ambito del processo disciplinare.

 

  1. Fase delle indagini.

 

Con la sentenza n.16598 del 20.6.2019, la Corte di Cassazione ritiene legittime le indagini preliminari del datore di lavoro volte ad acquisire le prove del ritenuto illecito.

Di fronte alle obiezioni relative allo svolgimento delle indagini, inaudita altera parte, la corte ha ritenuto che il rispetto della regola del contraddittorio interessa solo la parte del procedimento disciplinare successiva alla contestazione.

Il principio è applicabile anche al procedimento disciplinare nell’ambito del pubblico impiego.

 

  1. La contestazione.

 

E’ questa la fase che consente l’avvio della procedura disciplinare e che pertanto deve consentire l’esercizio del diritto di difesa.

Quindi, la contestazione deve essere:

 

 

La reazione all’illecito posto in essere dal dipendente deve essere tempestiva a dimostrare l’interesse del datore di lavoro ed anche al fine di garantire all’incolpato una pronta e precisa ricostruzione dei fatti.

Nel rapporto di lavoro privatistico l’articolo 7 dello Statuto dei Lavoratori non stabilisce dei termini rigidi e quindi sarà il giudicante a valutare la tempestività.

La Cassazione con una recente pronuncia n.12193 del 22.6.2020, ha ritenuto come nel valutare l’immediatezza della contestazione, occorra tenere conto dei contrapposti interessi del datore di lavoro ad assumere sufficienti elementi a sostenere la contestazione e del lavoratore a difendersi su fatti recenti che egli sia in grado di trattare a livello difensivo.

Nel caso di specie, era ritenuta tardiva una contestazione effettuata all’esito di un procedimento penale conclusosi a lunga distanza dai fatti addebitati.

Nel procedimento disciplinare di cui al testo unico del pubblico impiego, è stabilito un termine di 10 giorni dalla conoscenza del fatto per la segnalazione all’ufficio incaricato dei procedimenti disciplinari, mentre quest’ultimo ha a disposizione un termine di 20 giorni per procedere alla contestazione.

 

 

  1. Specificità.

 

Al fine di consentire adeguata difesa, la contestazione deve contenere una dettagliata descrizione del fatto contestato al lavoratore, del luogo e del tempo in cui la condotta si è realizzata, oltre ad una precisa descrizione della stessa. Non sono imposti schemi rigidi e prestabiliti nella lettera di contestazione. Quest’ultima deve inoltre contenere l’invito a rendere le proprie giustificazioni nei termini di legge. Sul punto vedasi Cassazione 15 maggio 2014 n.10662.

 

  1. Immutabilità.

 

Una volta contestati dei fatti, sugli stessi sarà impostata tutta la procedura disciplinare.

Rilevanti mutamenti dei fatti addebitati risultano idonei a ledere il diritto di difesa. Ciò accade secondo la pronuncia della Cassazione n.28756 del 2019, allorquando sia intervenuta una sostanziale modifica del fatto addebitato tale da modificare sostanzialmente il fatto addebitato mediante il riferimento ad un quadro diverso da quello posto a fondamento della sanzione.

Un tanto non si verifica, allorquando siano dedotti fatti nuovi ma marginali rispetto al fatto contestato ( Cassazione 13.10.2020 n.22076).

Il principio delineato vale anche nell’ambito del procedimento disciplinare nel pubblico impiego.

 

  1. Giustificazione e Audizione.

 

  1. Chi può assistere l’incolpato?

 

E’ questa la fase dove principalmente si esplica il diritto di difesa.

Nel procedimento disciplinare del lavoro privato disciplinato dall’articolo 7 della legge 300/70 oltre che da eventuali norme contrattuali collettive, l’audizione dell’incolpato è solo eventuale e bene può il lavoratore limitarsi ad una difesa scritta.

Qualora il dipendente incolpato chieda di essere sentito, il datore di lavoro, a pena di nullità del procedimento, vi deve provvedere.

L’articolo 7 stabilisce che il lavoratore incolpato può chiedere di essere sentito con l’assistenza di un rappresentante sindacale.

Stante la disposizione, si è ritenuto che il dipendente incolpato non possa fari assistere da un legale.

