SENTENZA – RIDERS, ammessa l’azione per condotta antisindacale.

Articolo 28 condotta antisindacale, applicabilità anche in assenza di subordinazione. Articolo 2 comma 1 DLGS 81/2015.

Tribunale Palermo, Sez. lavoro, Sent., 03/04/2023, n. 14491

La pronuncia che si annota pare rilevante in quanto ammette l’azione per condotta antisindacale ex articolo 28 legge 300/70 nell’ambito di un rapporto di lavoro che, anziché presentare i tratti della subordinazione, pare rientrare nella fattispecie di cui all’art. 2 comma 1, del D.Lgs. n. 81 del 2015 a tenore del quale “A far data dal 1gennaio 2016, si applica la disciplina del rapporto di lavoro subordinato anche ai rapporti di collaborazione che si concretano in prestazioni di lavoro prevalentemente personali, continuative e le cui modalità di esecuzione, sono organizzate dal committente. Le disposizioni di cui al presente comma si applicano anche qualora le modalità di esecuzione della prestazione siano organizzate mediante piattaforme anche digitali.”.

Ritiene il Tribunale di Palermo come il lavoro dei cosiddetti Riders, ben possa inserirsi in detta fattispecie legale, cui per legge vanno applicate le tutele previste per i lavoratori subordinati.

Ha sostenuto il Tribunale come, analizzando il meccanismo di funzionamento dell’app che gestisce le prestazioni lavorative dei riders è emerso come il modello organizzativo fosse standardizzato per tutte le società interessate e corrispondente a quello tutelato dall’art. 2 del D.Lgs. n. 81 del 2015, che prevede, appunto, le tutele del lavoro subordinato.

Giova quindi rilevare, ha sottolineato la sentenza in esame, come la giurisprudenza di merito, concordando pressoché costantemente sull’inquadramento della prestazione resa dai riders nell’alveo dell’art. 2, comma 1, D.Lgs. n. 81 del 2015, abbia ritenuto applicabile l’art. 28 L. n. 300 del 1970 a fattispecie analoghe a quella in esame (Trib. Bologna 2021 n. 2170, Trib. Milano 28.3.2021, Trib. Bologna 12.1.2023).

Le considerazioni espresse non si basano soltanto sull’equiparazione legale del trattamento della prestazione resa da questa specifica categoria di lavoratori al lavoro subordinato, ma anche su argomenti maggiormente complessi.

Sostiene il giudice del lavoro palermitano come al  riguardo devono richiamarsi, anche ai sensi dell’art. 118 disp. att., le argomentazioni espresse dal Tribunale di Milano nel decreto n. 889/2021 secondo cui “la norma, invero, parla di “datore di lavoro”, figura che, certamente non si rinviene nell’ambito di un rapporto in cui il lavoratore è un prestatore d’opera occasionale e non un lavoratore subordinato.

Ciò posto, si potrebbe obbiettare che, mentre l’art. 414 c.p.c. non riserva la propria operatività a determinate ipotesi soggettive, la lettera dell’art. 28 St. Lav., invece, pare delimitare la sua sfera di applicazione alle condotte antisindacali poste in essere da un datore di lavoro, quindi, nell’ambito di una subordinazione.

Aggiunge la sentenza di cui in epigrafe come occorra, tuttavia, considerare che la disposizione si colloca in un momento temporale e storico non recente e che, dal 1970, vi sono stati numerosi interventi legislativi, da ultimo l’art. 2D.Lgs. n. 81 del 2015. (…) La disposizione si colloca all’interno di una serie di interventi legislativi (decreti attuativi del JOB Act) con i quali si è inteso prendere consapevolezza delle numerose innovazioni, anche di carattere tecnologico che, negli ultimi anni, hanno caratterizzato il mondo del lavoro introducendo figure di lavoratori prima sconosciuti e forme di rapporti diversi da quelli tradizionali.

In questo stesso senso, anche il Tribunale di Firenze ha affermato: “È principio giurisprudenziale acquisito quello secondo cui l’art. 2 comma 1 del D.Lgs. n. 81 del 2015 ha riconosciuto alle collaborazioni organizzate dal committente ‘una protezione equivalente’ a quella dei lavoratori subordinati con ‘applicazione integrale della disciplina del lavoro subordinato’ (cfr. Cass. Sez. L -, Sentenza n. 1663 del 24/01/2020), nella quale sono compresi i diritti affermati nello Statuto dei lavoratori.

Va in tema di fattorini che eseguono le consegne a domicilio, citata Cassazione Sezione Lavoro 24.1.2020 n.1663 ha ritenuto che ai fattorini che effettuano consegna dei pasti a domicilio a seguito di un contratto di collaborazione stipulato con un’impresa che ne gestisce il rapporto attraverso una piattaforma digitale può trovare applicazione l’art. 2, comma 1, D.Lgs. n. 81/2015, laddove l’eterorganizzazione, accompagnata dalla personalità e dalla continuità della prestazione, è marcata al punto da rendere il collaboratore comparabile ad un lavoratore dipendente. L’art. 2 rappresenta infatti non un tertium genus compreso tra subordinazione e autonomia, ma una norma di disciplina volta ad assicurare al lavoratore la stessa protezione di cui gode il lavoratore subordinato.

La stessa sentenza ha inoltre chiarito come ai rapporti di collaborazione di cui all’art. 2 del d.lgs. n. 81 del 2015, in un’ottica sia di prevenzione sia “rimediale”, si applica la disciplina del rapporto di lavoro subordinato quando la prestazione del collaboratore sia esclusivamente personale, venga svolta in maniera continuativa nel tempo e le modalità di esecuzione della prestazione, anche in relazione ai tempi ed al luogo di lavoro, siano organizzate dal committente, senza che il giudice che ravvisi la concorrenza di tali elementi nella fattispecie concreta sia tenuto a compiere ulteriori indagini, né possa trarre, nell’apprezzamento di essi, un diverso convincimento dal giudizio qualificatorio di sintesi.

La sentenza è seguita da un’interessante nota di Giuseppe Antonio Recchia, Il Lavoro nella giurisprudenza n.3, 1 marzo 2020, p.239.

Conversione del decreto legge 44/2023. Le principali novità

La Camera ha approvato il DDL di conversione del decreto-legge n. 44/2023 “Disposizioni urgenti per il rafforzamento della capacità amministrativa delle amministrazioni pubbliche” concernente numerose modifiche introdotte al testo originario del decreto pubblicato in Gazzetta Ufficiale il 22 aprile scorso. Di seguito vediamo alcune delle principali novità introdotte durante la prima parte dell’esame parlamentare che – lo ricordiamo – proseguirà ora in Senato.

Trattenimento in servizio dirigenti prossimi alla quiescenza

Un primo punto riguarda la possibilità per le pubbliche amministrazioni di trattenere in servizio i dirigenti in quiescenza che siano in possesso di specifiche professionalità con incarichi che possono durare sino al 31.12.2026.

Riserva nei concorsi per chi ha svolto il servizio civile

E’ inoltre prevista nei concorsi delle amministrazioni pubbliche per personale non dirigente una riserva del 15% per coloro che abbiano concluso il servizio civile senza note di demerito.

Compilazione del PIAO indicando gli addetti alla formazione

Per quanto riguarda invece la formazione del personale nel settore pubblico, nella compilazione del PIAO nella parte relativa alla formazione, le pubbliche amministrazioni dovranno specificare le risorse finanziarie utilizzate, le metodologie formative utilizzate.

E’ previsto inoltre che le pubbliche amministrazioni dovranno individuare i formatori al loro interno tra i dirigenti ed i funzionari in possesso di idonee ed utili competenze.

Scorrimento delle graduatorie

Per quanto riguarda invece le graduatorie concorsuali, sarà possibile lo scorrimento delle stesse per effettuare nuove assunzioni nella misura del 20% dei candidati collocati in graduatoria.

Concorsi domande di partecipazione

Per quanto invece riguarda i concorsi organizzati su base territoriale, non sarà più possibile presentare domande di partecipazione multiple per più profili oggetto del bando o per diversi ambiti territoriali.

Sarà inoltre possibile lo scorrimento delle graduatorie con quelle di personale risultato idoneo in ambito territoriale contiguo.

Abolizione prova orale – procedure di reclutamento

Sino al 31.12.2026, i bandi di concorso per profili non apicale potranno prevedere lo svolgimento della sola prova scritta.

Contratti di apprendistato nella PA

Un importante novità riguarda la possibilità per le amministrazioni pubbliche di assumere nel limite del 10% delle facoltà di assunzione, giovani laureati individuati su base territoriale mediante avvisi pubblicati sul portale inpa.gov.it con contratto di apprendistato della durata massima di 36 mesi anche in deroga ai divieti posti dall’articolo 36 DLGS 165/2001.

Le procedure di reclutamento saranno basate su di una prova scritta e la valutazione di titoli e punteggi, oltre che su di una prova orale.

Contratti di formazione e lavoro nella PA

Sono inoltre previste sino al 31.12,2026, ulteriori assunzionidi giovani con contratto di formazione e lavoro nella misura del 10% delle facoltà di assunzione.

Convenzioni con le università per le assunzioni

Le assunzioni dovranno essere precedute da apposite convenzioni con le università per individuare studenti di età inferiore ai 24 anni che abbiano concluso gli esami previsti nel piano di studi.

I contratti in caso di esito positivo saranno trasformati in rapporti di lavoro a tempo indeterminato.

Potrà inoltre essere previsto nei bandi di concorso il raddoppio del punteggio relativo al titolo di studio richiesto qualora conseguito entro i cinque anni antecedenti il concorso.

Aspettativa non retribuita per i dipendenti pubblici

Il periodo è esteso a 36 mesi.

Disposizioni in materia di responsabilità erariale

E’ prorogato di un anno lo scudo erariale che limita per un anno la responsabilità erariale di amministratori e dipendenti pubblici per le sole condotte poste in atto con dolo.

Esclusione del controllo concomitante della Corte dei Conti sulle attività del PNRR

L’articolo 1 comma 12 quinquies lettera b), prevede l’esclusione, dal perimetro dei piani, programmi e progetti relativi agli interventi di sostegno e di rilancio dell’economia nazionale sui quali la Corte dei conti svolge il controllo concomitante, di quelli previsti o finanziati dal Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza ovvero dal Piano nazionale per gli investimenti complementari.

Monitoraggio delle riforme per la PA

Mediante l’articolo 2 è istituito presso il Dipartimento della Funzione Pubblica l’Osservatorio Nazionale del Lavoro Pubblico con il compito di promuovere lo sviluppo strategico del Piano integrato di attività e organizzazione e le connesse iniziative di indirizzo in materia di lavoro agile, innovazione organizzativa, misurazione e valutazione della performance, formazione e valorizzazione del capitale umano, nonché di garantire la piena applicazione delle attività di monitoraggio sull’effettiva utilità degli adempimenti richiesti dai piani non inclusi nel PIAO, anche con specifico riguardo all’impatto delle riforme in materia di pubblica amministrazione. L’Osservatorio assorbe le funzioni dell’Osservatorio nazionale del lavoro agile e della Commissione nazionale della performance.

