Nuovo intervento della Corte Costituzionale in tema di licenziamenti.

L’articolo 18 della legge 300/1970 (Statuto dei Lavoratori) dopo la riforma Fornero del 2012 stabilisce, in caso di licenziamento illegittimo, per le aziende con un numero di lavoratori che ne comportano l’integrale applicazione, delle forme di tutela differenziate che vanno dalla effettiva reintegra a misure risarcitorie via via minori.

Non sempre l’applicazione delle stesse in relazione alle diverse ipotesi e tipologie del recesso appare semplice.

Quanto mai possibile ed attuale è invece il conflitto tra una normativa così frastagliata ed i principi della nostra Carta Costituzionale.

Esamineremo un comma del menzionato articolo 18 emblematico di un tanto dove si legge:

“Il giudice applica la medesima disciplina di cui al quarto comma  ( reintegra e risarcimento ) del presente articolo nell’ipotesi in cui accerti il difetto di giustificazione del licenziamento intimato, anche ai sensi degli articoli 4, comma 4, e 10, comma 3, della legge 12 marzo 1999, n. 68, per motivo oggettivo consistente nell’inidoneità fisica o psichica del lavoratore, ovvero che il licenziamento è stato intimato in violazione dell’articolo 2110, secondo comma, del codice civile. Può altresì applicare la predetta disciplina nell’ipotesi in cui accerti la manifesta insussistenza del fatto posto a base del licenziamento per giustificato motivo oggettivo; nelle altre ipotesi in cui accerta che non ricorrono gli estremi del predetto giustificato motivo, il giudice applica la disciplina di cui al quinto comma. In tale ultimo caso il giudice, ai fini della determinazione dell’indennità tra il minimo e il massimo previsti, tiene conto, oltre ai criteri di cui al quinto comma, delle iniziative assunte dal lavoratore per la ricerca di una nuova occupazione e del comportamento delle parti nell’ambito della procedura di cui all’articolo 7 della legge 15 luglio 1966, n. 604, e successive modificazioni”

In sostanza la “manifesta infondatezza” del fatto che comporta il licenziamento per giustificato motivo ne determina l’illegittimità con diritto alla reintegra.

Di fronte ad un fatto oggettivo come quello che determina il licenziamento per motivi economici l’individuazione del motivo manifestamente infondato e quindi non solo infondato, appare quanto mai ardua.

La questione recentemente era affrontata dalla Suprema Corte (Cassazione Sezione Lavoro 19.5.2021 n.13643 la quale riteneva che in tema di licenziamento per giustificato motivo oggettivo, ove risulti accertata la mancanza di un nesso causale tra il progettato ridimensionamento e lo specifico provvedimento di recesso,  il licenziamento deve essere ricondotto nell’alveo di quella particolare evidenza richiesta per integrare la manifesta insussistenza del fatto che giustifica la reintegra.

Ancor prima, lo stesso giudice di legittimità (Cass. civ., Sez. lavoro, 01/02/2019, n. 3129) riteneva come in tema di licenziamento per giustificato motivo oggettivo, fosse  illegittimo per difetto del nesso causale il recesso intimato per risoluzione del contratto di appalto cui il lavoratore era stato adibito con assegnazione di mansioni non coerenti con l’inquadramento spettante. Affermava la Corte come ai fini dell’individuazione della tutela applicabile, fra quella reintegratoria e quella indennitaria, il giudice di merito doveva espressamente verificare se fosse  evidente l’insussistenza della ragione inerente l’attività produttiva ovvero l’impossibilità di una diversa utilizzazione del lavoratore.

Sul punto, interveniva in una prima occasione, la Consulta la quale con la pronuncia n.59 del 1.4.2021 dichiarava l’illegittimità costituzionale del settimo comma qui esaminato nella parte in cui prevedeva che laddove il giudice accerti la manifesta insussistenza del fatto posto a base del licenziamento per giustificato motivo oggettivo, poteva, ma non necessariamente doveva, disporre la reintegrazione nel posto di lavoro (in dottrina, C Pisani, La riforma dei regimi sanzionatori del licenziamento per mano della Consulta, in Diritto Relazioni Industriali, 2021,2,522 e seguenti).