La Corte di Cassazione con la pronunzia n.9305/2017 ha ritenuto non sussistere il diritto del lavoratore a rendere le proprie giustificazioni orali in presenza di un avvocato.

In particolare, quanto allo svolgimento del procedimento disciplinare ex Art. 7, St. lav. (L. 300/1970), la Corte Suprema ha avuto modo di precisare come, in occasione dell’audizione orale, il diritto del lavoratore ad essere assistito da un rappresentante sindacale esaurisca le tutele previste dal legislatore per siffatto procedimento. Ciò significa, allora, che il datore di lavoro ha la semplice facoltà, ma non l’obbligo, di ascoltare il lavoratore in presenza di un avvocato, anche quando, per i medesimi fatti oggetto di contestazione disciplinare, il dipendente sia stato chiamato a rispondere nell’ambito di un procedimento penale.

Secondo i giudici della Cassazione, infatti, procedimento disciplinare e procedimento penale attengono a sfere di interessi giuridici diversi, per cui il diritto all’assistenza tecnica di un difensore è previsto solo nel caso del processo penale, data la rilevanza pubblicistica del medesimo.

Nell’ambito del procedimento regolato dal Testo Unico sul Pubblico Impiego DLGS 165/2001 articolo 55 bis , il dipendente potrà invece farsi assistere da un procuratore ovvero da un rappresentante dell’associazione sindacale cui aderisce o conferisce mandato.

Dunque chiunque in quanto munito di procura potrà assistere l’incolpato ed a maggior ragione un legale.

  1. Quale rappresentante sindacale?

Una sentenza della Cassazione, alquanto datata, la n.1965/82 riteneva che il mandato alla difesa potesse essere conferito esclusivamente alle organizzazioni firmatarie del contratto collettivo.

Più di recente, Cassazione 30 agosto 1993 n.9177, ebbe invece a sostenere che qualsiasi organizzazione sindacale era legittimata ad assistere il lavoratore.

  1. E’ possibile richiedere in fase difensiva copia della documentazione che sostiene l’incolpazione?

Spesso le contestazioni disciplinari si fondano su atti e documenti del datore di lavoro e l’incolpato può avere interesse all’accesso nella fase di audizione.

L’articolo 7 della legge 300/70 non contempla un simile diritto.

Con diverse sentenze questo diritto era stato negato (Cassazione 6.10.2017, Cassazione 21 ottobre 2010 n.21612).

Con sentenza n.7581 del 27 marzo 2018, la Corte di Cassazione ammetteva il diritto non tanto in ragione del diritto di difesa che poteva ritenersi limitato nella sede disciplinare, quanto piuttosto con riferimento agli obblighi di correttezza e buona fede che incombono sulle parti ed a patto di chiara indicazione della documentazione richiesta e della sua stretta inerenza alle difese da svolgere.

Nell’ambito del procedimento disciplinare del lavoro pubblico contrattualizzato, l’articolo 55 bis al comma 4 prevede per il dipendente il diritto di accesso agli atti istruttori del procedimento.

 

 

  1. Ripercussioni del procedimento disciplinare in ambito giudiziale.

La fase procedimentale cui abbiamo accennato pur essendo estranea al procedimento giudiziale è spesso destinata a confluire nel medesimo con ripercussioni spesso rilevanti.

Ci riferiamo in primo luogo alla contestazione che in nome del principio di immutabilità cui abbiamo fatto cenno dovrà essere aderente alle difese processuali del convenuto e i casi di difformità potranno essere eccepiti dal ricorrente.

Anche la genericità della contestazione potrà rilevare in sede giudiziale, ma in questo caso se l’eccezione è fondata non si perverrà neppure alla fase istruttoria.

Nel caso in cui, venga rilevata la genericità della contestazione, ritengo opportuno rilevarla già in sede disciplinare, evitando di svolgere una difesa compiuta, va rilevato che la mancata risposta alla contestazione non equivale ad ammissione del fatto. Il tenere in eccessivo conto un eccezione dall’esito incerto potrebbe comunque inficiare la fase difensiva.

Nel caso di tardività della contestazione, è pure opportuno rilevarlo formalmente in fase disciplinare, espletando le difese e facendo notare l’eccezione di tardività.

