CASSAZIONE – Rito del lavoro e prova testimoniale: sanabile l’omessa indicazione dei nominativi dei testi da escutere

Cass. civ., Sez. VI – Lavoro, Ordinanza, 01/12/2021, n. 37773.
Nel rito del lavoro, la mancata indicazione dei nominativi dei testi nell’atto introduttivo, qualora la prova testimoniale sia stata comunque dedotta senza indicare le persone da interrogare, non determina la decadenza dalla relativa istanza istruttoria, ma concretizza una mera irregolarità che consente al giudice l’esercizio del potere – dovere di consentirne l’integrazione ex articolo 421 CPC, concedendo un termine perentorio per la regolarizzazione, integrando così le indicazioni concernenti le persone da interrogare. Solo l’inosservanza di detto termine produce la decadenza dalla prova, rilevabile anche d’ufficio.
Nel caso di specie, si trattava del ricorso di un lavoratore per ottenere il pagamento degli straordinari, senza aver indicato i nominativi dei testi che avrebbero dovuto confermare lo svolgimento della prestazione oltre l’orario.
La recente pronuncia della Sezione Lavoro è totalmente conforme a quanto a suo tempo stabilito dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione con la sentenza n.262/1997 la quale risolveva un contrasto giurisprudenziale in merito, ammettendo l’applicabilità dell’integrazione in base all’articolo 421 CPC.
Se esaminiamo il dato testuale dell’articolo 421 CPC, notiamo che il termine può con cui si apre il secondo comma della norma medesima porterebbe a ritenere come l’esercizio dei poteri officiosi costituisca una mera facoltà discrezionale del Giudice (in tal senso, Cassazione 6 marzo 1987 n.2382, 11 gennaio 1988 n.108, 3 maggio 1989 n.2588, 15 maggio 1990 n.4147. Di seguito, partendo dalla sentenza 17 giugno 2004 n.11353 delle Sezioni Unite è stato ritenuto come l’esercizio dei poteri officiosi di cui all’articolo 421 CPC non costituisca una facoltà discrezionale del Giudice del Lavoro, ma un suo obbligo, la cui omissione debba essere motivata si da consentire il sindacato della Corte di legittimità, sia sotto il profilo della violazione di legge, che del vizio di motivazione.

Avvocato Fabio Petracci.

Siglata l’intesa precontrattuale nel Pubblico Impiego: cambiamenti per inquadramenti e carriere.

Un passo verso la meritocrazia.
In data 21 dicembre, è stata sottoscritta la preintesa contrattuale tra ARAN ed associazioni sindacali cui a breve farà seguito il nuovo contratto collettivo per le Funzioni Centrali delle Amministrazioni statali.
Il contratto è espressamente definito dalle parti come uno strumento efficace ed innovativo di gestione del personale per incentivarne lo sviluppo professionale.
Professionalità e meritocrazia sono state del resto le mete del Ministro Brunetta anche nelle precedenti riforme che non sempre hanno raggiunto lo scopo anche a causa della complessità dei meccanismi premiali.
Per queste ragioni la parte dedicata all’inquadramento ed alle progressioni di carriera è stata ampliamente modificata.
Le modifiche all’attuale inquadramento professionale.
Il precedente inquadramento limitato a tre aree e concentrato principalmente nell’area B e C ha subito un interessante mutamento.
Sono state eliminate le tre aree contraddistinte da un semplice numero e ne sono state introdotte 4 contraddistinte da un indicazione professionale.
L’area base è quella degli operatori caratterizzata da mansioni semplici e da una scolarità corrispondente alla scuola dell’obbligo.
L’area successiva è invece quella degli assistenti dove è previsto un livello di mansioni di media difficoltà ed una scolarità corrispondente al livello di scuola superiore.
La terza area è quella dei funzionari con compiti direttivi e professionalità superiore per il cui ingresso è prevista almeno la laurea breve.
Va notato che l’accesso in base al titolo di studio può essere sostituito da un periodo prefissato di permanenza nell’area inferiore.
L’ipotesi contrattuale riguarda pure le progressioni orizzontali che saranno impostate con criteri di anzianità uniti a criteri meritocratici. Le progressioni orizzontali rivestiranno esclusivamente valenza economica.
L’area delle Elevate Professionalità.
La vera novità è però data dall’istituzione di una quarta area definita delle elevate professionalità.
In quest’ambito dovrebbe trovare collocazione il fulcro delle professionalità del personale non dirigente.
L’intesa precontrattuale inoltre prevede conformemente a quanto già stabilito dalla legge 80/2021 la possibilità di transito meritocratico tramite procedura valutativa e non concorso per il passaggio all’area superiore.
Notiamo inoltre come le posizioni organizzative siano previste per la sola area dei funzionari, nel mentre nell’ambito della quarta area, sarà prevista l’attribuzione generale di incarichi, come accade per la dirigenza.
Sicuramente si tratta di un passo in più per le alte professionalità nel pubblico impiego e speriamo sia un passo verso la meritocrazia.
E’ previsto un periodo transitorio per l’attuazione del nuovo inquadramento.
All’ipotesi contrattuale è allegata la tabella 2 che stabilisce la corrispondenza tra il vecchio inquadramento ed il nuovo.
Particolare significativo è il fatto che tale corrispondenza non è attuata per quarta area delle elevate professionalità, dove saranno attuati criteri marcatamente meritocratici.
Va ricordato che è la legge 80/2021 a prevedere l’esistenza di un’apposita area delle alte professionalità e che quindi detto sistema di inquadramento dovrà trovare applicazione a tutti i settori del pubblico impiego, ivi compresi sanità ed enti locali, con eccezione della scuola.
Fabio Petracci

SEMINARIO – Il rapporto di lavoro nel pubblico impiego.

Dal 7 dicembre 2021 al 18 gennaio 2022 dalle ore 14,30 alle ore 17,30 dalle Aule di SPAZIO CRESCENZIO Via Ovidio, 32, Roma si terrà un ciclo di seminari di aggiornamento sul rapporto di lavoro nel pubblico impiego , organizzato dall’Associazione APL – Avvocati per il lavoro, con il patrocinio della Scuola Forense «Vittorio Emanuele Orlando».

Gli iscritti all’APL potranno seguire i seminari in presenza (fino ad un massimo di 30 posti) e mediante collegamento da remoto sulla piattaforma Cisco Webex.

Relatori: Avv. Prof. Riccardo Bolognesi, Avv. Paolo Caruso, Dott.ssa Paola D’Avena, Cons. Nicola De Marinis, Avv. Andrea Lutri, Cons. Paolo Mormile, Avv. Fabrizio Paragallo, Avv. Prof. Fabio Petracci, Cons. Prof. Vito Tenore.