Anche recente dottrina affrontava il tema (Gianluca Lucchetti, Giurisprudenza Italiana n.11, novembre 2011 p.2414).

L’autore ritiene non del tutto condivisibili gli orientamenti che alla fine determinano la coincidenza tra insussistenza del giustificato motivo e manifesta insussistenza dello stesso, sosteneva infatti che in tal modo, vi era il pericolo di confondere la manifesta insussistenza del fatto posto a fondamento del giustificato motivo oggettivo con la sua insussistenza tout court e finendo in questo modo per sterilizzare il senso stesso della differenza di tutela accordata nell’uno e nell’altro caso, con evidenti pericoli di arbitrio giudiziale.

Lo stesso autore propone invece,  una propria teoria che lo stesso definisce come “mediana” affermando come il fatto su cui si fonda il licenziamento dovrebbe identificarsi con il nesso causale tra la scelta imprenditoriale (lo si ripete, di per sé insindacabile) e la soppressione del posto di lavoro, posto che la disposizione non parla di manifesta insussistenza del giustificato motivo oggettivo, bensì del “fatto” posto a suo fondamento. Quindi la manifesta infondatezza del fatto che sostiene il licenziamento per giustificato motivo oggettivo, andrebbe identificata nella mancanza di nesso causale del recesso.

In merito al concetto di manifesta infondatezza del giustificato motivo oggettivo, si era pure fatta strada inizialmente una soluzione che potremmo definire processualistica in base alla quale come fatto manifestamente insussistente doveva intendersi quel fatto che sul piano probatorio potesse immediatamente apparire come insussistente. (G., Lucchetti, in Colloqui giuridici sul lavoro. L’ingiustificatezza qualificata del licenziamento, cit. pag. 49 e segg.).

Successivamente la dottrina (A. Vallebona, L’ingiustificatezza qualificata del licenziamento: fattispecie e oneri probatori, in Dir. Rel. Ind., 2012, 621 e segg.) approdava ad un concetto più sostanziale che definiva come manifestamente infondato il licenziamento che presentava un’eccezionale carenza di argomenti a proprio favore il cosiddetto “torto marcio”.

Il punto è stato ora affrontato dalla Corte Costituzionale con la sentenza n.125 del 25.5.2022 la cui massima in sintesi stabilisce che:

“in materia di licenziamento per giustificato motivo oggettivo connesso a ragioni economiche, produttive e organizzative, va dichiarata costituzionalmente illegittima la disposizione di cui all’art. 18, settimo comma, secondo periodo, della legge 20 maggio 1970, n. 300 nella parte in cui prevede che, in caso di insussistenza del fatto, per disporre la reintegra occorra un quid pluris rappresentato dalla dimostrazione della “manifesta” insussistenza del fatto stesso, posto alla base del licenziamento per giustificato motivo oggettivo. Ciò in quanto al fatto che è all’origine di tale ipotesi di licenziamento si devono ricondurre l’effettività e la genuinità della scelta imprenditoriale, sulle quali il giudice è chiamato a svolgere una valutazione di mera legittimità, che non può sconfinare in un sindacato di congruità e di opportunità, così che la previsione del carattere manifesto di una insussistenza del fatto presenta profili di irragionevolezza intrinseca, poiché il requisito della manifesta insussistenza è indeterminato e demanda al giudice una valutazione sfornita di ogni criterio direttivo e per di più priva di un plausibile fondamento empirico, nell’alveo di controversie nelle quali il quadro probatorio è spesso articolato, tanto da non essere compatibile con una verifica prima facie dell’evidente insussistenza del fatto, che la legge richiede ai fini della reintegrazione.”