Per quanto riguarda gli Enti Territoriali

Articolo 3, comma 2 restano nella facoltà di assunzione dei comuni sino a 5.000 abitanti le risorse non utilizzate nel 2022.

Articolo 3, comma 3 possibilità per i Comuni che eseguono interventi per progetti PNRR di assumere personale a termine per oltre 36 mesi con termine sino al compimento dell’0pera.

Stabilizzazioni di personale

L’articolo 3 comma 5 prevede la facoltà per gli enti Territoriali di procedere alla stabilizzazione nella qualifica ricoperta del personale non dirigenziale che entro il 31.12.2026 termine del provvedimento abbia maturato almeno 36 mesi di servizio, anche non continuativi, negli ultimi otto anni, presso l’amministrazione di assunzione.

Il reclutamento deve avvenire tramite procedura concorsuale.

Accesso alla Dirigenza Regioale

L’articolo 3, comma 5 ter prevede per le regioni Abruzzo, Lazio, Marche e Umbria di procedere sino al 31 dicembre 2016 ad indire concorsi pubblici per dirigenti per una quota del 50% di personale che abbia maturato con pieno merito almeno 36 mesi di servizio anche non continuativi, negli ultimi 8 anni, negli uffici per la ricostruzione relativamente agli eventi sismici dal 2009 al 2017.

Superamento del precariato nella PA

Un ulteriore misura di stabilizzazione è prevista dall’articolo 20 che permette l’assunzione sino al 31.12.2023 di personale non dirigente a favore di coloro che a far tempo dall’entrata in vigore della legge 124/2015 abbiano lavorato con contratti a tempo determinato presso le amministrazioni e servizi associati e sia stato a tale scopo reclutato mediante concorso.

Disposizioni in materia di vice segretari comunali

L’articolo 3, comma 6 quater estende da 24 a 36 mesi nei piccoli comuni la possibilità di affidare temporaneamente la funzione di vice segretario ad un funzionario di ruolo del Comune in servizio da almeno 2 anni ed in possesso dei requisiti per partecipare al concorso per segretario comunale.

Fabio Petracci

Incentivi per il personale che svolge funzioni tecniche nell’appalto. Cosa cambia con il DLGS 36/2023?

La questione ha costituito un punto molto importante e discusso nell’ambito della disciplina degli appalti, a 30 anni dall’entrata in vigore della legge Merloni.

La legge Merloni – legge 109/1994 all’articolo 18 prevedeva nel caso di lavori pubblici ed appalti di opere e di servizi (articolo 2 della legge medesima) un incentivo a valere sugli stanziamenti appositi nella misura del 15% a favore del personale addetto alle procedure di appalto.

Così stabiliva questa disposizione di legge dopo le modifiche apportate nel 1999:

Articolo 18.

  1. Una somma non superiore all’1,5 per cento dell’importo posto a base di gara di un’opera o un lavoro, a valere direttamente sugli stanziamenti di cui all’articolo 16, comma 7, è ripartita, per ogni singola opera o lavoro, con le modalità ed i criteri previsti in sede di contrattazione decentrata ed assunti in un regolamento adottato dall’amministrazione, tra il responsabile unico del procedimento e gli incaricati della redazione del progetto, del piano della sicurezza, della direzione dei lavori, del collaudo nonché tra i loro collaboratori. La percentuale effettiva, nel limite massimo dell’1,5 per cento, è stabilita dal regolamento in rapporto all’entità e alla complessità dell’opera da realizzare. La ripartizione tiene conto delle responsabilità professionali connesse alle specifiche prestazioni da svolgere. Le quote parti della predetta somma corrispondenti a prestazioni che non sono svolte dai predetti dipendenti, in quanto affidate a personale esterno all’organico dell’amministrazione medesima, costituiscono economie. I commi quarto e quinto dell’articolo 62 del regio decreto 23 ottobre 1925, n. 2537, sono abrogati. I soggetti di cui all’articolo 2, comma 2, lettera b), possono adottare con proprio provvedimento analoghi criteri.
    (comma così sostituito dall’articolo 13, comma 4, legge n. 144 del 1999)

Con il DLGS 163/2006, i compensi per detto personale erano affidati ad apposito decreto emanato dal Ministero di Giustizia.

Entrava in vigore successivamente il DL 90/2014 che convertito nella legge 114/2014 all’articolo 7 ter stabiliva che

L’80 per cento delle risorse finanziarie del fondo per la progettazione e l’innovazione è ripartito, per ciascuna opera o lavoro, con le modalità e i criteri previsti in sede di contrattazione decentrata integrativa del personale e adottati nel regolamento di cui al comma 7-bis, tra il responsabile del procedimento e gli incaricati della redazione del progetto, del piano della sicurezza, della direzione dei lavori, del collaudo, nonché tra i loro collaboratori; gli importi sono comprensivi anche degli oneri previdenziali e assistenziali a carico dell’amministrazione. Il regolamento definisce i criteri di riparto delle risorse del fondo, tenendo conto delle responsabilità connesse alle specifiche prestazioni da svolgere, con particolare riferimento a quelle effettivamente assunte e non rientranti nella qualifica funzionale ricoperta, della complessità delle opere, escludendo le attività manutentive, e dell’effettivo rispetto, in fase di realizzazione dell’opera, dei tempi e dei costi previsti dal quadro economico del progetto esecutivo. Il regolamento stabilisce altresì i criteri e le modalità per la riduzione delle risorse finanziarie connesse alla singola opera o lavoro a fronte di eventuali incrementi dei tempi o dei costi previsti dal quadro economico del progetto esecutivo, redatto nel rispetto dell’articolo 16 del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 5 ottobre 2010, n. 207, depurato del ribasso d’asta offerto. Ai fini dell’applicazione del terzo periodo del presente comma, non sono computati nel termine di esecuzione dei lavori i tempi conseguenti a sospensioni per accadimenti elencati all’articolo 132, comma 1, lettere a), b), c) e d). La corresponsione dell’incentivo è disposta dal dirigente o dal responsabile di servizio preposto alla struttura competente, previo accertamento positivo delle specifiche attività svolte dai predetti dipendenti. Gli incentivi complessivamente corrisposti nel corso dell’anno al singolo dipendente, anche da diverse amministrazioni, non possono superare l’importo del 50 per cento del trattamento economico complessivo annuo lordo. Le quote parti dell’incentivo corrispondenti a prestazioni non svolte dai medesimi dipendenti, in quanto affidate a personale esterno all’organico dell’amministrazione medesima, ovvero prive del predetto accertamento, costituiscono economie. Il presente comma non si applica al personale con qualifica dirigenziale.

Con il codice degli appalti DLGS 50/2016

L’articolo 113 del DLGS 50/2016 Codice degli appalti disciplina nuovamente gli incentivi destinati alle funzioni tecniche e tecnico – amministrative nell’ambito degli appalti di lavori pubblici di lavori, servizi, forniture.

E’ stabilito un obbligo per ciascuna amministrazione di prevedere una quota pari al 2% sull’importo posto a base di gara.

All’intero, una quota pari all’80% è attribuita per ciascuna opera o servizio, secondo modalità da concordarsi in sede di contrattazione collettiva decentrata e sulla base di un regolamento adottato da ogni singola amministrazione.

La restante quota pari al 20% può invece essere utilizzata per l’acquisto di beni, servizi, o per tirocini professionali.

Il nuovo codice degli appalti. DLGS 36/2023.

Con il nuovo codice degli appalti DLGS 36/2023 articolo 45 e allegato 1.10, la materia subisce ulteriori modifiche e specificazioni-

Il nuovo codice conferma la previsione che vuole devoluto alle funzioni tecniche – amministrative il 2% –

L’allegato 1.10 specifiche le attività tecnico amministrative che potranno avvalersi della previsione.

Se gli incentivi rappresentano il 2% dell’importo dei lavori, su questa quota è operata una ulteriore ripartizione.

L’80% è desinato ai tecnici ed il residuo 20% può essere utilizzato per l’acquisto di beni, strumenti, servizi o per tirocini e corsi, ma anche per l’introduzione di nuove tecnologie.

E’ inoltre aumentato il tetto massimo degli incentivi che viene elevato al 100% del tetto retributivo individuale, mentre il DLGS 50/2016 prevedeva un tetto massimo del 50%.

Pagamento diretto

Non si verificherà più nessuna confluenza delle somme dovute nel fondo per l’incentivazione.

Gli importi saranno invece erogati direttamente al personale dipendente.

L’allegato I.10 contiene inoltre un elenco tassativo delle attività tecniche destinatarie degli stanziamenti. Ne riportiamo il testo:

“ALLEGATO I.10 – Attività tecniche a carico degli stanziamenti previsti per le singole procedure (Articolo 45, comma 1)

Attività di:

– programmazione della spesa per investimenti;
– responsabile unico del progetto;
– collaborazione all’attività del responsabile unico del progetto (responsabili e addetti alla gestione tecnico-amministrativa dell’intervento)
– redazione del documento di fattibilità delle alternative progettuali;
– redazione del progetto di fattibilità tecnica ed economica;
– redazione del progetto esecutivo;
– coordinamento per la sicurezza in fase di progettazione;
– verifica del progetto ai fini della sua validazione;
– predisposizione dei documenti di gara;
– direzione dei lavori;
– ufficio di direzione dei lavori (direttore/i operativo/i, ispettore/i di cantiere);
– coordinamento per la sicurezza in fase di esecuzione;
– direzione dell’esecuzione;
– collaboratori del direttore dell’esecuzione
– coordinamento della sicurezza in fase di esecuzione;
– collaudo tecnico-amministrativo;
– regolare esecuzione;
– verifica di conformità;
– collaudo statico (ove necessario).”

Per quanto riguarda le erogazioni, pare non si rendono più necessarie negoziazioni in sede sindacale o regolamenti aziendali.

Stabilisce il nuovo codice degli appalti sempre all’articolo 45 testualmente che:

I criteri del relativo riparto, nonché quelli di corrispondente riduzione delle risorse finanziarie connesse alla singola opera o lavoro, a fronte di eventuali incrementi ingiustificati dei tempi o dei costi previsti dal quadro economico del progetto esecutivo, sono stabiliti dalle stazioni appaltanti e dagli enti concedenti, secondo i rispettivi ordinamenti, entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore del codice.

L’articolo 45 del Codice Appalti stabilisce inoltre che che

“l’allegato I.10 è abrogato a decorrere dalla data di entrata in vigore di un corrispondente regolamento adottato ai sensi dell’articolo 17, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400, con decreto del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, sentito il Consiglio superiore dei lavori pubblici, che lo sostituisce integralmente anche in qualità di allegato al codice.”

Stabilisce inoltre l’articolo 45 in termini innovativi come la normativa incentivante si applichi anche agli appalti relativi a servizi o forniture nel caso in cui è nominato il direttore dell’esecuzione.

La competenza dell’erogazione è con il nuovo codice del dirigente incaricato, sentito il RUP-

Così stabilisce l’articolo 45 del nuovo Codice Appalti al comma 4:

L’incentivo di cui al comma 3 è corrisposto dal dirigente, dal responsabile di servizio preposto alla struttura competente o da altro dirigente incaricato dalla singola amministrazione, sentito il RUP, che accerta e attesta le specifiche funzioni tecniche svolte dal dipendente.