PROGRAMMA DEI CORSI:

Martedì 7 Dicembre 2021
L’accesso al pubblico impiego. Il concorso e le altre forme di reclutamento del personale. La flessibilità in entrata e nella gestione del rapporto di lavoro.
Avv. Prof. Fabio Petracci
La tutela giurisdizionale dei diritti dei vincitori di concorso e degli esclusi.
Avv. Paolo Caruso

Martedì 14 Dicembre 2021
Lo svolgimento del rapporto di lavoro. Inquadramento, mansioni, progressione professionale mobilità.
Avv. Prof. Fabio Petracci
Trasferimento, comando, distacco e altre modificazioni soggettive del rapporto di lavoro
Avv. Fabrizio Paragallo

Martedì 21 Dicembre 2021
Il trattamento economico dei dipendenti pubblici e i trattamenti accessori
Cons. Nicola De Marinis
Contrattazione collettiva e relazioni sindacali
Cons. Paolo Mormile

Martedì 11 Gennaio 2022
Il procedimento disciplinare e l’esercizio del diritto di difesa del dipendente pubblico
Cons. Prof. Vito Tenore
La risoluzione del rapporto di lavoro. La tutela avverso il licenziamento illegittimo
Avv. Andrea Lutri

Martedì 18 Gennaio 2022
La dirigenza pubblica. Inquadramento e funzioni. Disciplina del rapporto
Avv. Prof. Riccardo Bolognesi
La responsabilità dirigenziale. Il ruolo del dirigente nel sistema di misurazione e di valutazione
delle performance
Dott.ssa Paola D’Avena

Per iscriversi occorre accedere al sito www.avvocatiperillavoro.it e compilare il form.
Per eventuali informazioni rivolgersi a segreteria@avvocatiperillavoro.it – tel.0632609166
È previsto un contributo per la copertura delle spese di gestione e di organizzazione, anche informatica, dei 5 seminari di € 100,00 per gli iscritti all’Associazione e di € 160,00 per i non iscritti

Green Pass, una guida operativa

Soggetti sottoposti all’obbligo.

Il decreto legge 21 settembre 2021 n.127 (decreto Green Pass) impone al personale del settore privato inclusi i lavoratori autonomi ed i familiari ed a chiunque in forza di un contratto entri in azienda dell’apposita certificazione COVID 19 (Green Pass), ivi compresi artigiani, agenti di commercio e fornitori.

L’obbligo si estende anche a chi acceda alla mensa aziendale ed a chi, pur operando in lavoro agile si debba recare per qualunque motivo in azienda.

Non sono tenuti all’obbligo coloro che siano in qualsiasi modo esenti dalla vaccinazione. Costoro dovranno presentare apposita certificazione al medico competente che ne darà comunicazione al datore di lavoro.

Le modalità di accertamento erano affidate sino al 30 settembre 2021 con successiva proroga al 30 novembre 2021, certificazioni cartacee secondo quanto previsto falla circolare 4.8.2021 del Ministero della Sanità

La durata dell’obbligo di presentazione del Green Pass  è fatta partire dal 15.10.2021 (venerdì) al 31.12.2021 data di scadenza del periodo emergenziale.

In ogni caso, per le esenzioni, datore di lavoro non è autorizzato al trattamento diretto di questo dato sanitario. Il certificato di esenzione alla vaccinazione dovrà essere fornito dal lavoratore al medico competente, il quale si limiterà a informare il datore circa i lavoratori ai quali non deve essere svolto il controllo del Green Pass, senza ulteriori trattamenti di dati sanitari degli interessati.

I controlli.

I controlli possono avvenire anche a campione sia precedentemente all’entrata in azienda che nell’ambito della stessa.

La verifica va effettuata mediante scansione del QR code del Green Pass mediante l’app VERIFICA C19

Sono preferibili i controlli preventivi che potranno avvenire a campione oppure estendersi a chiunque entri in azienda.

Quest’ultimo sistema appare preferibile in quanto permette un controllo generalizzato ed impedisce l’accertamento di situazioni di scopertura all’interno dell’azienda che comportano sanzioni e denunce al prefetto.

Quindi il sistema più semplice ed efficace sarebbe quello del controllo generalizzato in entrata.

Le modalità di controllo devono essere predefinite e notiziate ai lavoratori.

Con documento scritto dovranno essere identificate ed incaricate le persone addette ai controlli.

Si tratterà di adottare un atto formale contenente le istruzioni per la verifica.

I soggetti addetti al controllo possono essere sia dipendenti dell’azienda, o di società appaltatrici dei servizi di sicurezza.

Si suggerisce di inserire nella nomina dei soggetti incaricati anche l’autorizzazione al trattamento dei dati ai sensi degli articoli 29 e seguenti del GDPR – Regolamento UE 2016/679 e DLGS n.196/2003 (codice privacy).

Conseguenze.

Appena effettuati i controlli, i lavoratori che risultino privi della certificazione o dichiarino di non possederla, devono essere allontanati e considerati assenti ingiustificati, ma non va inflitta loro alcuna sanzione, semplicemente saranno privati della retribuzione e da ogni obbligo connesso (contributi), TFR, per tutto il periodo di assenza. Quindi non potranno mettersi in malattia o richiedere una volta assenti altre forme di aspettativa magari più vantaggiose, in quanto il rapporto di lavoro è in totale quiescenza)

Essi avranno diritto alla conservazione del posto di lavoro (come se fossero in aspettativa non retribuita).

Potranno rientrare in qualunque momento previa presentazione della certificazione richiesta.

In questo caso, per motivi organizzativi, si potrà richiedere agli stessi una comunicazione scritta di rientro con un termine per il datore di lavoro di almeno tre giorni per organizzare il posto di lavoro.

Diversa invece sarà la posizione di quanti presenti in azienda, nell’ambito di un controllo, saranno accertati privi del Green Pass.

In quest’ultimo caso, l’addetto ai controlli, dovrà segnalare il nominativo al prefetto per l’irrogazione al lavoratore medesimo di una sanzione amministrativa (da euro 600 a 1500) e potrà essere avviata contro i medesimi apposita procedura disciplinare con contestuale sospensione del rapporto senza retribuzione (provvedimento che non assume valenza disciplinare).

Sanzioni sono inoltre previste per i datori di lavoro che non ottemperano a queste disposizioni.