Nel caso di mancato conferimento della documentazione su cui si fonda l’incolpazione, sarà opportuno farlo notare in sede di audizione, astenendosi da altre dichiarazioni.

Per quanto attiene invece alle giustificazioni.

Va posta molta attenzione ad evitare dichiarazioni confessorie del lavoratore o a non contestare i punti su cui si basa l’incolpazione chiedendone la verbalizzazione.

Dichiarazioni confessorie e mancata contestazione in presenza di valida incolpazione possono formare in sede giudiziale elemento di convincimento del giudice.

Per l’audizione, la presenza del sindacalista non è sempre appropriata in quanto questa tipologia di assistenza tende a privilegiare il discorso di insieme e la trattativa anche in senso favorevole al lavoratore, omettendo spesso un compiuto esame del fatto e la sua contestazione.

 

Avvocato Fabio Petracci.

 

Relazione tenuta dall’avvocato Fabio Petracci

nel convegno Il Procedimento Disciplinare nei Rapporti di Lavoro Pubblico e Privato

organizzato dall’Ordine degli Avvocati di Roma e tenutosi presso la Corte di Cassazione in data 25.5.2021.

I sanitari che non si vaccinano possono essere collocati in ferie – breve commento e testo integrale dell’ordinanza del Tribunale di Belluno

L’ordinanza emessa dal Tribunale di Belluno affronta il quanto mai attuale tema concernente l’obbligo di sottoporsi alla vaccinazione da parte del personale sanitario.

Il caso affrontato dal Tribunale, vede il rifiuto di alcuni dipendenti operatori sanitari di sottoporsi alla vaccinazione anti COVID-19. Il datore di lavoro li colloca pertanto forzosamente in ferie.

I dipendenti in questione si rivolgono al locale Tribunale del Lavoro chiedendo in via d’urgenza (articolo 700 CPC)  di poter continuare a svolgere le ordinarie mansioni.

Il tutto sul presupposto in base al quale i lavoratori in questione svolgevano mansioni ad alto rischio di contagio.

Va considerato come l’articolo 32 della Costituzione disponga che nessuno può essere obbligato ad un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge.

Ma a questo punto, secondo chi scrive va rimosso un equivoco.

Nel caso del vaccino di personale sanitario ad alto rischio di contagio, non si tratta di un obbligo, ma bensì di una condizione di sicurezza per poter lavorare.

L’obbligo cui allude la Costituzione è quello dotato di un’assolutezza totale per cui il soggetto deve in ogni modo, anche costretto con la forza aderire.

Nel caso di specie, si tratta esclusivamente di una condizione o meglio di un onere che incombe su chi voglia esercitare in determinate condizioni una professione sanitaria.

 

TRIBUNALE DI BELLUNO n. 12/2021 R.G.