Inoltre l’articolo 45 già citato del nuovo codice appalti stabilisce pure in maniera dettagliata la destinazione del residuo 20% del fondo, nei seguenti termini:

“6.    Con le risorse di cui al comma 5 l’ente acquista beni e tecnologie funzionali a progetti di innovazione, anche per incentivare:

  1. a)  la modellazione elettronica informativa per l’edilizia e le infrastrutture;
  2. b)  l’implementazione delle banche dati per il controllo e il miglioramento della capacità di spesa;
  3. c)  l’efficientamento informatico, con particolare riferimento alle metodologie e strumentazioni elettroniche per i controlli.
  4.   Una parte delle risorse di cui al comma 5 è in ogni caso utilizzata:
  5. a)  per attività di formazione per l’incremento delle competenze digitali dei dipendenti nella realizzazione degli interventi;
  6. b)  per la specializzazione del personale che svolge funzioni tecniche;
  7. c)  per la copertura degli oneri di assicurazione obbligatoria del personale.
  8.   Le amministrazioni e gli enti che costituiscono o si avvalgono di una centrale di committenza possono destinare, anche su richiesta di quest’ultima, le risorse finanziarie di cui al comma 2 o parte di esse ai dipendenti di tale centrale in relazione alle funzioni tecniche svolte. Le somme così destinate non possono comunque eccedere il 25 per cento dell’incentivo di cui al comma 2.”

La Redazione

 

Licenziamento dell’assistente odontoiatrico per mancato aggiornamento periodico

Un caso aperto in tema di formazione professionale nelle professioni sanitarie.

Sabato 13 maggio a Milano si è tenuto a Milano al Pirellone, il convegno di SIASO – CIU UNIONQUADRI , Sindacato Italiano Assistenti Odontoiatrici.

L’avvocato Fabio Petracci per conto del Centro Studi di CIU Unionquadri ha trattato il tema relativo all’aggiornamento professionale della categoria.

Il DPCM 9 marzo 2022 individua il profilo professionale della categoria ed affida all’iniziativa delle regioni l’aggiornamento periodico della stessa.

Si sono verificati casi dove gli iscritti non hanno adempiuto tempestivamente a questo adempimento e l’associazione si vede costretta a fornire dei corsi integrativi con le conseguenti difficoltà legali.

Con l’entrata in vigore del DPCM 9 marzo 2022 è  recepito l’accordo sancito tra il Governo, le regioni e le Province autonome di Trento e Bolzano in data 7 ottobre 2021, concernente l’individuazione del profilo professionale dell’assistente di studio odontoiatrico, quale operatore d’interesse sanitario.

L’accordo definisce in maniera compiuta la figura professionale dell’assistente di studio odontoiatrico (articolo 1 dell’accordo) come figura di interesse sanitario di cui all’articolo 1, comma 2 legge 1 febbraio 2006 n.43.

Il successivo articolo 2 si occupa invece della formazione e dell’aggiornamento della categoria.

La formazione in base a tale norma è di competenza delle Regioni .

Il comma 3 stabilisce poi che coloro che abbiano ricevuto la formazione e la qualifica debbano frequentare degli eventi formativi di aggiornamento della durata di almeno dieci ore all’anno.

E’ inoltre stabilito che obbligo di aggiornamento annuale decorre dall’anno successivo a quello della data di acquisizione della qualifica/certificazione e deve essere concluso entro l’anno medesimo.

Si trascrive la parte di interesse del predetto accordo recepito in DPR

“   art. 2. Art. 2. La formazione 1. La formazione dell’assistente di studio odontoiatrico è di competenza delle regioni e delle Province autonome di Trento e Bolzano che, nel rispetto delle disposizioni del presente Accordo, procedono alla programmazione dei corsi di formazione e autorizzano le aziende del servizio sanitario regionale e/o gli enti di formazione accreditati per la realizzazione degli stessi, valorizzando le precedenti esperienze istituzionali e associative già esistenti.

  1. È consentito l’utilizzo della formazione a distanza FAD nella misura massima del 30 % delle lezioni frontali, salvo situazioni emergenziali sanitarie che possono richiedere una maggiore percentuale, conformemente a quanto stabilito nelle «Linee guida per l’utilizzo della modalità Fad/elearning nei percorsi formativi di accesso alle professioni regolamentate la cui formazione è in capo alle regioni e province autonome», approvate dalla Conferenza delle regioni e delle province autonome nella seduta del 25 luglio 2019. 3. Coloro che conseguono l’attestato di qualifica/certificazione ai sensi dell’art. 10 e 12 e i lavoratori esentati di cui all’art. 11, sono obbligati a frequentare degli eventi formativi di aggiornamento della durata di almeno dieci ore all’anno.
  2. L’obbligo di aggiornamento annuale decorre dall’anno successivo a quello della data di acquisizione della qualifica/certificazione e deve essere concluso entro l’anno medesimo.
  3. Nei casi di cui all’art. 11, la prima annualità di aggiornamento deve concludersi entro dodici mesi dall’entrata in vigore del presente Accordo.
  4. Fermo restando che la durata della formazione non può essere superiore a dodici mesi, la qualifica di assistente di studio odontoiatrico potrà essere acquisita anche tramite l’apprendistato per la qualifica e il diploma professionale ai sensi dell’art. 43 del decreto legislativo 15 giugno 2015, n. 81.

Risulterebbe che alcuni assistenti di studio odontoiatrico non abbiano puntualmente adempiuto agli obblighi di aggiornamento e quindi essendo questi infra – annuali non abbiano allo stato possibilità di adempiervi.

Quindi viene richiesto se un aggiornamento postumo potrebbe ovviare a questo inconveniente.

Formulo di seguito alcune considerazioni nel ricercare una soluzione che non comporti la decadenza dal titolo professionale se non addirittura l’esercizio abusivo della professione con il conseguente licenziamento.

Noto in primo luogo come il comma 2 dell’articolo 1 dell’accordo Governo Regioni definisce come assistente di studio odontoiatrico l’operatore in possesso dell’attestato conseguito a seguito della frequenza di specifico corso di formazione.

Quindi, l’elemento abilitante è dato dall’apposito attestato di formazione.

Non è menzionato il requisito dell’aggiornamento professionale che sicuramente assume importanza, ma non valenza costitutiva.

Ciò significa che il mancato aggiornamento ove non prolungato non può comportare la perdita dell’abilitazione, semmai potrebbe comportare ove esistente un ordine, collegio o associazione all’irrogazione di sanzioni e corsi di recupero e ove presente come ritengo un professionista datore di lavoro, l’irrogazione di una sanzione disciplinare conservativa.

La norma istitutiva non prevede una specifica sanzione per il mancato aggiornamento.

Vi è contestualmente un altro aspetto che porta a ritenere l’attuale normativa in tema di aggiornamento professionale obbligatorio come inadeguata e non conforme all’ordinamento nazionale.

Con il DPCM 9 marzo 2022, è stata modificata la precedente normativa DPCM del 9 febbraio 2018 che disciplinava la figura professionale dell’assistente di studio odontoiatrico quale operatore sanitario in base all’articolo 1 della legge n.43 del 2006 e la disciplina della relativa formazione.

Mediante l’allegato accordo Stato Regioni, è confermata la competenza delle Regioni sia nell’individuazione dei profili nei limiti di cui all’articolo 1 del DPR, sia nell’aggiornamento professionale obbligatorio, come previsto dall’articolo 2 del medesimo accordo.

Quivi si legge come la formazione dell’assistente odontoiatrico sia di competenza delle regioni le quali procedono alla programmazione dei corsi di formazione e autorizzano le aziende del servizio sanitario regionale e/o gli enti di formazione accreditati per la realizzazione degli stessi, valorizzando le precedenti esperienze istituzionali e associative già esistenti.

Essa non prevede neppure l’indicazione tassativa dei soggetti che debbono fornire l’aggiornamento.

Su tale base ritengo che sia onere e facoltà delle associazioni professionali di organizzare dei corsi di recupero possibilmente sotto l’egida di fondi interprofessionali o accordi di categoria oppure con riconoscimento di organi pubblici che sovrintendano alla formazione.

Qualora poi l’aggiornamento e l’impegno al recupero fossero inseriti nella contrattazione collettiva di categoria, trattandosi di lavoratori dipendenti, l’inserimento potrebbe essere efficace per la tutela da indesiderabili sorprese.

Fabio Petracci

SENTENZA – RIDERS, Articolo 28 condotta antisindacale, applicabilità anche in assenza di subordinazione.

Articolo 2 comma 1 DLGS 81/2015.

Tribunale Palermo, Sez. lavoro, Sent., 03/04/2023, n. 14491

La pronuncia che si annota pare rilevante in quanto ammette l’azione per condotta antisindacale ex articolo 28 legge 300/70 nell’ambito di un rapporto di lavoro che, anziché presentare i tratti della subordinazione, pare rientrare nella fattispecie di cui all’art. 2 comma 1, del D.Lgs. n. 81 del 2015 a tenore del quale “A far data dal 1gennaio 2016, si applica la disciplina del rapporto di lavoro subordinato anche ai rapporti di collaborazione che si concretano in prestazioni di lavoro prevalentemente personali, continuative e le cui modalità di esecuzione, sono organizzate dal committente. Le disposizioni di cui al presente comma si applicano anche qualora le modalità di esecuzione della prestazione siano organizzate mediante piattaforme anche digitali.”.

Ritiene il Tribunale di Palermo come il lavoro dei cosiddetti Riders, ben possa inserirsi in detta fattispecie legale, cui per legge vanno applicate le tutele previste per i lavoratori subordinati.

Ha sostenuto il Tribunale come, analizzando il meccanismo di funzionamento dell’app che gestisce le prestazioni lavorative dei riders è emerso come il modello organizzativo fosse standardizzato per tutte le società interessate e corrispondente a quello tutelato dall’art. 2 del D.Lgs. n. 81 del 2015, che prevede, appunto, le tutele del lavoro subordinato.

Giova quindi rilevare, ha sottolineato la sentenza in esame, come la giurisprudenza di merito, concordando pressoché costantemente sull’inquadramento della prestazione resa dai riders nell’alveo dell’art. 2, comma 1, D.Lgs. n. 81 del 2015, abbia ritenuto applicabile l’art. 28 L. n. 300 del 1970 a fattispecie analoghe a quella in esame (Trib. Bologna 2021 n. 2170, Trib. Milano 28.3.2021, Trib. Bologna 12.1.2023).

Le considerazioni espresse non si basano soltanto sull’equiparazione legale del trattamento della prestazione resa da questa specifica categoria di lavoratori al lavoro subordinato, ma anche su argomenti maggiormente complessi.

Sostiene il giudice del lavoro palermitano come al  riguardo devono richiamarsi, anche ai sensi dell’art. 118 disp. att., le argomentazioni espresse dal Tribunale di Milano nel decreto n. 889/2021 secondo cui “la norma, invero, parla di “datore di lavoro”, figura che, certamente non si rinviene nell’ambito di un rapporto in cui il lavoratore è un prestatore d’opera occasionale e non un lavoratore subordinato.