Dette sanzioni possono comportare misure interdittive e la chiusura dell’esercizio. Quindi converrà documentare adeguatamente l’attività di controllo svolta.

All’atto pratico, si consiglia di:

  1. Effettuare i controlli in massa e generalizzati prima dell’entrata in azienda-
  2. Nel caso di dipendente o addetto privo del Green Pass esso va allontanato, consegnandoli o inviandoli poi apposita nota con cui si comunica che egli sarà considerato assente ingiustificato sino alla cessazione del periodo di emergenza 31.12.2021, salvo proroghe senza retribuzione ed istituti connessi, ma senza che ciò costituisca illecito disciplinare.

Gli dovrà essere comunicato che potrà rientrare in azienda e riprendere l’attività lavorativa nel caso in cui risulti munito di Green Pass con un preavviso all’azienda di n.3 giorni per permettere la sua utile collocazione.

  1. Nel caso in cui il dipendente protesti o faccia resistenza, andrà valutata la portata del suo comportamento, nel caso in cui si limiti a protestare, converrà non dare seguito alla cosa, nel caso di resistenza o tentativo di forzare i controlli, sarà bene chiamare la forza pubblica e dar luogo a contestazione disciplinare.
  2. Nel caso in cui il dipendente sia collocato in malattia o in aspettativa prima della data del 15.10.2021, non si dovrà dare corso a provvedimento alcuno, sino al rientro in cui gli si chiederà il Green Pass.
  3. Se un dipendente senza nulla segnalare, non si presenterà alla data del 15.10.21 per il controllo, andrà contestata l’assenza ingiustificata e si procederà disciplinarmente.
  4. Qualora invece il dipendente segnali di non essere in possesso del Green Pass alla data del 15.10.2021 si darà corso all’assenza ingiustificata senza sanzione disciplinare e senza retribuzione, come accade per chi all’ingresso non sarà in possesso di valido Green Pass.
  5. Qualora invece, chi obbligato al Green Pass venga ne venga sorpreso privo in azienda, dovrà essere fatta immediata segnalazione al prefetto ed il soggetto dovrà essere in ogni caso allontanato. Contro il medesimo potrà aprirsi procedimento disciplinare.

 

Avvocato Fabio Petracci

Reperibilità ferrogostana dello studio.

Si comunica che da venerdì 13 a fino al 18 agosto compreso, lo Studio sarà raggiungibile soltanto al numero 335.6484088.

Grazie.

Avv. Fabio Petracci

Diritto allo studio. Datore di lavoro pubblico – comparto Funzioni Centrali – parziale modifica turnazione richiesta da lavoratore studente – ammissibilità

Il diritto allo studio è sancito dall’articolo 10 dello Statuto dei Lavoratori alla voce “Lavoratori studenti”.

Stabilisce l’articolo 10 che i lavoratori studenti, iscritti e frequentanti corsi regolari di studio in scuole di istruzione primaria, secondaria e di qualificazione professionale, statali, pareggiate o legalmente riconosciute o comunque abilitate al rilascio di titoli di studio legali, hanno diritto a turni di lavoro che agevolino la frequenza ai corsi e la preparazione agli esami e non sono obbligati a prestazioni di lavoro straordinario o durante i riposi settimanali.

I lavoratori studenti, compresi quelli universitari, che devono sostenere prove di esame, hanno diritto a fruire di permessi giornalieri retribuiti.

Il datore di lavoro potrà richiedere la produzione delle certificazioni necessarie all’esercizio dei diritti di cui al primo e secondo comma.

In pratica, lo studente lavoratore che frequenti un regolare corso di studi ha diritto a turni agevolati, all’esonero dallo straordinario e dal lavoro durante i riposi settimanali.

Gli stessi inoltre hanno il diritto a fruire di appositi permessi per sostenere gli esami.

La norma è ampiamente integrata dalla contrattazione collettiva di settore sia nel settore privato che in quello pubblico.

In quest’ultimo ambito, l’art. 46 CCNL Comparto Funzioni Centrali 2016-2018, al comma 5, per ciò che qui interessa, sancisce espressamente che al “… personale di cui al presente articolo interessato ai corsi ha diritto all’assegnazione a turni di lavoro che agevolino la frequenza ai corsi stessi e la preparazione agli esami…”.

Il punto è stato inoltre oggetto da parte di un’amministrazione locale di richiesta di parere all’ARAN in merito alla possibilità per il datore di lavoro pubblico di tener conto nella programmazione di turni favorevoli anche delle necessità dell’amministrazione medesima. In data 7 luglio 2021, risulta pubblicato il parere in merito dell’ARAN la quale ritiene che l’ articolo contrattuale detta la disciplina del diritto allo studio articolandolo su due livelli di tutela: il primo, consistente nella concessione dei suddetti permessi retribuiti nei limiti quantitativi indicati dallo stesso CCNL; il secondo, nel favorire la conciliazione tra la prestazione lavorativa del personale cui è stato concesso di usufruire dei citati permessi retribuiti assegnando tale personale a turni di lavoro che agevolino concretamente la frequenza dei corsi e la preparazione degli esami (cfr. sentenza Corte Cassazione n. 17128/2013).

Pertanto, afferma l’ARAN, se da un lato il diritto del dipendente ad ottenere turni di lavoro complessivamente più agevoli laddove questi usufruisca dei permessi studio deve essere tutelato dal datore di lavoro pubblico (pena la vanificazione del diritto di studio in parola), dall’altro, però il dipendente non può considerarsi svincolato dall’organizzazione lavorativa. E, infatti, in ossequio del principio di buona fede e correttezza di cui agli artt. 1175 e 1375 del Codice Civile, il lavoratore/studente può anche eventualmente proporre un prospetto della propria articolazione oraria che sarà valutato dall’Amministrazione anche in termini di compatibilità con l’orario di servizio e con l’organizzazione dell’ufficio.

La materia del diritto allo studio è stata oggetto di alcuni interventi giurisprudenziali della Corte di Cassazione cui dedicheremo un breve accenno.

Cass. civ. Sez. lavoro, 18/09/2020, n. 19610

In tema di diritto del lavoratore di usufruire di giorni studio, in applicazione dei criteri di ermeneutica precisati dagli art. 1362 e 1363 c.c., la norma contrattuale, che prevede la possibilità per il lavoratore di usufruire di permessi studio, va interpretata nel senso che i permessi straordinari retribuiti possono essere concessi soltanto per frequentare i corsi indicati dalla clausola in orari coincidenti con quelli di servizio, non per le necessità connesse all’esigenza di preparazione degli esami, ovvero per altre attività complementari come, ad esempio, i colloqui con i docenti o il disbrigo di pratiche di segreteria. (Nel caso di specie, è stato escluso che la previsione di cui all’art. 28 del CCNL Federcasa 2002-2005 riconoscesse permessi studio retribuiti anche ai lavoratori studenti cd. “fuori corso”, ed è stato ritenuto che la concessione dei permessi fosse limitata al solo periodo di frequenza nell’ambito degli anni di durata legale del corso di studi).