Il Giudice sciogliendo la riserva assunta con verbale di trattazione scritta in data 16.3.21; ritenuto che risulta difettare il fumus boni iuris, disponendo l’art. 2087 c.c. che “ L’imprenditore è tenuto ad adottare nell’esercizio dell’impresa le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro “; ritenuto che è ormai notoria l’efficacia del vaccino per cui è causa nell’impedire l’evoluzione negativa della patologia causata dal virus SARS -CoV-2, essendo notorio il drastico calo di decessi causati da detto virus, fra le categorie che hanno potuto usufruire del suddetto vaccino, quali il personale sanitario e gli ospiti di RSA, nonché, più in generale, nei Paesi, quali Israele e gli Stati Uniti, in cui il vaccino proposto ai ricorrenti è stato somministrato a milioni di individui; rilevato che è incontestato che i ricorrenti sono impiegati in mansioni a contatto con persone che accedono al loro luogo di lavoro; ritenuto che è, pertanto, evidente il rischio per i ricorrenti di essere contagiati, essendo fra l’altro notorio che non è scientificamente provato che il vaccino per cui è causa prevenga, oltre alla malattia, anche l’infezione; ritenuto che la permanenza dei ricorrenti nel luogo di lavoro comporterebbe per il datore di lavoro la violazione dell’obbligo di cui all’art. 2087 c.c. il quale impone al datore di lavoro di adottare tutte le misure necessarie a tutelare l’integrità fisica dei suoi dipendenti; che è ormai notorio che il vaccino per cui è causa – notoriamente offerto, allo stato, soltanto al personale sanitario e non anche al personale di altre imprese, stante la attuale notoria scarsità per tutta la popolazione – costituisce una misura idonea a tutelare l’integrità fisica degli individui a cui è somministrato, prevenendo l’evoluzione della malattia; ritenuto, quanto al periculum in mora, che l’art. 2109 c.c. dispone che il prestatore di lavoro “ Ha anche diritto ad un periodo annuale di ferie retribuito, possibilmente continuativo, nel tempo che l’imprenditore stabilisce, tenuto conto delle esigenze dell’impresa e degli interessi del prestatore di lavoro “; che nel caso di specie prevale sull’eventuale interesse del prestatore di lavoro ad usufruire di un diverso periodo di ferie, l’esigenza del datore di lavoro di osservare il disposto di cui all’art. 2087 c.c.; ritenuta l’insussistenza del periculum in mora quanto alla sospensione dal lavoro senza retribuzione ed al licenziamento, paventati da parte ricorrente, non essendo stato allegato da parte ricorrente alcun elemento da cui poter desumere l’intenzione del datore di lavoro di procedere alla sospensione dal lavoro senza retribuzione e al licenziamento; ritenuto che, attesa l’assenza di specifici precedenti giurisprudenziali, sussistono le condizioni di cui all’art. 92 co. II c.p.c. per compensare le spese processuali. P.Q.M. visto l’art. 700 c.p.c.; 1. rigetta il ricorso

 

Risorse destinate alle assunzioni – non possono essere utilizzate per nuove posizioni organizzative.

Corte dei Conti – Delibera n.1 /2021/Sezione Regionale di Controllo per La Toscana.

Il comune toscano di Pienza richiede alla locale Sezione della Corte dei Conti se sia possibile utilizzare le risorse destinate alle assunzioni per finanziare nuove posizioni organizzative.

La Sezione risponde negativamente al quesito che pone il tema della disapplicazione del limite posto dall’articolo 23, comma 2, del DLGS 75/2017 circa l’ammontare delle risorse destinate al trattamento accessorio del personale, applicando l’articolo 11 bis comma 2 del DL 135/2018.

Nel merito, la Sezione ritiene di dare risposta negativa al quesito posto dal Sindaco del comune di Pienza, per le ragioni di seguito rappresentate. Il quesito fa leva sull’art. 11 bis, comma 2, del citato DL 135, per sollecitare la disapplicazione del limite posto dall’art. 23, comma 2, del D. Lgs. n. 75/2017 all’ammontare complessivo delle risorse destinate annualmente al trattamento accessorio del personale, anche di livello dirigenziale. Dispone il detto art. 11 bis, comma 2, che: “Fermo restando quanto disposto dall’art. 1 commi 557-quater e 562 L. n. 296/2006, per i comuni privi di posizioni dirigenziali, il limite previsto dall’articolo 23, comma 2, del decreto legislativo 25 maggio 2017, n. 75, non si applica al trattamento accessorio dei titolari di posizione organizzativa di cui agli articoli 13 e seguenti del contratto collettivo nazionale di lavoro (CCNL) relativo al personale del comparto funzioni locali – Triennio 2016-2018, limitatamente al differenziale tra gli importi delle retribuzioni di posizione e di risultato già attribuiti alla data di entrata in vigore del predetto CCNL e l’eventuale maggiore valore delle medesime retribuzioni successivamente stabilito dagli enti ai sensi dell’articolo 15, commi 2 e 3, del medesimo CCNL, attribuito a valere sui risparmi conseguenti all’utilizzo parziale delle risorse che possono essere destinate alle assunzioni di personale a tempo indeterminato che sono contestualmente ridotte del corrispondente valore finanziario”.