Ciò posto, si potrebbe obbiettare che, mentre l’art. 414 c.p.c. non riserva la propria operatività a determinate ipotesi soggettive, la lettera dell’art. 28 St. Lav., invece, pare delimitare la sua sfera di applicazione alle condotte antisindacali poste in essere da un datore di lavoro, quindi, nell’ambito di una subordinazione.

Aggiunge la sentenza di cui in epigrafe come occorra, tuttavia, considerare che la disposizione si colloca in un momento temporale e storico non recente e che, dal 1970, vi sono stati numerosi interventi legislativi, da ultimo l’art. 2D.Lgs. n. 81 del 2015. (…) La disposizione si colloca all’interno di una serie di interventi legislativi (decreti attuativi del JOB Act) con i quali si è inteso prendere consapevolezza delle numerose innovazioni, anche di carattere tecnologico che, negli ultimi anni, hanno caratterizzato il mondo del lavoro introducendo figure di lavoratori prima sconosciuti e forme di rapporti diversi da quelli tradizionali.

In questo stesso senso, anche il Tribunale di Firenze ha affermato: “È principio giurisprudenziale acquisito quello secondo cui l’art. 2 comma 1 del D.Lgs. n. 81 del 2015 ha riconosciuto alle collaborazioni organizzate dal committente ‘una protezione equivalente’ a quella dei lavoratori subordinati con ‘applicazione integrale della disciplina del lavoro subordinato’ (cfr. Cass. Sez. L -, Sentenza n. 1663 del 24/01/2020), nella quale sono compresi i diritti affermati nello Statuto dei lavoratori.

Va in tema di fattorini che eseguono le consegne a domicilio, citata Cassazione Sezione Lavoro 24.1.2020 n.1663 ha ritenuto che ai fattorini che effettuano consegna dei pasti a domicilio a seguito di un contratto di collaborazione stipulato con un’impresa che ne gestisce il rapporto attraverso una piattaforma digitale può trovare applicazione l’art. 2, comma 1, D.Lgs. n. 81/2015, laddove l’eterorganizzazione, accompagnata dalla personalità e dalla continuità della prestazione, è marcata al punto da rendere il collaboratore comparabile ad un lavoratore dipendente. L’art. 2 rappresenta infatti non un tertium genus compreso tra subordinazione e autonomia, ma una norma di disciplina volta ad assicurare al lavoratore la stessa protezione di cui gode il lavoratore subordinato.

La stessa sentenza ha inoltre chiarito come ai rapporti di collaborazione di cui all’art. 2 del d.lgs. n. 81 del 2015, in un’ottica sia di prevenzione sia “rimediale”, si applica la disciplina del rapporto di lavoro subordinato quando la prestazione del collaboratore sia esclusivamente personale, venga svolta in maniera continuativa nel tempo e le modalità di esecuzione della prestazione, anche in relazione ai tempi ed al luogo di lavoro, siano organizzate dal committente, senza che il giudice che ravvisi la concorrenza di tali elementi nella fattispecie concreta sia tenuto a compiere ulteriori indagini, né possa trarre, nell’apprezzamento di essi, un diverso convincimento dal giudizio qualificatorio di sintesi.

La sentenza è seguita da un’interessante nota di Giuseppe Antonio Recchia, Il Lavoro nella giurisprudenza n.3, 1 marzo 2020, p.239.

Fabio Petracci

SENTENZA Corte costituzionale – Procedure di stabilizzazione precluse ai lavoratori somministrati

Pubblico Impiego – Stabilizzazione del Personale Precario – Lavoratori Somministrati – Inapplicabilità delle procedure di stabilizzazione.

DLGS 75 /2017 articolo 20 commi 2 e 9 – esclusione dei lavoratori titolari di contratti di somministrazione di lavoro presso le pubbliche amministrazioni dalla possibilità di partecipare alle procedure concorsuali riservate in misura non superiore al 50% dei posti disponibili al personale non dirigenziale che risulti titolare di un contratto di lavoro flessibile.

Corte Costituzionale sentenza 12 maggio 2023 n.95 – insussistenza della questione di legittimità costituzionale.

La decisione in sintesi

La consulta ha ritenuto come le procedure di stabilizzazione costituiscano uno strumento di reclutamento derogatorio rispetto a quello ordinario del pubblico concorso, in quanto introducono un percorso riservato ad una platea ristretta di soggetti in possesso di specifici requisiti che abbiano maturato un periodo di esperienza lavorativa in ambito pubblico.

Nel caso di specie, ha rammentato la Consulta, il rapporto di lavoro vero è quello che intercorre tra agenzia e dipendente e, rispetto ad esso, non rilevano le vicende del contratto concluso tra agenzia ed utilizzatore.

Ha precisato quindi la Consulta come il contratto tra l’agenzia ed il dipendente non trova origine in una procedura selettiva, in quanto la Pubblica Amministrazione risulta essere soltanto un utilizzatore.

Ha quindi concluso precisando come i lavoratori messi a disposizione della Pubblica Amministrazione per tutta la durata della missione, pur svolgendo la loro attività nell’interesse e sotto la direzione dell’ente, non vengono ovviamente reclutati mediante l’espletamento di procedure concorsuali.

Quindi secondo la Corte, non sussiste alcuna ingiustificata disparità di trattamento.

Di seguito il testo integrale dell’ordinanza.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

Presidente: Giancarlo CORAGGIO

Giudici: Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI, Stefano PETITTI, Angelo BUSCEMA, Emanuela NAVARRETTA, Maria Rosaria SAN GIORGIO,

ha pronunciato la seguente

Svolgimento del processo

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 20, comma 9, del D.Lgs. 25 maggio 2017, n. 75, recante “Modifiche e integrazioni al D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165, ai sensi degli articoli 16, commi 1, lettera a), e 2, lettere b), c), d) ed e) e 17, comma 1, lettere a), c), e), f), g), h), l) m), n), o), q), r), s) e z), della L. 7 agosto 2015, n. 124, in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche”, promosso dal Tribunale ordinario di Massa, in funzione di giudice del lavoro, nel procedimento vertente tra M. F. e il Comune di Massa e altri, con ordinanza del 2 novembre 2020, iscritta al n. 23 del registro ordinanze 2021 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 9, prima serie speciale, dell’anno 2021.

Visto l’atto di costituzione di M. F.;

udito nell’udienza pubblica del 10 novembre 2021 il Giudice relatore Giovanni Amoroso;

uditi gli avvocati Sergio Vacirca e Daniele Biagini per M. F.;

deliberato nella camera di consiglio del 10 novembre 2021.

1.- Con ordinanza del 2 novembre 2020 (reg. ord. n. 23 del 2021), il Tribunale ordinario di Massa, in funzione di giudice del lavoro, ha sollevato, in riferimento all’art. 3 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 20, comma 9, del D.Lgs. 25 maggio 2017, n. 75, recante “Modifiche e integrazioni al D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165, ai sensi degli articoli 16, commi 1, lettera a), e 2, lettere b), c), d) ed e) e 17, comma 1, lettere a), c), e), f), g), h), l) m), n), o), q), r), s) e z), della L. 7 agosto 2015, n. 124, in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche”, nella parte in cui esclude i lavoratori utilizzati in base a contratti di somministrazione di lavoro presso le pubbliche amministrazioni dalla possibilità di essere “stabilizzati” alle dipendenze di quest’ultime, alle condizioni previste dai commi 1 e 2 del medesimo art. 20 D.Lgs. n. 75 del 2017, rispettivamente, per i lavoratori titolari di contratto di lavoro a tempo determinato e quelli titolari di contratto di lavoro flessibile.

Però il censurato comma 9 dell’art. 20 del D.Lgs. n. 75 del 2017 – emanato in attuazione della delega di cui alla L. 7 agosto 2015, n. 124 (Deleghe al Governo in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche) – esclude l’applicabilità delle disposizioni contenute nell’articolo medesimo ai lavoratori somministrati; esclusione questa che concerne, in primo luogo, la possibilità di “stabilizzazione” mediante assunzione con contratto a tempo indeterminato, la quale, al verificarsi di determinate condizioni, è invece riconosciuta ai lavoratori titolari di rapporto di lavoro a termine, ai sensi del comma 1 dell’articolo in esame.

L’esclusione, inoltre, riguarda la possibilità di partecipare alle procedure concorsuali eventualmente bandite dalle pubbliche amministrazioni ai sensi del comma 2 dello stesso articolo, e riservate, in misura non superiore al cinquanta per cento dei posti disponibili, al personale non dirigenziale che risulti titolare di un contratto di lavoro flessibile.

Secondo il rimettente, la disposizione sospettata di illegittimità costituzionale, nella parte in cui espressamente prevede le suddette esclusioni, determina una ingiustificata discriminazione a scapito dei lavoratori somministrati, avuto riguardo, per un verso, alla ratio della disciplina contenuta nel citato art. 20 D.Lgs. n. 75 del 2017 (norma ispirata dall’esigenza di superamento del precariato nelle pubbliche amministrazioni) e, per altro verso, alla sostanziale analogia sussistente tra la posizione del lavoratore subordinato a termine e quella del lavoratore somministrato a tempo determinato, sebbene quest’ultimo, a differenza del primo, sia formalmente alle dipendenze dell’agenzia di somministrazione.

L’ordinanza di rimessione è stata emessa nell’ambito di un giudizio introdotto da un lavoratore somministrato a tempo determinato nei confronti dell’amministrazione comunale utilizzatrice.

Il giudice a quo riferisce, in punto di fatto, che il ricorrente, M. F. ha premesso di aver prestato attività lavorativa presso il Comune di Massa, per oltre dodici anni e dunque ben oltre il limite di trentasei mesi previsto dal D.Lgs. 6 settembre 2001, n. 368 (Attuazione della direttiva 1999/70/CE relativa all’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato concluso dall’UNICE, dal CEEP e dal CES), e poi dal D.Lgs. 15 giugno 2015, n. 81 (Disciplina organica dei contratti di lavoro e revisione della normativa in tema di mansioni, a norma dell’articolo 1, comma 7, della L. 10 dicembre 2014, n. 183), svolgendo continuativamente mansioni di autista di scuolabus, sulla base di reiterati contratti di somministrazione di lavoro.

Ha quindi agito nei confronti del citato Comune per l’accertamento della illegittimità della condotta da esso tenuta “nella prosecuzione di offerte e sottoscrizioni di contratti di somministrazione e/o di missioni a termine” con tre diverse agenzie di somministrazione, in quanto stipulati in violazione della direttiva 1999/70/CE del Consiglio, del 28 giugno 1999, relativa all’accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato, degli artt. 1344 e 1418 del codice civile e degli artt. 35 e 36 del D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165, recante “Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche”, nonché per l’accertamento della nullità, illegittimità o simulazione dei contrati di lavoro subordinato stipulati nel corso del tempo con le stesse agenzie di somministrazione, e, infine, per la condanna del Comune al risarcimento dei danni subiti, mediante corresponsione dell’indennità forfetizzata prevista dall’art. 32, comma 5, della L. 4 novembre 2010, n. 183 (Deleghe al Governo in materia di lavori usuranti, di riorganizzazione di enti, di congedi, aspettative e permessi, di ammortizzatori sociali, di servizi per l’impiego, di incentivi all’occupazione, di apprendistato, di occupazione femminile, nonché misure contro il lavoro sommerso e disposizioni in tema di lavoro pubblico e di controversie di lavoro), e poi dall’art. 39, comma 2, del D.Lgs. n. 81 del 2015, nella misura di dodici mensilità della retribuzione globale di fatto percepita.