Cass. civ. Sez. lavoro, 10/07/2013, n. 17128

La fruizione dei permessi di studio prescinde dalla sussistenza di un tale interesse in capo al datore di lavoro, pubblico o privato, essendo riconducibile ai diritti fondamentali della persona, come garantiti dagli artt. 2 e 34 Cost. e dall’art. 10 dello Statuto dei lavoratori (legge n. 300 del 1970).

 

Cass. civ. Sez. lavoro Sent., 17/02/2011, n. 3871

In base ad un’interpretazione coerente con il principio di non discriminazione dei lavoratori a tempo determinato, sancito dall’art. 6 del d.lgs. 6 settembre 2001, n. 368, in attuazione della direttiva comunitaria 70/1999 relativa all’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato concluso dall’UNICE, dal CEEP e dal CES, deve ritenersi che l’art. 13 del c.c.n.l. del 16 maggio 2001, relativo al comparto Ministeri e integrativo del precedente c.c.n.l. del 16 febbraio 1999, nel prevedere la fruibilità di permessi retribuiti per motivi di studio, nella misura di 150 ore, da parte dei dipendenti con rapporto di lavoro a tempo indeterminato, non esclude che i medesimi permessi debbano essere concessi a dipendenti assunti a tempo determinato, sempre che non vi sia un’obiettiva incompatibilità in relazione alla natura del singolo contratto a termine; né l’esclusione del beneficio potrebbe giustificarsi, in ragione della mera apposizione del termine di durata contrattuale, per l’assenza di uno specifico interesse della P.A. alla elevazione culturale dei dipendenti, giacché la fruizione dei permessi di studio prescinde dalla sussistenza di un tale interesse in capo al datore di lavoro, pubblico o privato, essendo riconducibile a diritti fondamentali della persona, garantiti dalla Costituzione (art. 2 e 34 Cost.) e dalla Convenzione dei diritti dell’uomo (art. 2 Protocollo addizionale CEDU), e tutelati dalla legge in relazione ai diritti dei lavoratori studenti (art. 10 della legge n. 300 del 1970). (Rigetta, App. Trento, 18/10/2006)

Cass. civ. Sez. lavoro, 28/11/1995, n. 12265

Ai fini del riconoscimento del diritto del lavoratore studente a turni di lavoro che agevolino la frequenza ai corsi di istruzione scolastica e la preparazione agli esami, ex art. 10 comma 1l. 20 maggio 1970 n. 300, si deve definire come corso regolare di studio quello istituito presso una delle scuole previste dalla stessa disposizione, che richieda una regolare frequenza per il conseguimento di titolo di studio con valore legale. (Nella specie, è stata confermata la decisione dei giudici di merito che ha accertato il diritto in questione per l’ipotesi di partecipazione del lavoratore ad un corso sperimentale di scuola media per lavoratori – cosiddetta delle 150 ore – finalizzato al recupero della scuola dell’obbligo per il conseguimento del diploma di scuola media inferiore).

Cass. civ. Sez. lavoro, 25/10/1991, n. 11342

La previsione dell’art. 10, 2° commal. 20 maggio 1970 n. 300, relativa al diritto dei lavoratori studenti – compresi quelli universitari – a permessi retribuiti si ricollega all’esigenza di accrescere la professionalità del lavoratore o più in generale il suo patrimonio culturale, in armonia con i principi di cui agli art. 34 e 41 cost.; il beneficio riconosciuto dalla norma non può essere quindi limitato ad un unico corso di studi, e si estende anche ai lavoratori studenti universitari che abbiano già conseguito altro diploma di laurea o titolo equipollente.

Cass. civ. Sez. lavoro, 18/09/2020, n. 19610

In tema di diritto del lavoratore di usufruire di giorni studio, in applicazione dei criteri di ermeneutica precisati dagli art. 1362 e 1363 c.c., la norma contrattuale, che prevede la possibilità per il lavoratore di usufruire di permessi studio, va interpretata nel senso che i permessi straordinari retribuiti possono essere concessi soltanto per frequentare i corsi indicati dalla clausola in orari coincidenti con quelli di servizio, non per le necessità connesse all’esigenza di preparazione degli esami, ovvero per altre attività complementari come, ad esempio, i colloqui con i docenti o il disbrigo di pratiche di segreteria. (Nel caso di specie, è stato escluso che la previsione di cui all’art. 28 del CCNL Federcasa 2002-2005 riconoscesse permessi studio retribuiti anche ai lavoratori studenti cd. “fuori corso”, ed è stato ritenuto che la concessione dei permessi fosse limitata al solo periodo di frequenza nell’ambito degli anni di durata legale del corso di studi).

Sanzioni disciplinari pubblico impiego scuola. Dirigente competenza ad irrogare la sanzione. Individuazione in base alla sanzione edittale.

Cassazione 14.7.2021 n.20059.

 

Sintesi della pronuncia.

La Cassazione ribadendo quanto già affermato dalla medesima suprema Corte con la sentenza n.28111 del 2019 ha stabilito che in tema di sanzioni disciplinari nel pubblico impiego privatizzato, al fine di stabilire la competenza dell’organo deputato a iniziare, svolgere e concludere il procedimento, occorre avere riguardo al massimo della sanzione disciplinare come stabilita in astratto, in relazione alla fattispecie legale, normativa o contrattuale che viene in rilievo, essendo necessario, in base ai principi di legalità e del giusto procedimento, che la competenza sia determinata in modo certo, anteriore al caso concreto ed oggettivo, prescindendo dal singolo procedimento disciplinare.

 

Sintesi della motivazione.

L’articolo 55 bis del DLGS 165/2001 nel testo anteriore a quello novellato con il DLGS 75/2017 prevedeva la ripartizione di competenza per l’irrogazione delle sanzioni disciplinari.

Per le infrazioni per le quali era prevista l’irrogazione della sanzione del rimprovero verbale, il procedimento era di competenza del responsabile della struttura dove prestava servizio il dipendente.

Diversa era invece la normativa disciplinare per il personale docente della scuola.