Approfondendo il ragionamento espresso nella motivazione della Corte emerge il rilievo di una ingiustificata, irrazionale ed illegittima differenziazione tra il licenziamento per giustificato motivo oggettivo ed il licenziamento per giusta causa, in quanto solo nella prima fattispecie sarebbe richiesta, ai fine della reintegrazione del lavoratore, una insussistenza manifesta del fatto. Ritiene inoltre la Consulta, che il requisito della manifesta insussistenza demanderebbe al giudice una valutazione sfornita di ogni criterio direttivo e per di più priva di un plausibile fondamento empirico

Si era prima accennato alle frastagliate regole che ormai disciplinano la materia dei licenziamenti.

Notiamo in proposito come il decreto legislativo 23/2015 applicabile ai lavoratori assunti all’entrata in vigore di quella legge, stabilisce che il datore di lavoro, nel caso di licenziamento illegittimo è obbligato alla reintegra nei seguenti casi:

  1. Licenziamento discriminatorio;
  2. Licenziamento nullo per espressa previsione di legge;
  3. Licenziamento inefficace perché intimato in forma orale;
  4. Licenziamento ingiustificato riferibile alla disabilità fisica o psichica del lavoratore;
  5. Licenziamento per giusta causa o per giustificato motivo oggettivo rispetto al quale sia dimostrata in giudizio l’insussistenza del fatto.

Non è prevista invece, forma alcuna di reintegra nel caso di licenziamento per giustificato motivo oggettivo nel caso di insussistenza del fatto.

Di fronte a quest’ultima ipotesi, il Giudice delle Leggi potrebbe ripercorrere l’iter argomentativo svolto nella sentenza in esame.

Sommessamente potremmo affermare che la materia oltre che di provvidenziali ed utili interventi della consulta, abbisognerebbe di un sostanziale riordino.

Fabio Petracci

WEBINAR – Decreto PNRR 2 (D.L. 36/22) e Riforma del Pubblico Impiego

Giovedì 23 giugno 2022, dalle 10.00 alle 12.00, l’avv. Petracci sarà relatore del webinar:

Decreto PNRR 2 (D.L. 36/22) e Riforma del Pubblico Impiego
Tutte le novità in materia di reclutamento, concorsi, fabbisogni del personale e codice di comportamento dei dipendenti

Durante la sessione affronterà in diretta tutti gli argomenti indicati nel programma, risponderà ai quesiti pervenuti e approfondirà le tematiche segnalate dai partecipanti.

L’obiettivo di questo webinar è fornire gli strumenti per attuare tutte le novità, in tema di pubblico impiego, introdotte dal PNRR 2 (D.L. 36/2022).

Saranno analizzate, punto per punto, le nuove disposizioni, con particolare attenzione a:

  • Programmazione dei fabbisogni e nuovi profili professionali
  • Reclutamento e possibilità di assunzione: novità
  • Nuove regole per i concorsi e portale unico del reclutamento inPA
  • Novità in tema di codice di comportamento dei dipendenti pubblici sui social
  • Parità di genere e vantaggi specifici per i generi meno rappresentati
  • Novità in tema di passaggi diretti e distacchi, concorsi e procedure di mobilità
  • Modifiche al decreto-legge 80/2021, applicazione a regioni ed enti locali
  • Incarichi professionali al personale in quiescenza: novità

La registrazione video del Webinar sarà disponibile entro 24 ore dalla conclusione.

Per informazioni sulle modalità di iscrizione si rimanda alla seguente pagina di riferimento della Professional Ac@demy.

Il preposto. Una nuova figura di responsabile operativo della sicurezza

Con la legge 215/2021 è stato convertito in legge il DL 146/2021 mirato al rafforzamento della disciplina in materia di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro.

Tra le norme rilevanti in materia, l’articolo 13 del decreto legge apporta numerose modifiche al DLGS 81/2008

A modifica dell’articolo 18 di quest’ultima disposizione di legge, è posta a carico dei datori di lavoro la formale individuazione della figura del preposto in ambito aziendale per l’effettuazione della concreta attività di vigilanza, mediante una specifica figura professionale cui la legge riconosce un particolare trattamento economico e normativo demandato ai contratti ed agli accordi collettivi di settore.

Andranno quindi adeguatamente chiariti l’ambito e le modalità di applicazione di tale normativa.