La Ratio della norma appena citata, afferma la Corte dei Conti, è con tutta evidenza quella di introdurre una deroga all’art. 23, comma 2 D. Lgs. n. 75/2017 (richiamato anche dall’art. 33, comma 2, ultimo periodo, del DL n. 34/2019 in riferimento ai limiti del trattamento accessorio del personale); tale deroga consente, ai soli comuni privi di dirigenza, di sottrarre dall’applicazione del limite di cui al citato art. 23 (consistente nell’invarianza della spesa relativa al trattamento accessorio del personale rispetto agli importi del 2016) le indennità dei soggetti titolari di posizione organizzativa, attingendo alle risorse disponibili per le assunzioni di personale a tempo indeterminato, ma ciò soltanto a concorrenza del differenziale tra gli importi delle retribuzioni di posizione e di risultato già attribuiti alla data di entrata in vigore del predetto CCNL e l’eventuale maggiorazione delle medesime retribuzioni successivamente attribuita ai sensi dell’articolo 15, commi 2 e 3, del medesimo CCNL.

Fabio Petracci.

Pubblico Impiego – azione disciplinare – Sospensione Cautelare – assenza di provvedimento disciplinare – restitutio in integrum – spetta.

Corte di Cassazione Sezione Lavoro n.4411 del 18.2.2021.

Un dipendente pubblico è imputato di peculato. Viene sospeso in base all’articolo 4 della legge n.97/2001 che impone in tali fattispecie di reati e di condanna anche non definitiva per taluni reati contro la Pubblica Amministrazione la sospensione cautelare del dipendente, con la precisazione che il provvedimento perde efficacia in caso di successivo proscioglimento o assoluzione o dopo il decorso di un termine pari al periodo di prescrizione del reato. L’accusa alla fine cade per intervenuta prescrizione. Il dipendente si dimette e non viene perseguito disciplinarmente.

Egli pertanto nei diversi gradi di giudizio, richiede il pagamento delle somme non percepite in quanto oggetto di sospensione cautelare.

La Sezione Lavoro della Corte di Cassazione con la sentenza in esame precisa come la sospensione cautelare nel pubblico impiego tanto quella obbligatoria come nel caso di specie, tanto quella facoltativa prevista anche dalla contrattazione collettiva sono provvedimenti interinali funzionali alla successiva sanzione e, pertanto il venir meno di quest’ultima produce il venir meno degli effetti della sospensione anche sotto l’aspetto economico.

L’istituto della sospensione cautelare nel pubblico impiego ha trovato una prima disciplina nel D.P.R. n. 3 del 1957, per gli impiegati civili dello Stato, articoli da 91 a 99. Tali norme sono state richiamate per il personale delle Unità Sanitarie Locali dal D.P.R. 20 dicembre 1979, n. 761, art. 51, comma 1. Dopo la privatizzazione, con la stipula dei contratti collettivi, la regolamentazione è stata fissata dalla contrattazione collettiva, secondo quanto disposto dall’attuale DLGS 165/2001 artt. 69 e 71.

Alle ipotesi di sospensione cautelare previste da tali fonti si è aggiunta una sospensione di carattere speciale e di natura obbligatoria legata alla condanna per specifici reati. La relativa disciplina è stata fissata dalla L. 27 marzo 2001, n. 97, art. 4,

Nella fattispecie in esame la sospensione è stata disposta ai sensi dell’art. 4 della suddetta L. n. 97 del 2001; la norma sancisce la sospensione obbligatoria del dipendente di amministrazioni o enti pubblici (nonchè degli enti a prevalente partecipazione pubblica) in caso di condanna, anche non definitiva, per alcuno dei più gravi delitti contro la pubblica amministrazione. Tra essi figura il delitto di peculato, per il quale il dipendente in questione veniva condannato dal Tribunale penale, procedimento che poi nelle successive fasi processuali diveniva oggetto di prescrizione.

L’art. 4 cui si è fatto cenno stabilisce la inefficacia della sospensione a seguito sia alla sentenza di assoluzione che a quella di proscioglimento. Tale ultima espressione individua le sentenze di non doversi procedere per ragioni processuali, tra le quali è compresa la sentenza di estinzione del reato per prescrizione. Il legislatore del 2001 nell’introdurre la normativa attuale mediante la legge 97/2001, ha recepito sul punto i principi enunciati dalla Corte costituzionale nella sentenza 3 giugno 1999 n. 206, nell’offrire l’interpretazione conforme a Costituzione della disciplina allora contenuta nella L. n. 55 del 1990, art. 15, comma 4 septies.