Nel testo dell’articolo 55 bis anteriore alla riforma di cui al DLGS 165/2001, era prevista la competenza del dirigente ad irrogare la sanzione della sospensione per le fattispecie che non superavano i dieci, nel mentre sussisteva la competenza dell’apposito Ufficio Disciplinare per le fattispecie che nella previsione contrattuale o di legge superavano i dieci giorni di sospensione.

Il caso specifico della scuola.

Nell’ambito della scuola, per il personale docente non era prevista la sanzione della sospensione pari a 10 giorni ed era comunque vigente il DLGS 297/94 che all’articolo 492 del DLGS 297/94 prevedeva la sanzione della sospensione fino a 30 giorni.

In alcuni casi, i dirigenti scolastici, opinando di poter irrogare una sanzione inferiore ai 10 giorni si erano assunti la relativa competenza disciplinare.

Numerose sentenze dei giudici del lavoro hanno annullato le sanzioni, ritenendo che la competenza andava rapportata al termine massimo di 30 giorni previsto dalla legge e che quindi era da ritenersi competente all’irrogazione della sanzione esclusivamente l’ufficio dell’amministrazione scolastica individuato in base al comma 4 dell’articolo 55 bis (ufficio per i procedimenti disciplinari) e non il dirigente scolastico d’istituto.

La situazione attuale.

Con l’entrata in vigore del DLGS 75/2017, tutte le sanzioni, eccettuato il richiamo scritto, passano alla competenza dell’Ufficio per i Procedimenti Disciplinari.

In tal modo, il dirigente di istituto sarebbe stato privato di qualunque significativo potere disciplinare.

In realtà il DLGS 75/2017 è intervenuto con l’articolo 13 comma 9 quater che prevede che per il personale docente, educativo, e amministrativo tecnico e ausiliario, il provvedimento disciplinare per il quale è prevista l’irrogazione di sanzioni fino alla sospensione dal servizio per dieci giorni è di competenza del responsabile della struttura con qualifica dirigenziale, restando le sanzioni superiori di competenza dell’Ufficio competente per i Procedimenti disciplinari.

In conclusione.

La decisione della Corte di Cassazione impone la determinazione della competenza ad irrogare la sanzione sulla base della sanzione prevista dai contratti o dalla legge e non da quella ipotizzabile dall’ufficio o ancor peggio da quella ex post irrogata.

Quindi anche la determinazione della sanzione sarà in qualche modo condizionata dalla competenza prescelta dal datore di lavoro.

Si vuole in questo modo, aderendo al principio costituzionalmente ribadito del giusto processo evitare la scelta arbitraria dei soggetti competenti ad irrogare la sanzione.

La pronuncia assume particolare importanza nel settore della scuola, laddove è comunque riservata al dirigente scolastico una rilevante quota di potere disciplinare con competenza sino a dieci giorni di sospensione.

Fabio Petracci.

Quadri lavoratori bancari a rischio dequalificazione

Dequalificazione, equivalenza di mansioni, fungibilità. Il caso dei quadri bancari.

 

Il Jobs Act e l’equivalenza delle mansioni.

L’articolo 3 del DLGS 81/2015 (Jobs Act) introduce delle rilevanti modifiche all’articolo 2103 del codice civile.

In primo luogo esso amplia il potere del datore di lavoro di mutare la prestazione del lavoratore, introducendo un concetto di equivalenza esteso a tutte le mansioni appartenenti alla medesima categoria contrattuale o livello di appartenenza del lavoratore.

L’articolo 1 della legge 183/2010 (legge delega che ha dato luogo al DLGS 81/2015) aveva in effetti previsto la revisione della disciplina delle mansioni in caso di processi di riorganizzazione o conversione aziendale, senza peraltro prevedere ulteriori interventi sulla disciplina dell’equivalenza, donde se ne potrebbe trarre argomento per eccepire un eccesso di delega in relazione all’articolo 76 della Costituzione. (Sul Punto Amendola, La disciplina delle mansioni DLGS 81/2015).

Scompare quindi il concetto di equivalenza delle mansioni che sino ad allora aveva costituito il criterio cardine nel valutare la dequalificazione.

L’area delle mansioni esigibili era quindi ampliata al livello di inquadramento ricavabile dalla contrattazione collettiva vigente.

A questo punto la valutazione dell’equivalenza di mansioni non è più affidata al giudice, ma alla contrattazione collettiva.

La ricaduta sull’inquadramento professionale dei quadri degli istituti di credito.

Tenuto conto di un tanto, verificheremo l’applicazione della nuova normativa in tema di mansioni proprio nell’ambito del lavoro bancario dove la contrattazione collettiva aveva già esteso, come vedremo, il concetto di equivalenza non solo tra diverse mansioni, ma pure tra diversi e sovrapposti livelli di inquadramento e dove tra l’altro, la specificità tecnica delle mansioni e dei profili professionali, rischia di creare rilevanti vuoti nella valutazione dell’equivalenza su base contrattuale. (si pensi ad un esperto di comunicazione assunto da una banca con un livello apicale).

Va anche considerato che l’intervento legislativo in esame si sovrappone ad inquadramenti contrattuali determinati dalle parti in considerazione della precedente normativa che considerava l’equivalenza di mansioni.

 

 

 

 

 

 

 

 

La tipicità dell’inquadramento nel settore bancario per quanto riguarda il personale con funzioni direttive affonda le proprie radici nel passato con l’emergere della categoria dei funzionari citata nella convenzione bancaria del 1927 che ampliava e ridefiniva i ruoli professionali del personale impiegatizio, affidando ai funzionari le più elevate mansioni di rappresentanza e di posizione gerarchica.

Dal funzionario al quadro del credito.

Questa nuova categoria si interponeva in una posizione intermedia tra la dirigenza e l’area impiegatizia.

La figura del funzionario ebbe a comparire nella contrattazione collettiva di settore sino al 1999, tenendo presente che nel 1974 le qualifiche di dirigente e di funzionario confluirono in un unico contratto collettivo.

Allorquando con la legge 190/85, a modifica dell’articolo 2095 del codice civile, venne istituita la categoria dei quadri, essa non ebbe immediati riflessi nell’ambito bancario dove all’apice del personale impiegatizio rimaneva la categoria dei funzionari.

Un tanto era ribadito nel protocollo d’intesa del 12 dicembre 1985 che stabiliva la convivenza con diversi contratti della categoria dei quadri con quella dei funzionari.

Infatti, il CCNL 30 aprile 1987 inseriva la categoria dei quadri nell’ambito del contratto degli impiegati, dei commessi e degli ausiliari, nel mentre il personale direttivo vero e proprio continuava ad essere inserito nell’ambito della contrattazione dei funzionari e dei dirigenti.