Il rimettente espone, poi, che, in seguito alla costituzione in giudizio del Comune resistente e all’integrazione del contraddittorio nei confronti delle tre società di somministrazione, il segretario generale dell’ente locale, nel corso dell’interrogatorio reso in udienza, ha dichiarato che sussisterebbe la possibilità di una conciliazione della controversia, essendo l’amministrazione disponibile a “stabilizzare” il ricorrente mediante assunzione a tempo indeterminato.

Il segretario generale, precisamente, avrebbe evidenziato che il Comune intenderebbe realizzare tale “stabilizzazione” attraverso l’esercizio della facoltà attribuitagli dall’art. 20 del D.Lgs. n. 75 del 2017, a mente del quale le pubbliche amministrazioni possono assumere a tempo indeterminato il personale non dirigenziale già in servizio con contratti a tempo determinato che si trovi nelle condizioni previste dall’articolo medesimo.

La concreta percorribilità di questa ipotesi conciliativa, tuttavia, troverebbe un unico ma insuperabile ostacolo nel comma 9 del medesimo art. 20 D.Lgs. n. 75 del 2017, che esclude dalla possibilità della “stabilizzazione” i lavoratori utilizzati sulla base di contratti di somministrazione.

1.1.- Il rimettente, nel sospettare di illegittimità costituzionale quest’ultima disposizione, nella parte in cui stabilisce la predetta esclusione, ritiene, anzitutto, che la questione sia rilevante nel giudizio a quo, poiché, a seguito dell’eventuale declaratoria di illegittimità costituzionale, il ricorrente otterrebbe una più ampia tutela della sua precaria situazione lavorativa, con l’instaurazione di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato, rispetto alla semplice tutela risarcitoria prevista dal combinato disposto degli artt. 36 del D.Lgs. n. 165 del 2001 e 32, comma 5, della L. n. 183 del 2010; il lavoratore, inoltre, fruirebbe di una più rapida definizione della controversia introdotta con il ricorso proposto contro la pubblica amministrazione.

1.2.- La questione sarebbe, altresì, non manifestamente infondata.

Avuto riguardo alla ratio della disciplina recata dall’art. 20 del D.Lgs. n. 75 del 2017 e alla sostanziale sovrapponibilità della posizione del lavoratore somministrato a tempo determinato rispetto a quella del lavoratore subordinato a termine, non sarebbe infatti sorretta da alcuna ragione giustificativa la disparità di trattamento tra il primo ed il secondo ai fini della possibilità di essere assunti a tempo indeterminato alle dipendenze dell’amministrazione presso la quale viene svolta l’attività lavorativa, allorché il lavoratore somministrato possegga i requisiti soggettivi previsti dalle lettere a) e c) di cui al comma 1 dello stesso art. 20 D.Lgs. n. 75 del 2017 (risulti, cioè, in servizio, successivamente alla data di entrata in vigore della L. n. 124 del 2015, presso l’amministrazione che procede all’assunzione e ivi abbia maturato almeno tre anni di servizio, anche non continuativi, negli ultimi otto anni) e sia privo soltanto del requisito di cui alla lettera b), relativo all’avvenuto reclutamento a tempo determinato mediante procedura concorsuale, il quale requisito non potrebbe sussistere in capo ad un lavoratore utilizzato sulla base di contratti di somministrazione.

2.- Non è intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, mentre si è costituito M. F., il quale ha invocato l’accoglimento della questione sollevata, sul presupposto di una progressiva, sostanziale e tendenzialmente effettiva equiparazione, sotto il profilo della tutela, tra la somministrazione di lavoro a termine e il contratto di lavoro a tempo determinato.

3.- La Confederazione generale italiana del lavoro (CGIL) ha depositato un’opinione scritta, in qualità di amicus curiae, sottolineando, in particolare, il carattere discriminatorio e ingiustificato dell’esclusione, operata dall’art. 20 del D.Lgs. n. 75 del 2017, della possibilità che i lavoratori somministrati possano partecipare alle procedure concorsuali riservate di cui al comma 2 del medesimo art. 20 D.Lgs. n. 75 del 2017.

4.- In prossimità dell’udienza pubblica, M. F. ha depositato una memoria con cui ha insistito nella richiesta di accoglimento della questione di legittimità costituzionale.

Motivi della decisione

1.- Con ordinanza del 2 novembre 2020 (reg. ord. n. 23 del 2021), il Tribunale ordinario di Massa, in funzione di giudice del lavoro, ha sollevato, in riferimento all’art. 3 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 20, comma 9, del D.Lgs. 25 maggio 2017, n. 75, recante “Modifiche e integrazioni al D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165, ai sensi degli articoli 16, commi 1, lettera a), e 2, lettere b), c), d) ed e) e 17, comma 1, lettere a), c), e), f), g), h), l) m), n), o), q), r), s) e z), della L. 7 agosto 2015, n. 124, in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche”, nella parte in cui esclude i lavoratori utilizzati in base a contratti di somministrazione di lavoro presso le pubbliche amministrazioni, dalla possibilità di essere “stabilizzati” alle dipendenze di quest’ultime, alle condizioni previste dai commi 1 e 2 del medesimo art. 20 D.Lgs. n. 75 del 2017, rispettivamente, per i lavoratori titolari di un contratto di lavoro a tempo determinato e quelli titolari di un contratto di lavoro flessibile.

Con norma di chiusura, l’ultimo periodo del comma 9 del citato art. 20 D.Lgs. n. 75 del 2017 esclude l’applicabilità delle disposizioni contenute nell’articolo medesimo ai lavoratori utilizzati sulla base di contratti di somministrazione.

Tale esclusione concerne, in primo luogo, la possibilità di essere assunti con contratto a tempo indeterminato, la quale, al verificarsi di determinate condizioni, è invece riconosciuta ai lavoratori titolari di rapporto di lavoro a termine, ai sensi del comma 1 dell’articolo in esame.

L’esclusione, in secondo luogo, riguarda la possibilità di partecipare alle procedure concorsuali eventualmente bandite dalle pubbliche amministrazioni ai sensi del comma 2 dello stesso articolo, e riservate, in misura non superiore al cinquanta per cento dei posti disponibili, al personale non dirigenziale che risulti titolare di un contratto di lavoro flessibile.

L’art. 20, comma 9, del D.Lgs. n. 75 del 2017 – emanato in attuazione della delega di cui alla L. 7 agosto 2015, n. 124 (Deleghe al Governo in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche) – sarebbe, dunque, costituzionalmente illegittimo, sia nella parte in cui esclude i lavoratori somministrati dalla possibilità di essere assunti a tempo indeterminato prevista dal comma 1, quando pure posseggano i requisiti di cui alle lettere a) e c) del detto comma (risultino, cioè, in servizio, successivamente alla data di entrata in vigore della L. n. 124 del 2015 presso l’amministrazione che procede all’assunzione o presso le amministrazioni con servizi associati e ivi abbiano maturato almeno tre anni di servizio, anche non continuativi, negli ultimi otto anni), sia nella parte in cui li esclude dalla possibilità di partecipare alle procedure concorsuali riservate di cui al comma 2, pur possedendo gli specifici requisiti da esso stabiliti (sebbene risultino, cioè, titolari di contratto di lavoro flessibile successivamente all’entrata in vigore della L. n. 124 del 2015 e abbiano maturato almeno tre anni di contratto, anche non continuativi, negli ultimi otto anni, presso l’amministrazione che bandisce il concorso).

Il dubbio di legittimità costituzionale, formulato in riferimento all’art. 3 Cost., si fonda sul rilievo della disparità di trattamento che, in ragione della predette esclusioni, si determinerebbe tra i lavoratori somministrati a tempo determinato e i lavoratori subordinati a termine, avuto riguardo, da un lato, al fondamento della disciplina contenuta nell’art. 20 del D.Lgs. n. 75 del 2017, consistente nell’esigenza di superamento del fenomeno del “precariato” nelle pubbliche amministrazioni, e, dall’altro lato, alla sostanziale sovrapponibilità tra le due posizioni, che non giustificherebbe siffatta differenziata disciplina.

2.- Preliminarmente, va osservato che sussiste la rilevanza, nel giudizio a quo, della questione di legittimità costituzionale del comma 9 del citato art. 20 D.Lgs. n. 75 del 2017, sollevata con riferimento all’esclusione di cui al precedente comma 1, mentre non è rilevante la stessa questione riferita all’esclusione di cui al comma 2.

In generale, la rilevanza, presupponendo, ai sensi dell’art. 23, secondo comma, della L. 11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale), un rapporto di strumentalità necessaria tra la risoluzione della questione e la decisione del giudizio principale (tra le tante, sentenza n. 158 e ordinanza n. 92 del 2019), deve ritenersi sussistente quando la norma della cui legittimità costituzionale il giudice dubiti debba essere applicata nel giudizio a quo per decidere il merito della controversia o una questione processuale o pregiudiziale, oppure quando la decisione della Corte comunque influisca sul percorso argomentativo che il giudice rimettente deve seguire per rendere la decisione.

Tuttavia, la rilevanza della questione ricorre anche ove la strumentalità sussista rispetto ad una possibile diversa definizione della lite, non strettamente a mezzo dalla decisione della causa.

Ciò accade quando il giudice – che formuli una proposta conciliativa o transattiva all’esito (e sulla base) dell’interrogatorio libero delle parti, secondo la regola processuale introdotta, nel 2010, nel rito del lavoro (art. 420, primo comma, del codice di procedura civile) e poi estesa, nel 2013, a tutte le controversie civili (art. 185-bis cod. proc. civ.) – trovi un ostacolo nel contenuto normativo di una disposizione appartenente al quadro normativo in cui può collocarsi la lite, che sia connessa strettamente al relativo thema decidendum; ostacolo costituito dall’asserito vizio di illegittimità costituzionale della disposizione stessa.

Sussiste la rilevanza se, soltanto a seguito della reductio ad legitimitatem di tale disposizione, il giudice, adempiendo all’incombente processuale posto a suo carico dall’art. 420, primo comma, cod. proc. civ., può formulare una proposta transattiva o conciliativa, la cui idoneità alla risoluzione della lite, mediante transazione o conciliazione, sia plausibile in ragione dell’esito dell’interrogatorio libero delle parti.

Ciò assicura la rilevanza della questione di legittimità costituzionale diretta a rimuovere il denunciato vizio della disposizione, la quale, nella sua portata vigente, non consentirebbe siffatta proposta perché quest’ultima risulterebbe contra legem.