I primi obblighi che balzano all’attenzione sono quello della nomina formale di un preposto cui dovrà far seguito un incremento stipendiale in ragione delle maggiori responsabilità attribuite dalla legge.

Sul punto, andrebbero individuati i casi in cui si rende necessaria ed inderogabile la nomina del preposto. Un tanto potrebbe anche essere chiarito senza ulteriori interventi normativi nel documento di valutazione dei rischi.

Per quanto riguarda l’obbligo di integrazione retributiva, va notato che con la nuova previsione di legge si ampliano le competenze di questa nuova figura professionale cui dovrebbe corrispondere una diversa declaratoria contrattuale. Per quanto riguarda i nuovi compiti attribuiti al preposto, gli è conferito il potere di interrompere l’attività del lavoratore e informare i superiori diretti, in caso di mancata attuazione delle disposizioni o di persistenza dell’inosservanza.

Quindi un potere decisionale autonomo ed immediato destinato ad influire, come già rilevato, sulla declaratoria professionale nel contratto.

Nella sostanza l’intera vigilanza comportamentale è ora attribuita ad una figura ben individuata come quella del preposto.

Rilevante diviene questa previsione nel caso di appalto, laddove l’articolo 36 del Testo Unico sulla Sicurezza è integrato prevedendo un’integrazione che stabilisce la nomina del preposto e la comunicazione al committente anche in caso di affidamento di lavori in appalto.

Fabio Petracci

CONVEGNO – Quadri e Alte Professionalità nel Pubblico Impiego (meritocrazia e professionalità)

Il convegno, organizzato da CIU UNIONQUADRI, si terrà giovedì 10 marzo 2022 dalle ore 14:30 alle 17:30 a Roma presso il Parlamentino del CNEL, viale David Lubin n.2, (scarica la locandina) prevederà al termine di lavori una tavola rotonda moderata dall’avv. Fabio Petracci Presidente del Centro Studi Corrado Rossitto.

Contestualmente, in orario da programmarsi, si terrà pure una riunione del Centro Studi Corrado Rossitto.

Per i soci e consulenti del Centro Studi Corrado Rossitto che provengono da fuori Roma, CIU Unionquadri troverà una sistemazione presso un hotel di propria fiducia e rimborserà le spese del viaggio. Per fruire dell’agevolazione, sarà necessario comunicare la propria adesione entro la giornata del 4 marzo, telefonando dalle 9.00 alle 16.00 allo 06 320 04 27 oppure al 392 572 04 35, chiedendo della signora Zaira Odicino.

CASSAZIONE – Quando è legittimo il licenziamento per impossibilità di destinare il lavoratore a mansioni diverse.

Cassazione Civile 01386/22

Una lavoratrice addetta a mansioni di arredatrice era licenziata per giustificato motivo oggettivo a causa della soppressione della sua posizione lavorativa attuata dall’azienda prima che ne avvenisse il fallimento.

Il Tribunale fallimentare di Roma sul presupposto che in sede conciliativa il datore di lavoro aveva offerto alla lavoratrice occupazione con l’inferiore mansione di addetta alle vendite, che quest’ultima non aveva accettato, rispinge la domanda volta ad ottenere l’insinuazione nel passivo del risarcimento per il licenziamento illegittimo.

La Corte di Cassazione adita dalla lavoratrice decide invece diversamente.

Il giudice di legittimità sostiene come competa al datore di lavoro la prova dell’impossibilità di occupare diversamente il lavoratore.

Nel caso di specie, ritiene la Corte, la sentenza del Tribunale si è basata esclusivamente su di un fatto accaduto dopo il recesso e comunque senza fosse stata fornita la prova dei fatti su cui si basava la pretesa incollocabilità della lavoratrice.

Avvocato Fabio Petracci.

E’ possibile chiedere al proprio datore di lavoro un’aspettativa per provare un nuovo lavoro?

Mi viene richiesto se sia possibile chiedere al proprio datore di lavoro un’aspettativa al fine di provare un nuovo rapporto di lavoro.

La risposta è negativa. Né la legge, né la contrattazione collettiva prevedono simili ipotesi di aspettativa.