Era così adottata per i quadri la declaratoria che definiva questi ultimi come personale che in posizione superiore agli impiegati con il grado di capo ufficio era incaricato di mansioni di particolare responsabilità sul piano gerarchico o funzionale. La categoria si articolava in quadri e quadri con grado denominati quadri super.

Fu invece negli anni 90, allorquando per gli istituti bancari si profilavano importanti riorganizzazioni che maturò la decisione di riorganizzare l’inquadramento del personale.

Alla fine, il CCNL 11 luglio 1999 eliminava la tradizionale partizione tra contratto del personale direttivo e del personale non direttivo ed adottava un contratto unico per i quadri direttivi e le restanti aree professionali.

Si voleva così realizzare un sostanziale contenimento del costo del lavoro che potesse garantire la competitività degli istituti di credito italiani con quelli europei.

Fu quindi con l’accordo quadro del 28 febbraio 1998 che venne definita la nuova categoria dei quadri direttivi che andava a comprendere e ad assorbire quella dei funzionari.

Si stabiliva così che la nuova categoria dei quadri direttivi sarebbe stata articolata in quattro livelli retributivi.

In sede di prima applicazione, vennero inseriti nel primo e nel secondo livello i lavoratori già collocati nell’area quadri, nel mentre erano inseriti nel livello terzo e quarto i funzionari che non erano contestualmente passati alla categoria dirigenziale.

La situazione attuale appiattimento e fungibilità.

Si arrivò così a quella che può a tutt’oggi definirsi come la situazione d’inquadramento attuale.

Il contratto collettivo definisce quadri direttivi i lavoratori/lavoratrici che, pur non appartenendo alla categoria dei dirigenti, siano stabilmente incaricati dall’impresa di svolgere, in via continuativa e prevalente, mansioni che comportino elevate responsabilità funzionali ed elevata preparazione professionale e/o particolari specializzazioni.

Di seguito, il medesimo contratto indica le singole declaratorie professionali cui va attribuita la qualifica di quadro.

A sua volta, l’area quadri è suddivisa in n.4 aree retributive cui sono ricondotte le seguenti declaratorie professionali:

 

1° livello retributivo Sono compresi in questo livello retributivo: il personale di elevata professionalità che, adibito a mansioni di consulenza qualificata nel campo finanziario e dello sviluppo, esplica la sua attività con autonomia di decisione, in via continuativa, nell’ambito delle direttivi ricevute; il personale di elevata professionalità che, adibito a mansioni altamente specializzate nel campo del servizio estero-merci, esplica la sua attività con autonomia di decisione, in via continuativa, nell’ambito delle direttive ricevute.

 2° livello retributivo E’ compreso in questo livello retributivo il personale individuato attraverso i profili professionali del 1° livello retributivo preposto ad unità operativa complessa.

3° livello retributivo Sono compresi in questo livello retributivo: il responsabile della funzione contabile, preposto ad unità operativa complessa all’uopo costituita, che in autonomia e con poteri di firma risponde del sistema, delle scritture e delle risultanze contabili, predispone organicamente gli elementi del bilancio consuntivo a fini civili e fiscali, predispone organicamente gli elementi del bilancio preventivo e controlla l’andamento delle risultanze contabili dei singoli servizi rispetto al bilancio di previsione approvato, provvede agli adempimenti fiscali, provvede alle segnalazioni di Vigilanza, assicura il rispetto di norme, prescrizioni e deliberazioni per tutto quanto concerne l’attività contabile;

 il responsabile della segreteria fidi, preposto ad unità operativa complessa all’uopo costituita, che in autonomia e con poteri di firma risponde della raccolta e della istruttoria delle domande di fido formulando al termine pareri scritti, risponde del perfezionamento della concessione dei fidi e delle relative garanzie, risponde della tenuta del LIBRO FIDI, controlla l’aggiornamento, le scadenze ed i rinnovi degli affidamenti e delle garanzie, rileva organicamente le posizioni a rischio, risponde del sistema delle informazioni alla Centrale dei Rischi, assicura il rispetto di norme, prescrizioni e deliberazioni vigenti sulle materie trattate; il responsabile dell’ispettorato interno, preposto ed unità operativa complessa all’uopo costituita, che in autonomia e con le funzioni previste dalle istruzioni di Vigilanza, controlla, sulla base di regolamento approvato dal consiglio di amministrazione, il corretto andamento di tutti i settori aziendali (organizzazione periferica e servizi centrali), secondo norme, prescrizioni e deliberazioni vigenti per detti settori);

il responsabile della organizzazione, preposto ad unità operativa complessa all’uopo costituita, che in autonomia, sulla base di direttive generali, cura organicamente l’analisi e la soluzione dei problemi organizzativi e funzionali dell’azienda, in termini attuali e di sviluppo; al fine esamina e pianifica, compiutamente, le esigenze di struttura, le dotazioni necessarie (macchine ed impianti), i procedimenti di lavoro, le esigenze di organico, l’impiego e la formazione del personale; assicura il rispetto di norme, prescrizioni e deliberazioni nella soluzione dei problemi trattati; il responsabile di centro di elaborazione dati, preposto ad unità operativa con organizzazione ed apparecchiature complesse, che di fatto provveda, compiutamente, ad analisi, programmazione ed elaborazione dei dati necessari per tutte le esigenze aziendali, in completa autonomia; assicura il rispetto di norme, prescrizioni e delibere di sicurezza; il responsabile della tesoreria, preposto ad unità operativa complessa all’uopo costituita, che in autonomia e con poteri di firma, sulla base di direttive generali, gestisce organicamente le liquidità aziendali, al fine seguendo compiutamente l’andamento dei mercati ed intrattenendo rapporti con operatori monetari e finanziari: fornisce organicamente indirizzi, informazioni e consulenza all’ufficio titoli; assicura il rispetto di norme, prescrizioni e deliberazioni vigenti per l’impiego delle liquidità aziendali; ¾ il responsabile dell’area legale, preposto ad unità operativa complessa all’uopo costituita, che con autonomia e con poteri di firma presta consulenza ed assistenza legale, per gli affari ed i problemi di tutti i settori aziendali, e gestisce il recupero dei crediti e le altre controversie aziendali, direttamente in fase stragiudiziale, tramite professionisti esterni in fase giudiziaria; cura organicamente l’informazione dei settori tecnici ed amministrativi dell’azienda, per quanto riguarda gli aspetti legali delle rispettive attività, assicura il rispetto dell’ordinamento societario. Vanno altresì inquadrati nel 3° livello retributivo i prestatori di lavoro che, presso le Federazioni locali, assumono posizioni di responsabile dell’area legale e/o sindacale o di responsabile dell’area di assistenza tecnica e/o revisione, con preposizione ed unità operativa complessa, al fine forniscono, in autonomia, sulla base di direttive generali, alla Federazione di appartenenza ed alle Casse aderenti, consulenza ed assistenza, su tutti i problemi dell’area presenti nel settore credito, nonché per la revisione effettuano controlli, pianificati e d’urgenza, assicurano completa conoscenza di norme, prescrizioni e delibere d’ordine generale e/o collettivo relative alla propria aerea.