2.1.- Nella vicenda in esame, il rappresentante della pubblica amministrazione datrice di lavoro ha dichiarato, in sede di interrogatorio libero, la disponibilità all’assunzione a tempo indeterminato del lavoratore utilizzato per molti anni (più di tre) sulla base di contratti di somministrazione a tempo determinato, ripetutamente rinnovati, sì da integrare tutti i requisiti previsti dall’art. 20, comma 1, del D.Lgs. n. 75 del 2017 per la stabilizzazione del personale precario con anzianità di almeno tre anni.

Il giudice, tenendo conto di tale disponibilità, potrebbe formulare ex art. 420, primo comma, cod. proc. civ., una proposta transattiva o conciliativa che contempli siffatta assunzione diretta e che plausibilmente potrebbe risolvere la lite solo se venisse rimosso, con dichiarazione di illegittimità costituzionale, il divieto di applicazione del citato art. 20 D.Lgs. n. 75 del 2017, comma 1, posto dal successivo comma 9, che, con prescrizione derogatoria, esclude tale forma di stabilizzazione in caso di utilizzo del lavoratore con contratto di somministrazione a tempo determinato.

L’eventuale risoluzione della lite in accoglimento di una proposta conciliativa o transattiva avente per oggetto l’assunzione a tempo indeterminato del lavoratore utilizzato sulla base di reiterati contratti di somministrazione, in conformità alla dichiarata disponibilità del rappresentante della pubblica amministrazione datrice di lavoro in sede di interrogatorio libero, da un lato, troverebbe il suo presupposto nella rimozione del divieto normativo di estensione ai somministrati della possibilità di “stabilizzazione” pura e semplice contemplata dall’art. 20, comma 1, del D.Lgs. n. 75 del 2017.

Dall’altro lato, consentirebbe al ricorrente di ottenere una tutela che, sebbene non perfettamente coincidente con il “petitum” della domanda proposta in giudizio, sarebbe tuttavia strettamente connessa con esso, ove si consideri che nel pubblico impiego privatizzato, nell’ipotesi di illegittima successione di contratti di somministrazione di lavoro a termine, il lavoratore che chiede il risarcimento del danno ha diritto, oltre all’indennità forfetizzata di cui all’art. 28 del D.Lgs. 15 giugno 2015, n. 81 (Disciplina organica dei contratti di lavoro e revisione della normativa in tema di mansioni, a norma dell’articolo 1, comma 7, della L. 10 dicembre 2014, n. 183), anche al ristoro del maggior pregiudizio di cui fornisca la prova, il quale compensa, per il lavoratore pubblico, proprio l’impossibilità della conversione del rapporto, consentita, invece, nel caso del lavoratore privato (Corte di cassazione, sezione lavoro, sentenza 15 febbraio 2021, n. 3815; sezioni unite civili, sentenza 15 marzo 2016, n. 5072). Il tema della conversione del rapporto appartiene quindi alla causa, seppur sub specie del pregiudizio per la mancata “assunzione”.

Non presenta, invece, analoga stretta connessione con il thema decidendum, né appartiene al quadro normativo in cui potrebbe collocarsi la proposta conciliativa o transattiva potenzialmente capace di risolvere la lite, la disposizione di cui al comma 2 dell’art. 20, la quale abilita le pubbliche amministrazioni ad indire procedure concorsuali riservate in vista della successiva stabilizzazione di personale titolare di contratto di lavoro flessibile.

Questa seconda norma, infatti, al contrario della prima, fa riferimento ad una eventualità che non solo è estranea al thema decidendum, ma neppure è stata evocata dal legale rappresentante della pubblica amministrazione convenuta nell’interrogatorio libero reso nel giudizio principale sì che, pertanto, rispetto a tale giudizio, resta meramente ipotetica ed astratta.

La questione di legittimità costituzionale dell’art. 20, comma 9, del D.Lgs. n. 75 del 2017, posta con riguardo al comma 2 del medesimo articolo, va dunque dichiarata inammissibile per difetto di rilevanza, dovendosi condurre la delibazione del merito della questione unicamente in quanto posta con riferimento al comma 1.

3.- Prima di esaminare il merito della questione, giova premettere, innanzi tutto, una sintetica ricostruzione del quadro normativo di riferimento, quanto alla disciplina del lavoro con contratto di somministrazione a tempo determinato presso la pubblica amministrazione in comparazione con quella del contratto di lavoro a termine; comparazione posta a fondamento della censura, sollevata dal giudice rimettente, di ingiustificato trattamento differenziato quanto alla richiamata disciplina straordinaria di stabilizzazione del precariato.

3.1.- La regolamentazione del contratto a tempo determinato e, più ampiamente, delle forme di impiego flessibili nella pubblica amministrazione, è contenuta, nelle sue linee generali, nell’art. 36 del D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165 (Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche), il quale, dopo aver subìto, nel corso del tempo, ripetute modifiche, operate nell’ambito di una pluriennale successione di norme novellatrici, è stato di recente ulteriormente modificato proprio dal D.Lgs. n. 75 del 2017 (art. 9).

Nell’attuale formulazione, l’art. 36 del D.Lgs. n. 165 del 2001, dopo aver previsto, quale principio generale, quello secondo cui “[p]er le esigenze connesse con il proprio fabbisogno ordinario le pubbliche amministrazioni assumono esclusivamente con contratti di lavoro subordinato a tempo indeterminato seguendo le procedure di reclutamento previste dall’articolo 35” (comma 1), aggiunge che il ricorso alla flessibilità, sempre nel rispetto delle medesime modalità di reclutamento, è consentito “soltanto per comprovate esigenze di carattere esclusivamente temporaneo o eccezionale” (comma 2).

Ove ricorrano tali esigenze, “[l]e amministrazioni pubbliche possono stipulare contratti di lavoro subordinato a tempo determinato, contratti di formazione e lavoro e contratti di somministrazione di lavoro a tempo determinato, nonché avvalersi delle forme contrattuali flessibili previste dal codice civile e dalle altre leggi sui rapporti di lavoro nell’impresa, esclusivamente nei limiti e con le modalità in cui se ne preveda l’applicazione nelle amministrazioni pubbliche”.

Sono possibili anche contratti di somministrazione di lavoro a tempo determinato, che sono disciplinati dagli artt. 30 e seguenti del D.Lgs. n. 81 del 2015, fatta salva la disciplina ulteriore eventualmente prevista dai contratti collettivi nazionali di lavoro.

Nel complesso, dunque, sono consentite tutte le forme contrattuali flessibili previste dal codice civile e dalle altre leggi sui rapporti di lavoro nell’impresa e sono specificamente menzionati, oltre a quello di formazione e lavoro, il contratto di lavoro a tempo determinato e il contratto di somministrazione a tempo determinato, che resta escluso solo per l’esercizio di funzioni direttive e dirigenziali.

Con riguardo alla somministrazione a tempo determinato, il rinvio agli artt. 30 e seguenti del medesimo decreto legislativo consente di ritenere estesa al datore di lavoro pubblico la nozione stessa di somministrazione, quale contratto con cui un’agenzia di somministrazione mette a disposizione di un utilizzatore uno o più lavoratori suoi dipendenti, i quali, per tutta la durata della missione, svolgono la propria attività nell’interesse e sotto la direzione e il controllo dell’utilizzatore. Il rinvio consente, inoltre, di ritenere applicabili le regole in tema di divieti, di forma, di regime contrattuale e di parità di trattamento.

Invece, quanto al contratto a tempo determinato, il rinvio alla disciplina prevista dagli artt. 19 e seguenti del D.Lgs. n. 81 del 2015, rende applicabili le norme generali in tema di lavoro a termine, con particolare riferimento a quelle concernenti la durata massima, i divieti, le proroghe e i rinnovi.

3.2.- La disciplina della somministrazione a tempo determinato e quella del contratto di lavoro a termine convergono, poi, quanto alla prevista esclusione della trasformazione in rapporto a tempo indeterminato per il caso di inosservanza delle regole richiamate, a differenza di quanto stabilito per il lavoro privato.

Il comma 5 dell’art. 36 del D.Lgs. n. 165 del 2001 stabilisce, infatti, che, “[i]n ogni caso, la violazione di disposizioni imperative riguardanti l’assunzione o l’impiego di lavoratori, da parte delle pubbliche amministrazioni, non può comportare la costituzione di rapporti di lavoro a tempo indeterminato con le medesime pubbliche amministrazioni, ferma restando ogni responsabilità e sanzione. Il lavoratore interessato ha diritto al risarcimento del danno derivante dalla prestazione di lavoro in violazione di disposizioni imperative”.

Il divieto della trasformazione del rapporto a tempo indeterminato è espressamente richiamato dal D.Lgs. n. 81 del 2015 nell’ambito delle norme deputate alla disciplina del lavoro a tempo determinato (art. 29, comma 4). Sicché, nel caso di illegittimo ricorso al contratto a termine, la forma di tutela del lavoratore pubblico consiste, dunque, nello strumento risarcitorio.

Analoga limitazione è prevista per la somministrazione (art. 31, comma 4).

Questa Corte ha da tempo chiarito (sentenza n. 89 del 2003) che tale diversificazione, tra il settore pubblico e il settore privato, della disciplina dei rimedi dell’inosservanza delle regole imperative sul contratto di lavoro a termine non si traduce in una illegittima e discriminatoria riduzione della tutela attribuita al pubblico dipendente, ma integra la necessaria implicazione dell’esigenza di rispettare il canone espresso dall’ultimo comma dell’art. 97 Cost., secondo cui agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni si accede mediante concorso, salvo i casi stabiliti dalla legge; canone che, a sua volta, costituisce proiezione del principio di eguaglianza, il quale esige che tutti, secondo capacità e merito, valutati per il tramite di una procedura di concorso, possano accedere all’impiego pubblico e che all’opposto non consente l’accesso in ruolo stabile per altra via, tanto più se segnata da illegalità.

La ragione della differenza del regime di tutela del lavoratore contro l’illegittimo ricorso al contratto a temine nel contesto del lavoro pubblico rispetto a quello vigente nel contesto del lavoro privato, risiede proprio nell’esigenza di rispetto di questo principio, posto a presidio delle esigenze di imparzialità e buon andamento dell’amministrazione, previste dallo stesso art. 97 Cost., che rende evidente la disomogeneità tra le due situazioni e giustifica la scelta del legislatore di ricollegare alla violazione di norme imperative riguardanti l’assunzione o l’impiego dei lavoratori da parte delle amministrazioni pubbliche conseguenze di carattere esclusivamente risarcitorio.

3.3.- In via ancora preliminare, va considerato che il frequente ricorso, da parte delle pubbliche amministrazioni, ai contratti a termine, di formazione e lavoro, di somministrazione e, in genere, alle forme contrattuali flessibili – pur consentito solo per esigenze di carattere esclusivamente temporaneo o eccezionale, ma spesso reiterato oltre i previsti limiti temporali – ha determinato situazioni di precariato, cronicizzate nel tempo.

Ciò ha indotto il legislatore ad introdurre procedure di “stabilizzazione”, finalizzate all’obiettivo dell’assorbimento dei lavoratori precari nel personale stabile con contratti a tempo indeterminato.