In linea di massima non è possibile l’esistenza di un rapporto sospeso per aspettativa accanto ad uno in essere.

L’unica eccezione è data dalla possibilità di far coesistere due rapporti di lavoro a tempo parziale che non comportino per il dipendente la violazione delle regole sulla concorrenza.

Chiaramente per instaurare il cumulo di questi rapporti è necessario che il primo datore di lavoro, cioè quello temporalmente precedente, accetti l’instaurazione di un rapporto di lavoro a tempo parziale.

La legge 53/2000 all’articolo5 prevede in ogni caso la possibilità di richiedere dopo cinque anni di anzianità un’aspettativa per la formazione o per il conseguimento di un titolo di studio della durata massima di undici mesi.

Ciò vale per qualunque tipo di formazione che non sia quella già organizzata dal datore di lavoro.

A questo punto, nulla vieterebbe che il lavoratore avviasse presso il futuro datore di lavoro uno stage formativo da svolgere durante l’aspettativa.

E’ anche possibile per il lavoratore in aspettativa instaurare durante l’aspettativa ed in coerenza con le motivazioni della stessa, instaurare un rapporto di consulenza o autonomo con terzi.

In ogni caso, la concessione dell’aspettativa è affidata alla discrezionalità motivata del datore di lavoro non prevede né retribuzione né accredito di contributi.

Fabio Petracci

 

 

 

Articolo 18 ed ipotesi di reintegra. Gli ultimi interventi della Consulta e della Suprema Corte.

Licenziamento disciplinare illegittimo.
Contratto collettivo prevede sanzione conservativa.
Cassazione Sezione Lavoro 25.11.2021 n.36729.

L’articolo 18 quarto comma della legge 300/70 riconosce il diritto alla reintegra del lavoratore licenziato nel caso di insussistenza del fatto contestato.
Ciò avviene nel caso in cui non sussista proporzionalità alcuna tra la sanzione ed il fatto contestato, sia allorquando la contrattazione collettiva preveda per il caso contestato l’applicazione di una sanzione conservativa.
Interessante sul punto, Cassazione Sezione Lavoro 15 dicembre 2020 n.28630 in Il Lavoro nella giurisprudenza n.10, 1 ottobre 2021,p.943 con nota di Francesca Nardelli.
Come notato dall’autrice, la Corte di Cassazione con una pronuncia quanto mai sintetica affronta il tema della rilevanza da attribuire al fatto contestato ai fini del licenziamento disciplinare, nonché sulla valutazione giudiziale delle tipizzazioni contrattuali, nel caso in cui sia accertata l’illegittimità del licenziamento per irrilevanza disciplinare della condotta ed il CCNL preveda per la fattispecie contestata una mera sanzione conservativa.
Nel caso in commento, la Corte di Cassazione confermava l’illegittimità del licenziamento ed il conseguente diritto alla reintegra sul presupposto in base al quale la fattispecie contestata in base al CCNL era risultata suscettibile della sola sanzione conservativa.
La Corte di Cassazione, nella valutazione del fatto addebitato al lavoratore, ha aderito invece all’orientamento giurisprudenziale prevalente secondo cui “l’insussistenza del fatto materiale va intesa come fatto disciplinarmente rilevante consistente in un comportamento astrattamente inadempiente corrispondente a quello considerato nella disposizione del codice disciplinare su cui di fonda la contestazione disciplinare elevata”.
Prevale in questo caso, l’indirizzo già prevalente nella giurisprudenza circa l’esatta portata da attribuire dopo le recenti riforme (Fornero e Jobs Act) all’espressione “insussistenza del fatto” ai fini della reintegrazione del lavoratore sul posto di lavoro.
In un primo momento, la tutela consistente nella reintegra era limitata al solo caso dell’insussistenza sul piano materiale dell’addebito contestato.
Quindi il giudice avrebbe dovuto esclusivamente accertare sul piano fenomenologico l’esistenza del fatto contestato.
In questo orientamento alcuni dei principali autori ( Persiani, Maresca, Vallebona).
Di seguito la giurisprudenza di legittimità ha fornito un diverso indirizzo chiarendo come l’insussistenza del fatto contestato comprenda anche le ipotesi della sussistenza materiale dello stesso priva però di valenza disciplinare (Cassazione n.20540/2015).
Di seguito, il legislatore mediante l’articolo 3 del DLGS 23/2015 aggiungeva alla parola “fatto contestato” il termine “materiale”.
Interveniva di seguito la pronuncia n.12174 del 2019 della Cassazione che ribadiva le conclusioni già prima assunte conferendo all’espressione insussistenza materiale del fatto contestato il significato di fatto non avente rilievo disciplinare ai fini del recesso.
Va notato inoltre che di recente la Corte Costituzionale con sentenza 1.4.2021 n.59 ha ritenuto confliggere con diverse disposizioni costituzionali e comunitarie il settimo comma dell’articolo 18 legge 300/70 nella parte in cui prevede che il giudice, quando accerti la manifesta insussistenza del fatto posto a base del licenziamento per giustificato motivo possa e non debba disporre la reintegrazione del lavoratore.
Fabio Petracci