4° livello retributivo E’ compreso in questo livello retributivo: − il personale individuato attraverso i profili professionali del 3° livello retributivo responsabile di strutture ovvero di unità funzionali con un numero di addetti superiore a 12; − il vice direttore di azienda da intendersi non il sostituto del direttore durante le assenze e/o colui che, occasionalmente, è coadiutore dello stesso, ma colui il quale partecipa quotidianamente alla direzione aziendale mediante ripartizione dei compiti direttivi sulla base di apposite deliberazioni del Consiglio di Amministrazione, salva sempre la sovrintendenza su tutto del direttore. Il personale con incarico di vice direzione di azienda inquadrato nel 3° livello retributivo viene collocato nel 4° livello retributivo.

Dunque, ci troviamo di fronte ad un assetto contrattuale ad alta flessibilità sorto sulla base proprio di questa specifica esigenza e rafforzato in tal senso da ulteriori previsioni pattizie.

La contrattazione collettiva infatti, ha introdotto apposite clausole che permettono una certa mobilità tra i diversi livelli dell’area quadri.

L’articolo 83 del CCNL prevede espressamente che:

Di seguito però in ragione di ciò nell’accordo di rinnovo 19 gennaio 2012 fu stabilito che, per il periodo di vigenza del contratto stesso (e cioè fino al 30 giugno 2014, poi prorogato dal contratto del 2015 e, a quanto consta, non riprodotta in quello del 2019), «la piena fungibilità nell’ambito della categoria dei quadri direttivi viene estesa tra il primo ed il quarto livello retributivo». Allo stato, questa disposizione contrattuale non risulterebbe più vigente in quanto le organizzazioni sindacali non hanno voluto sottoscriverne il rinnovo.

Obiettivi per il futuro.

Ci si chiede a questo punto se la flessibilità di mansioni adottata allorquando vigeva il principio limitativo di equivalenza, non comporti oggi un eccessivo margine d’azione per il datore di lavoro nell’ambito di un’area quadri che sino a poco tempo fa condivideva il proprio contratto con quello della dirigenza.

In pratica, le nuove disposizioni di legge riconducibili al DLGS 81/2015 pur avendo superato il concetto di equivalenza, impedirebbero comunque la mobilità tra i diversi livelli di una già ampia area quadri, nel mentre la contrattazione collettiva è idonea addirittura a superare questo tenue limite.

Si rende forse sul punto necessaria un’attenta revisione delle norme contrattuali.

Fabio Petracci

Cassazione Sezione Lavoro , sentenza n.14198 del 24.5.2021. Licenziamento collettivo – violazione dei criteri di scelta – Interesse ad agire – necessità – il lavoratore deve dimostrare che qualora fosse stato adottato un criterio corretto, non si sarebbe pervenuti al suo licenziamento –

La Corte di Cassazione di fronte all’effettiva violazione dei canoni di scelta dei lavoratori da licenziare, ha ritenuto che, in caso di violazione dei criteri di scelta, l’annullamento non può essere domandato indistintamente da ciascuno dei lavoratori licenziati, bensì solo da chi non sarebbe stato ricompreso nella platea dei destinatari dell’atto espulsivo ove la violazione non fosse stata realizzata. Ciò perché l’azione di annullamento, a differenza di quella di nullità, presuppone un interesse qualificato e richiede che il vizio abbia avuto incidenza determinante nell’adozione dell’atto contestato.

La decisione appare in linea con precedenti decisioni di cui la più recente Cassazione Sezione Lavoro 10.12.2020 n.9828 che ha ritenuto inammissibile per difetto di interesse, il motivo di impugnazione con il quale era dedotta la violazione di norme giuridiche prive di qualsivoglia influenza in relazione alle domande proposte.

Nello specifico, la Corte riteneva come l’invalidità del licenziamento collettivo per violazione dei criteri di scelta rientrava nel novero delle annullabilità ex articolo 1441 del codice civile comma 1 e non in quello delle nullità, per cui, l’azione per l’annullamento può essere proposta non da chiunque, ma soltanto da coloro che abbiano subito un pregiudizio diretto in ragione della violazione.

Dello stesso tenore, la precedente Cassazione 1.12.2016 n.24558 che censurava una decisione del giudice di merito il quale di fronte ad una violazione dei criteri di scelta nel licenziamento collettivo, aveva escluso l’applicazione della cosiddetta “prova” di resistenza, argomentando per la connotazione pubblicistica della legislazione in materia.

La decisione si fonda sulla diversità degli istituti della nullità (articolo 1421 del codice civile) dove l’azione di nullità compete a chiunque vi abbia interesse, e di annullamento la cui legittimazione ad agire (articolo 1441 compete esclusivamente a chi sia previsto dalla legge titolare dell’interesse ad agire.

Fabio Petracci.

 

Cassazione Sezione Lavoro 28.5.2021 n.14993. Pubblico impiego – dimissioni – accettazione da parte della pubblica amministrazione – non necessità. Convalida ex legge 92/2012 – inapplicabilità.

Le dimissioni del pubblico dipendente.

 

La Suprema Corte è investita del caso di un pubblico dipendente che rassegnate le dimissioni con semplice nota scritta,  ne chiede l’annullamento.

Ritiene come nell’ambito della Pubblica Amministrazione contrattualizzata con il DLGS n.29/1993, sia ormai inapplicabile la normativa che prevedeva l’accettazione delle dimissioni da parte dell’amministrazione medesima.