Le procedure di stabilizzazione costituiscono uno strumento di reclutamento derogatorio rispetto a quello ordinario del pubblico concorso, in quanto introducono un percorso riservato ad una platea ristretta di soggetti, che risultino in possesso di determinati requisiti e abbiano maturato un determinato periodo di esperienza lavorativa in ambito pubblico, secondo dettagliate disposizioni previste da specifiche leggi.

Siffatte procedure sono state previste, inizialmente, con le norme contenute nell’art. 1, commi 519 e 528, della L. 27 dicembre 2006, n. 296, recante “Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2007)” e nell’art. 3, comma 90, della L. 24 dicembre 2007, n. 244, recante “Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2008)”, riservate al personale non dirigenziale a termine che potesse vantare o fosse per conseguire specifici requisiti di anzianità e fosse stato reclutato mediante “procedure selettive di natura concorsuale o previste da norme di legge”.

Successivamente, altre procedure di stabilizzazione sono state introdotte dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, recante “Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (Legge di stabilità 2013)” e dall’art. 4, comma 6, del D.L. 31 agosto 2013, n. 101 (Disposizioni urgenti per il perseguimento di obiettivi di razionalizzazione nelle pubbliche amministrazioni), convertito, con modificazioni, nella L. 30 ottobre 2013, n. 125.

Più recentemente – come già ricordato – un’ipotesi ancor più ampia di stabilizzazione del precariato nel pubblico impiego è stata introdotta proprio dall’art. 20 del D.Lgs. n. 75 del 2017, il cui comma 9 costituisce oggetto della sollevata questione incidentale di legittimità costituzionale.

4.- Ciò premesso, la questione non è fondata.

5.- L’art. 20, comma 1, del D.Lgs. n. 75 del 2017 consente, sino al 31 dicembre 2022, l’assunzione a tempo indeterminato del personale non dirigenziale, con contratto di lavoro a tempo determinato, che possegga i seguenti requisiti: a) risulti in servizio, anche per un solo giorno, successivamente alla data del 28 agosto 2015, con contratto di lavoro a tempo determinato presso l’amministrazione che deve procedere all’assunzione; b) sia stato assunto a tempo determinato attingendo ad una graduatoria, a tempo determinato o indeterminato, riferita ad una procedura concorsuale – ordinaria, per esami o per titoli, ovvero anche prevista in una normativa di legge – in relazione alle medesime attività svolte e intese come mansioni dell’area o categoria professionale di appartenenza, procedura anche espletata da amministrazioni pubbliche diverse da quella che procede all’assunzione; c) abbia maturato, al 31 dicembre 2022, alle dipendenze della stessa amministrazione che procede all’assunzione, almeno tre anni di servizio, anche non continuativi, negli ultimi otto anni.

Gli anni utili da conteggiare ricomprendono tutti i rapporti di lavoro prestato direttamente con l’amministrazione, anche con diverse tipologie di contratto flessibile, ma devono riguardare attività svolte o riconducibili alla medesima area o categoria professionale che determina il riferimento per l’amministrazione dell’inquadramento da operare, senza necessità di vincoli ai fini dell’unità organizzativa di assegnazione.

Questa facoltà è riservata al personale con rapporto di lavoro a tempo determinato che, oltre a risultare in servizio, successivamente alla data del 28 agosto 2015, nell’amministrazione che procede all’assunzione – e oltre ad aver maturato presso di essa, al 31 dicembre 2022, almeno tre anni di servizio, anche non continuativi, negli ultimi otto anni – sia stato altresì reclutato, in relazione alle medesime attività svolte, mediante procedure concorsuali anche espletate presso amministrazioni diverse da quella che assume.

6.- Dalle procedure di “stabilizzazione” previste dall’art. 20 sono esclusi, per effetto della norma di chiusura contenuta nel censurato comma 9, ultimo periodo, del medesimo articolo, i lavoratori utilizzati mediante contratti di somministrazione di lavoro presso le pubbliche amministrazioni.

Tale esclusione, però, non è irragionevole, in riferimento all’art. 3 Cost. La prescrizione, contenuta nella disposizione censurata, dell’instaurazione di un rapporto di lavoro a seguito di concorso pubblico, prevista con riferimento alla fattispecie del contratto a termine, non è ipotizzabile anche per la parallela fattispecie del contratto di somministrazione a tempo determinato, poiché quest’ultimo non comporta l’instaurazione di un rapporto di lavoro diretto tra lavoratore somministrato ed ente utilizzatore.

Infatti, il contratto di somministrazione – definito come “contratto, a tempo indeterminato o determinato, con il quale un’agenzia di somministrazione autorizzata, ai sensi del D.Lgs. n. 276 del 2003, mette a disposizione di un utilizzatore uno o più lavoratori suoi dipendenti, i quali, per tutta la durata della missione, svolgono la propria attività nell’interesse e sotto la direzione e il controllo dell’utilizzatore” (art. 30 del D.Lgs. n. 81 del 2015) – costituisce una fattispecie negoziale complessa, in cui due contratti si combinano per realizzare la dissociazione tra datore di lavoro e fruitore della prestazione di lavoro, secondo una interposizione autorizzata dall’ordinamento in quanto soggetta a particolari controlli e garanzie, quali condizioni per prevenire il rischio che l’imputazione del rapporto a persona diversa dall’effettivo utilizzatore si presti a forme di elusione delle tutele del lavoratore.

Nell’ambito di tale fattispecie negoziale complessa si ha che il rapporto di lavoro è quello tra agenzia e dipendente e, rispetto ad esso, non rilevano le vicende del contratto concluso tra agenzia ed utilizzatore (Corte di cassazione, sezione lavoro, sentenza 18 ottobre 2019, n. 26607).

Quindi, il contratto tra l’agenzia e il dipendente non trova origine in una procedura selettiva quando l’utilizzatore è una pubblica amministrazione. I lavoratori messi a disposizione di questa per la durata della missione, pur svolgendo la loro attività nell’interesse e sotto la direzione dell’ente, non vengono ovviamente reclutati mediante l’espletamento di procedure concorsuali.

Da ciò consegue che non sussiste l’ingiustificata disparità di trattamento denunciata dal giudice rimettente in ragione dell’esclusione dei lavoratori somministrati presso le pubbliche amministrazioni dalla possibilità di essere assunti a tempo indeterminato con la modalità prevista dal comma 1 dell’art. 20 del D.Lgs. n. 75 del 2017.

7.- In conclusione, deve essere dichiarata non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 20, comma 9, del D.Lgs. n. 75 del 2017, sollevata in riferimento all’art. 3 Cost., nella parte in cui esclude i lavoratori somministrati dalla “stabilizzazione” mediante diretta assunzione a tempo indeterminato presso la pubblica amministrazione utilizzatrice, secondo la modalità prevista dal comma 1 della medesima disposizione.

P.Q.M.

LA CORTE COSTITUZIONALE

1) dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 20, comma 9, del D.Lgs. 25 maggio 2017, n. 75, recante “Modifiche e integrazioni al D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165, ai sensi degli articoli 16, commi 1, lettera a), e 2, lettere b), c), d) ed e) e 17, comma 1, lettere a), c), e), f), g), h), l) m), n), o), q), r), s) e z), della L. 7 agosto 2015, n. 124, in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche”, nella parte in cui esclude i lavoratori somministrati dalla possibilità di partecipare alle procedure concorsuali riservate, bandite ai sensi del comma 2 del medesimo articolo, sollevata, in riferimento all’art. 3 della Costituzione, dal Tribunale ordinario di Massa, in funzione di giudice del lavoro, con l’ordinanza indicata in epigrafe;

2) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 20, comma 9, del D.Lgs. n. 75 del 2017, nella parte in cui esclude i lavoratori somministrati dalla possibilità di essere assunti dalle pubbliche amministrazioni utilizzatrici con contratti di lavoro a tempo indeterminato, ai sensi del comma 1 del medesimo articolo, sollevata, in riferimento all’art. 3 Cost., dal Tribunale di Massa, in funzione di giudice del lavoro, con l’ordinanza indicata in epigrafe.

Conclusione

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 10 novembre 2021.

Depositata in Cancelleria il 21 dicembre 2021.

WHISTLEBLOWING – Protezione delle persone che segnalano illeciti, il decreto legislativo.

La norma di derivazione comunitaria abroga la tutela prevista nell’ambito del pubblico impiego dall’articolo 54 bis del DLGS 165/2001 che offriva una tutela maggiormente ristretta nell’ambito del rapporto di impiego e della pubblica amministrazione.

Il nuovo provvedimento legislativo appena entrato in vigore opera in un quadro più generale ed impone specifici adempimenti e procedure non solo all’ANAC , ma pure agli enti pubblici anche locali ed alle aziende private di dimensioni medio grandi.

Lo studio è in grado di impostare gli adempimenti.

 

Il Decreto legislativo 10 marzo 2023 n.24.

Il decreto legislativo 10.3.2023 n.24 attua la direttiva comunitaria del Parlamento europeo e del Consiglio del 23.10.2019 riguardante la protezione delle persone che segnalano violazioni del diritto dell’Unione e recante disposizioni riguardanti la protezione delle persone che segnalano violazioni delle disposizioni nazionali.

  1. Ambito di applicazione.

La norma in questione abroga espressamente la già esistente disposizione di cui all’articolo 54 bis del DLGS 165/2001 (Testo Unico del Pubblico Impiego) che già stabiliva determinate forme di protezione per il dipendente pubblico e per chi comunque in tale ambito segnalava illeciti ai danni della Pubblica Amministrazione, impedendo a carico dei medesimi sanzioni e misure ritorsive.

La nuova normativa disciplina la protezione delle persone che segnalano violazioni di disposizioni normative nazionali o dell’Unione europea che ledono l’interesse pubblico o l’integrità dell’amministrazione pubblica o dell’ente privato, di cui siano venute a conoscenza in un contesto lavorativo pubblico o privato.

E’ inoltre stabilita una sfera di non applicazione limitata a contestazioni, richieste e segnalazioni collegate ad un interesse personale del segnalante o riferite esclusivamente a conflitti individuali di lavoro o di pubblico impiego.

La normativa inoltre non trova applicazione alle segnalazioni obbligatorie di violazioni imposte da normative comunitarie o nazionali. Essa non si applica inoltre alle segnalazioni inerenti la sicurezza nazionale, il segreto professionale, e la segretezza delle deliberazioni degli organi giurisdizionali.

E’ inoltre delimitato dalla legge l’ambito di applicazione soggettiva della norma.

Essa in primo luogo si applica ai soggetti che per ragioni professionali entrino in contatto con le pubbliche amministrazioni, siano essi pubblici dipendenti o soggetti privati i quali effettuino segnalazioni interne o esterne, divulgazioni pubbliche o denunce all’autorità giudiziaria o contabile.

La normativa tutela inoltre i soggetti del settore privato che effettuino segnalazioni interne o esterne, divulgazioni pubbliche o denunce all’autorità giudiziaria o contabile inerenti la violazione di normative comunitarie o nazionali.

La tutela è estesa anche ai periodi successivi la cessazione del rapporto di lavoro, i periodi di prova ed alle vicende connesse alle persone che intrattengano rapporti sensibili con il segnalante (colleghi e familiari), ad evitare ritorsioni indirette.