L’anzianità professionale nell’ambito del settore sanitario.

Spesso la contrattazione collettiva subordina l’attribuzione di indennità o responsabilità professionali alla maturazione di determinati periodi di esperienza professionale.
Maggiore è l’incidenza di dette clausole, laddove si richiede una professionalità specifica, come nel caso della sanità pubblica.
Ci si chiede in proposito se e come le clausole contrattuali delimitino in qualche modo l’efficacia di tali forme di anzianità.
Viene in esame proprio il CCNL della Sanità Pubblica.
Ci poniamo il quesito in primo luogo se un contratto a termine in tale ambito, poi seguito da uno a tempo indeterminato possa valere come anzianità professionale.
Sul punto l’ARAN con un recente parere ha chiarito come il periodo lavorato con contratto a tempo determinato nell’ambito del comparto sanità pubblica debba essere computato a tutti gli effetti come anzianità professionale.
Lo stesso vale per i periodi lavorati presso altri datori di lavoro, ma sempre nell’ambito del Comparto Sanità Pubblica.
Lo stesso discorso non vale invece per periodi maturati nel settore sanitario, ma con applicazione di CCNL diverso, come ad esempio nell’ambito della Sanità Privata.
Dunque, l’unico e vero discrimine per considerare o meno i periodi professionali pregressi, è dato dal settore contrattuale di inquadramento.

Avvocato Fabio Petracci.

CASSAZIONE – Rito del lavoro e prova testimoniale: sanabile l’omessa indicazione dei nominativi dei testi da escutere

Cass. civ., Sez. VI – Lavoro, Ordinanza, 01/12/2021, n. 37773.
Nel rito del lavoro, la mancata indicazione dei nominativi dei testi nell’atto introduttivo, qualora la prova testimoniale sia stata comunque dedotta senza indicare le persone da interrogare, non determina la decadenza dalla relativa istanza istruttoria, ma concretizza una mera irregolarità che consente al giudice l’esercizio del potere – dovere di consentirne l’integrazione ex articolo 421 CPC, concedendo un termine perentorio per la regolarizzazione, integrando così le indicazioni concernenti le persone da interrogare. Solo l’inosservanza di detto termine produce la decadenza dalla prova, rilevabile anche d’ufficio.
Nel caso di specie, si trattava del ricorso di un lavoratore per ottenere il pagamento degli straordinari, senza aver indicato i nominativi dei testi che avrebbero dovuto confermare lo svolgimento della prestazione oltre l’orario.
La recente pronuncia della Sezione Lavoro è totalmente conforme a quanto a suo tempo stabilito dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione con la sentenza n.262/1997 la quale risolveva un contrasto giurisprudenziale in merito, ammettendo l’applicabilità dell’integrazione in base all’articolo 421 CPC.
Se esaminiamo il dato testuale dell’articolo 421 CPC, notiamo che il termine può con cui si apre il secondo comma della norma medesima porterebbe a ritenere come l’esercizio dei poteri officiosi costituisca una mera facoltà discrezionale del Giudice (in tal senso, Cassazione 6 marzo 1987 n.2382, 11 gennaio 1988 n.108, 3 maggio 1989 n.2588, 15 maggio 1990 n.4147. Di seguito, partendo dalla sentenza 17 giugno 2004 n.11353 delle Sezioni Unite è stato ritenuto come l’esercizio dei poteri officiosi di cui all’articolo 421 CPC non costituisca una facoltà discrezionale del Giudice del Lavoro, ma un suo obbligo, la cui omissione debba essere motivata si da consentire il sindacato della Corte di legittimità, sia sotto il profilo della violazione di legge, che del vizio di motivazione.