Così afferma testualmente in proposito la sentenza della Cassazione citata in epigrafe:

Questa Corte ha da tempo affermato che, a seguito dell’entrata in vigore del D.Lgs. n. 29 del 1993, essendo il cd. rapporto di pubblico impiego privatizzato regolato dalle norme del codice civile e dalle leggi civili sul lavoro, nonchè dalle norme sul pubblico impiego, solo in quanto non espressamente abrogate e non incompatibili, le dimissioni del lavoratore costituiscono un negozio unilaterale recettizio, idoneo a determinare la risoluzione del rapporto di lavoro dal momento in cui vengano a conoscenza del datore di lavoro e indipendentemente dalla volontà di quest’ultimo di accettarle, sicchè non necessitano più, per divenire efficaci, di un provvedimento di accettazione da parte della pubblica amministrazione (cfr. in tal senso Cass. 5 marzo 2009, n. 57; Cass. 5 marzo 2013, n. 5413).

3.2. Il principio è stato ribadito anche da Cass. 21 novembre 2018, n. 30126 che, proprio per l’affermata necessità di accertare esclusivamente l’intento risolutorio del soggetto che ha posto in essere il negozio, ha affermato che deve essere particolarmente rigorosa l’indagine diretta ad accertare che, da parte del lavoratore, sia stata effettivamente manifestata in modo univoco l’incondizionata e genuina volontà di porre fine al rapporto (nella specie, non risulta che l’atto di dimissioni de quo sia stato impugnato per essere frutto di un presupposto erroneo convincimento).

3.3. E’ stato, altresì, affermato (v. Cass. 10 febbraio 2009, n. 3267) che, proprio in ragione dell’effetto immediato di tali dimissioni, la successiva revoca è inidonea ad eliminare l’effetto risolutivo già prodottosi, restando peraltro salva la possibilità, per le parti, in applicazione del principio generale di libertà negoziale, di porre nel nulla le dimissioni con la conseguente prosecuzione a tempo indeterminato del rapporto stesso, e con l’onere, in tal caso, di fornire la dimostrazione del raggiungimento del contrario accordo, a carico del lavoratore (nel caso in esame, una tale evenienza non è stata giammai prospettata).

Non è neppure applicabile l’articolo 1, comma 7 (legge Fornero) che stabilisce i requisiti per rassegnare valide dimissioni, norma che la Cassazione ritiene inapplicabile al pubblico impiego, nell’attesa delle necessarie norme di raccordo.

Così testualmente afferma la Corte in motivazione:

  1. Tanto precisato in termini generali, va verificato se deroghe siano state introdotte dalla normativa successiva.

4.1. Va, al riguardo, osservato che, ai sensi della L. n. 92 del 2012, art. 1, comma 7, le disposizioni normative di cui alla medesima legge costituiscono principi e criteri per la regolazione dei rapporti di lavoro dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni di cui al D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 1, comma 2, e succ. mod., ferme restando le deroghe contemplate per il personale appartenente agli ordinamenti di cui all’art. 3 del medesimo D.Lgs..

A sua volta, il successivo comma 8 prevede espressamente che, al fine dell’applicazione del comma 7, il Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione, sentite le organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative dei dipendenti delle amministrazioni pubbliche, individua e definisce, anche mediante iniziative normative, gli ambiti, le modalità e i tempi di armonizzazione della disciplina relativa ai dipendenti delle amministrazioni pubbliche.

4.2. Questa Corte, con la sentenza Cass. 9 giugno 2016, n. 11868, che peraltro ha preso in esame, disattendendola, la precedente Cass. 26 novembre 2015, n. 24157 richiamata dalla ricorrente, ha affermato che sebbene la norma, che risulta dal combinato disposto della L. n. 92 del 2012, art. 1, commi 7 e 8, sia stata formulata in termini diversi rispetto ad altre disposizioni, con le quali è stata esclusa l’automatica estensione all’impiego pubblico contrattualizzato di norme dettate per l’impiego privato (si pensi, ad esempio, al D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 1, comma 2), tuttavia a fini interpretativi assume peculiare rilievo il rinvio ad un successivo intervento normativo contenuto nel comma 8, non dissimile da quello previsto dal D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 86, comma 8, che ha, appunto, demandato al Ministro della funzione pubblica, previa consultazione delle organizzazioni sindacali, di assumere le iniziative necessarie per armonizzare la disciplina del pubblico impiego con la nuova normativa, pacificamente applicabile al solo impiego privato. La circostanza che il comma 7 faccia salve le disposizioni della L. n. 92 del 2012 che dispongano in senso diverso, si giustifica considerando che la stessa legge contiene anche norme che si riferiscono espressamente all’impiego pubblico (si pensi, ad esempio, all’art. 2, comma 2, che esclude dall’ambito della operatività dell’ASPI i dipendenti delle pubbliche amministrazioni), sicchè la eccezione opera solo con riferimento alle disposizioni in relazione alle quali la questione della applicabilità all’impiego pubblico sia stata già risolta in modo espresso dal legislatore del 2012. Così è stato affermato che le modifiche apportate dalla L. n. 92 del 2012 alla L. n. 300 del 1970, art. 18 non si applicano ai rapporti di pubblico impiego privatizzato (sicchè la tutela del dipendente pubblico, in caso di licenziamento illegittimo intimato in data successiva all’entrata in vigore della richiamata L. n. 92, resta quella prevista dall’art. 18 St. lav. nel testo antecedente la riforma).

4.4. In ragione dei suddetti principi (ribaditi anche da Cass. 6 ottobre 2017, n. 23424, conforme alla citata Cass. n. 11868/2016) è stato ritenuto che, per l’applicabilità all’impiego pubblico contrattualizzato della disciplina concernente la procedura di convalida delle dimissioni, di cui alla L. n. 92 del 2012, art. 4, commi 16 – 22, occorre l’adozione di appositi provvedimenti attuativi per l’armonizzazione del lavoro privato con il lavoro nelle pubbliche amministrazioni (v. sul punto Cass. 9 agosto 2019, n. 21297). Ciò in quanto anche che la suddetta disciplina della convalida delle dimissioni è modulata sulle dinamiche del lavoro privato, in relazione all’esigenza di garantire che le dimissioni siano frutto di autonoma determinazione del lavoratore soprattutto nei periodi in cui lo stesso non può essere licenziato, piuttosto che su quelle del lavoro pubblico contrattualizzato. Ed infatti, la L. n. 92 del 2012, art. 4, commi da 16 a 22, al fine di garantire la corrispondenza tra la dichiarazione di volontà del lavoratore e l’intento risolutorio (in particolare nel caso in cui le dimissioni intervengano durante il periodo di gravidanza, e dalla lavoratrice o dal lavoratore durante i primi tre anni di vita del bambino o nei primi tre anni di accoglienza del minore adottato o in affidamento, o, in caso di adozione internazionale) rafforza il regime della convalida, che diviene condizione sospensiva della risoluzione del rapporto di lavoro stesso.”

 

Fabio Petracci.