La sentenza di cui in epigrafe è stata chiamata a definire, cessati gli effetti della sospensione obbligatoria, la sorte della obbligazione retributiva che fa carico al datore di lavoro pubblico.

In riferimento alla sospensione facoltativa disposta a seguito di procedimento penale – a norma del D.P.R. n. 3 del 1957, art. 91 o secondo la regolamentazione della contrattazione collettiva, la Suprema Corte con orientamento consolidato (fra le altre, Cass. nn. 5147/2013, 15941/2013, 26287/2013, 13160/2015, 9304/2017, 10137/2018, 20708/2018, 7657/2019, 9095/2020) ed in linea con i principi affermati dalla giurisprudenza amministrativa (C.d.S., Ad plen. 28.2.2002 n. 2) e costituzionale (Corte Cost. 6 febbraio 1973 n. 168), ha chiarito che la sospensione cautelare, in quanto misura interinale, ha il carattere della provvisorietà e della rivedibilità, nel senso che solo al termine e secondo l’esito del procedimento disciplinare si potrà stabilire se la sospensione preventiva applicata resti giustificata e debba sfociare nella destituzione o nella sospensione disciplinare, ovvero debba venire caducata a tutti gli effetti. In particolare, ogni qualvolta la sanzione disciplinare non venga inflitta o ne sia irrogata una di natura ed entità tali da non giustificare la sospensione sofferta sorge il diritto alla restitutio in integrum, che ha natura retributiva e non risarcitoria, e ciò a prescindere dalla espressa previsione della legge o della contrattazione collettiva.

Si è ritenuto, dunque, che in caso di omissione del procedimento disciplinare anche l’eventuale condanna penale intervenuta nei confronti del dipendente non sia suscettibile di tenere ferma la sospensione cautelare dal servizio disposta in corso del procedimento penale e stabilita dalla amministrazione in via discrezionale, non potendosi ammettere una conversione della misura in una sanzione di identico contenuto.

Per quanto attiene invece la cessazione dal servizio intervenuta nel corso del procedimento disciplinare, la legge DLGS 165/2001 all’articolo 55 bis , comma 9, prevede che la cessazione del rapporto con la pubblica amministrazione (non il trasferimento ad un’altra amministrazione) provoca la cessazione del procedimento disciplinare, salvo il caso di licenziamento disciplinare ed il caso in cui sia in corso la sospensione cautelare e la decisione in sede disciplinare porti alla irrogazione del provvedimento disciplinare cui la stessa è finalizzata.

Dunque, nel caso di specie, l’Amministrazione avrebbe potuto portare a termine il procedimento disciplinare anche di fronte al trasferimento del dipendente al fine di mantenere l’efficacia della sospensione cautelare, cosa che non ha fatto e quindi, secondo la Cassazione citata il provvedimento ha perso ogni effetto.

Fabio Petracci

Licenziamento – reintegra – ferie – spettano. Corte di Giustizia Europea Sentenza del 25/6/2020 Prima Sezione – Cause riunite C-762/18 e C-37/19

Le ferie si maturano anche in caso di licenziamento illegittimo.

 Lo afferma la Corte di Giustizia dell’Unione Europea.

La decisione ha ad oggetto un licenziamento illegittimo che determina la reintegra del lavoratore il quale essendo rimasto forzatamente assente chiede il riconoscimento del periodo di ferie maturate dalla data del recesso e la reintegrazione, sul presupposto che detto periodo debba a tutti gli effetti essere riconosciuto quale periodo di effettivo lavoro.
A tale riguardo, la Corte di Giustizia afferma che in caso di licenziamento, successivamente dichiarato illegittimo, le ferie maturate nel periodo compreso tra il recesso e la reintegrazione del dipendente nel suo posto di lavoro, deve essere assimilato ad un periodo di lavoro effettivo ai fini della determinazione delle ferie maturate o in alterativa, laddove per qualsivoglia ragione non possa fruirne, ad un’indennità sostitutiva delle stesse. Ciò in quanto, non avere potuto svolgere la propria prestazione, rientra tra i motivi indipendenti dalla volontà del dipendente.