Avvocato Fabio Petracci.

Siglata l’intesa precontrattuale nel Pubblico Impiego: cambiamenti per inquadramenti e carriere.

Un passo verso la meritocrazia.
In data 21 dicembre, è stata sottoscritta la preintesa contrattuale tra ARAN ed associazioni sindacali cui a breve farà seguito il nuovo contratto collettivo per le Funzioni Centrali delle Amministrazioni statali.
Il contratto è espressamente definito dalle parti come uno strumento efficace ed innovativo di gestione del personale per incentivarne lo sviluppo professionale.
Professionalità e meritocrazia sono state del resto le mete del Ministro Brunetta anche nelle precedenti riforme che non sempre hanno raggiunto lo scopo anche a causa della complessità dei meccanismi premiali.
Per queste ragioni la parte dedicata all’inquadramento ed alle progressioni di carriera è stata ampliamente modificata.
Le modifiche all’attuale inquadramento professionale.
Il precedente inquadramento limitato a tre aree e concentrato principalmente nell’area B e C ha subito un interessante mutamento.
Sono state eliminate le tre aree contraddistinte da un semplice numero e ne sono state introdotte 4 contraddistinte da un indicazione professionale.
L’area base è quella degli operatori caratterizzata da mansioni semplici e da una scolarità corrispondente alla scuola dell’obbligo.
L’area successiva è invece quella degli assistenti dove è previsto un livello di mansioni di media difficoltà ed una scolarità corrispondente al livello di scuola superiore.
La terza area è quella dei funzionari con compiti direttivi e professionalità superiore per il cui ingresso è prevista almeno la laurea breve.
Va notato che l’accesso in base al titolo di studio può essere sostituito da un periodo prefissato di permanenza nell’area inferiore.
L’ipotesi contrattuale riguarda pure le progressioni orizzontali che saranno impostate con criteri di anzianità uniti a criteri meritocratici. Le progressioni orizzontali rivestiranno esclusivamente valenza economica.
L’area delle Elevate Professionalità.
La vera novità è però data dall’istituzione di una quarta area definita delle elevate professionalità.
In quest’ambito dovrebbe trovare collocazione il fulcro delle professionalità del personale non dirigente.
L’intesa precontrattuale inoltre prevede conformemente a quanto già stabilito dalla legge 80/2021 la possibilità di transito meritocratico tramite procedura valutativa e non concorso per il passaggio all’area superiore.
Notiamo inoltre come le posizioni organizzative siano previste per la sola area dei funzionari, nel mentre nell’ambito della quarta area, sarà prevista l’attribuzione generale di incarichi, come accade per la dirigenza.
Sicuramente si tratta di un passo in più per le alte professionalità nel pubblico impiego e speriamo sia un passo verso la meritocrazia.
E’ previsto un periodo transitorio per l’attuazione del nuovo inquadramento.
All’ipotesi contrattuale è allegata la tabella 2 che stabilisce la corrispondenza tra il vecchio inquadramento ed il nuovo.
Particolare significativo è il fatto che tale corrispondenza non è attuata per quarta area delle elevate professionalità, dove saranno attuati criteri marcatamente meritocratici.
Va ricordato che è la legge 80/2021 a prevedere l’esistenza di un’apposita area delle alte professionalità e che quindi detto sistema di inquadramento dovrà trovare applicazione a tutti i settori del pubblico impiego, ivi compresi sanità ed enti locali, con eccezione della scuola.
Fabio Petracci