Nell’ambito del settore privato, la tutela è esercitata limitatamente alle imprese che hanno impiegato, nell’ultimo anno, la media di almeno cinquanta lavoratori subordinati con contratti di lavoro a tempo indeterminato o determinato o che comunque rientrano nell’ambito di applicazione degli atti dell’unione di cui agli allegati della legge in questione.

In pratica, la tutela coinvolge i seguenti soggetti:

  • dipendenti dalle amministrazioni pubbliche, dipendenti degli enti pubblici economici e dagli enti di diritto privato a controllo pubblico, società in house, concessionari di pubblici servizi, lavoratori del settore privato, liberi professionisti o consulenti che prestano attività presso soggetti del settore pubblico e privato, azionisti ed organi aziendali di controllo.
  1. Segnalazioni interne – Canali di segnalazione interna.

E’ fatto obbligo ai soggetti del settore pubblico e privato, sentite le rappresentanze o le organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative, di attivare anche in termini di riservatezza , propri canali istituzionali per gestire le segnalazioni. Detti canali debbono essere inseriti nei modelli di organizzazione di cui all’articolo 6, comma 1, lettera a) del DLGS 231/2001.

  • Obbligo di costituire appositi canali e uffici di gestione delle segnalazioni.

La gestione del canale di segnalazione deve essere affidata ad una persona o ad un ufficio interno autonomo dedicato e con personale specificamente formato, ma può anche essere affidata ad un soggetto esterno con analoghi requisiti.

Per quanto riguarda le amministrazioni comunali, è previsto che i comuni diversi dai capoluoghi di provincia possano condividere con altri comuni il canale di segnalazione interna, come pure possono condividere tra di loro l’organo di segnalazione le aziende con un numero di dipendenti non superiore a duecento quarantanove.

I soggetti del settore pubblico cui sia fatto obbligo di prevedere la figura del responsabile della corruzione e della trasparenza, affidano a quest’ultimo la gestione del canale interno.

  1. La segnalazione esterna.

E’ possibile anche effettuare ad una segnalazione attraverso canali esterni, laddove nel contesto lavorativo non sia prevista l’attivazione di un canale interno di segnalazione, laddove la segnalazione interna non sia stata riscontrata, laddove si tema fondatamente che sussista un pericolo imminente per il pubblico interesse.

La segnalazione esterna avviene attraverso l’ANAC che deve attivare apposito canale per l’inoltro, tramite l’apposita piattaforma informatica oppure in forma orale attraverso linee telefoniche o sistemi di messaggistica vocale ovvero, su richiesta della persona segnalante, mediante un incontro diretto fissato entro un termine ragionevole.

Appositi adempimenti sono stabiliti dalla legge per l’ANAC, la quale inoltre dovrà pubblicare sul proprio sito internet una sezione dedicata facilmente accessibile con tutta una serie di informazioni indicate dalla legge.

Entro tre mesi dall’entrata in vigore della legge, l’ANAC dovrà approvare apposite linee guida.

  1. Segnalazione ed obbligo di riservatezza – la privacy.

Dispone in materia l’articolo 12 di questa disposizione di legge che impone testualmente i seguenti oneri:

Le segnalazioni non possono essere utilizzate oltre quanto necessario per dare adeguato seguito alle stesse.

  1.   L’identità della persona segnalante e qualsiasi altra informazione da cui può evincersi, direttamente o indirettamente, tale identità non possono essere rivelate, senza il consenso espresso della stessa persona segnalante, a persone diverse da quelle competenti a ricevere o a dare seguito alle segnalazioni, espressamente autorizzate a trattare tali dati ai sensi degli articoli 2932, paragrafo 4, del regolamento (UE) 2016/679 e dell’articolo 2-quaterdecies del codice in materia di protezione dei dati personali di cui al decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196.
  2.   Nell’ambito del procedimento penale, l’identità della persona segnalante è coperta dal segreto nei modi e nei limiti previsti dall’articolo 329 del codice di procedura penale.
  3.   Nell’ambito del procedimento dinanzi alla Corte dei conti, l’identità della persona segnalante non può essere rivelata fino alla chiusura della fase istruttoria.
  4.   Nell’ambito del procedimento disciplinare, l’identità della persona segnalante non può essere rivelata, ove la contestazione dell’addebito disciplinare sia fondata su accertamenti distinti e ulteriori rispetto alla segnalazione, anche se conseguenti alla stessa. Qualora la contestazione sia fondata, in tutto o in parte, sulla segnalazione e la conoscenza dell’identità della persona segnalante sia indispensabile per la difesa dell’incolpato, la segnalazione sarà utilizzabile ai fini del procedimento disciplinare solo in presenza del consenso espresso della persona segnalante alla rivelazione della propria identità.
  5.   E’ dato avviso alla persona segnalante mediante comunicazione scritta delle ragioni della rivelazione dei dati riservati, nella ipotesi di cui al comma 5, secondo periodo, nonché nelle procedure di segnalazione interna ed esterna di cui al presente capo quando la rivelazione della identità della persona segnalante e delle informazioni di cui al comma 2 è indispensabile anche ai fini della difesa della persona coinvolta.
  6.   I soggetti del settore pubblico e del settore privato, l’ANAC, nonché le autorità amministrative cui l’ANAC trasmette le segnalazioni esterne di loro competenza, tutelano l’identità delle persone coinvolte e delle persone menzionate nella segnalazione fino alla conclusione dei procedimenti avviati in ragione della segnalazione nel rispetto delle medesime garanzie previste in favore della persona segnalante.
  7.   La segnalazione è sottratta all’accesso previsto dagli articoli 22 e seguenti della legge 7 agosto 1990, n. 241, nonché dagli articoli 5 e seguenti del decreto legislativo 14 marzo 2013, n. 33.
  8.   Ferma la previsione dei commi da 1 a 8, nelle procedure di segnalazione interna ed esterna di cui al presente capo, la persona coinvolta può essere sentita, ovvero, su sua richiesta, è sentita, anche mediante procedimento cartolare attraverso l’acquisizione di osservazioni scritte e documenti.”

Il successivo articolo 13 è invece dedicato al trattamento dei dati personali.

  1. Le misure di protezione.

Allorquando il segnalante fornisce notizie vere o rientranti nell’ambito dell’operatività della legge, operano a suo favore le misure di protezione previste dalla legge e vengono meno qualora il segnalante sia condannato anche solo in primo grado per calunnia o altri reati connessi alla segnalazione effettuata.

Sino a quel momento e all’accertamento di fatti contrari, opera a favore del segnalante la presunzione che qualunque azione giudiziaria, contabile, disciplinare, risarcitoria, siano connesse alla segnalazione effettuata. L’onere di provare il contrario è posto a carico di chi avrebbe posto in essere gli atti segnalati.

La legge quindi indica talune fattispecie tipiche ritorsive come:

  1. a)  il licenziamento, la sospensione o misure equivalenti;
  2. b)  la retrocessione di grado o la mancata promozione;
  3. c)  il mutamento di funzioni, il cambiamento del luogo di lavoro, la riduzione dello stipendio, la modifica dell’orario di lavoro;
  4. d)  la sospensione della formazione o qualsiasi restrizione dell’accesso alla stessa;
  5. e)  le note di merito negative o le referenze negative;
  6. f)  l’adozione di misure disciplinari o di altra sanzione, anche pecuniaria;
  7. g)  la coercizione, l’intimidazione, le molestie o l’ostracismo;
  8. h)  la discriminazione o comunque il trattamento sfavorevole;
  9. i)  la mancata conversione di un contratto di lavoro a termine in un contratto di lavoro a tempo indeterminato, laddove il lavoratore avesse una legittima aspettativa a detta conversione;
  10. l)  il mancato rinnovo o la risoluzione anticipata di un contratto di lavoro a termine;
  11. m)  i danni, anche alla reputazione della persona, in particolare sui social media, o i pregiudizi economici o finanziari, comprese la perdita di opportunità economiche e la perdita di redditi;
  12. n)  l’inserimento in elenchi impropri sulla base di un accordo settoriale o industriale formale o informale, che può comportare l’impossibilità per la persona di trovare un’occupazione nel settore o nell’industria in futuro;
  13. o)  la conclusione anticipata o l’annullamento del contratto di fornitura di beni o servizi;
  14. p)  l’annullamento di una licenza o di un permesso;
  15. q)  la richiesta di sottoposizione ad accertamenti psichiatrici o medici.

Nel caso di ritorsioni ne viene data comunicazione all’ANAC che in caso di ritorsioni attinenti il settore pubblico, ne dà comunicazione al Dipartimento per la Funzione Pubblica presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri e presso gli eventuali organismi di disciplina e di garanzia.

Nel caso di ritorsioni effettuate in ambito di lavoro privato, ne viene data comunicazioni all’Ispettorato del Lavoro.

Al fine di acquisire elementi istruttori, L’ANAC può avvalersi dell’Ispettorato della Funzione Pubblica e dell’Ispettorato Nazionale del Lavoro.

Gli atti ritorsivi assunti sono considerati nulli ed il licenziamento ritorsivo comporta la reintegra nel posto di lavoro.

  1. Misure di sostegno.

A favore dei soggetti segnalanti, ANAC ed altri enti del Terzo Settore forniscono misure di sostegno come informazioni, assistenza e consulenze a titolo gratuito sulle modalità di segnalazione e sulla protezione dalle ritorsioni offerta dalle disposizioni normative nazionali e da quelle dell’Unione europea, sui diritti della persona coinvolta, nonché sulle modalità e condizioni di accesso al patrocinio a spese dello Stato.

Fabio Petracci

Aree professionali. Differenze tra progressione ordinaria e progressione transitoria del CCNL 16.11.2022

Il CCNL ai fini dell’inquadramento nelle aree professionali prevede due diverse tipologie di procedure. La prima è quella straordinaria che avviene all’entrata in vigore del nuovo CCNL ed è disciplinata dall’articolo 15 del medesimo CCNL come procedura ordinaria. La seconda invece è disciplinata dal precedente articolo 13 come norma di prima applicazione.

Esamineremo dapprima la procedura ordinaria con il testo dell’articolo 15 che la prevede:

Art. 15 Progressioni tra le aree

 Ai sensi dell’art. 52, comma 1-bis del D. Lgs. n. 165/2001, fatta salva una riserva di almeno il 50 per cento delle posizioni disponibili destinata all’accesso dall’esterno, nel rispetto del piano triennale dei fabbisogni di personale, gli Enti disciplinano le progressioni tra le aree tramite procedura comparativa basata:  – sulla valutazione positiva conseguita dal dipendente negli ultimi tre anni in servizio, o comunque le ultime tre valutazioni disponibili in ordine cronologico, qualora non sia stato possibile effettuare la valutazione a causa di assenza dal servizio in relazione ad una delle annualità; – sull’assenza di provvedimenti disciplinari negli ultimi due anni; – sul possesso di titoli o competenze professionali ovvero di studio ulteriori rispetto a quelli previsti per l’accesso all’area dall’esterno; – sul numero e sulla tipologia degli incarichi rivestiti. 2. In caso di passaggio all’area immediatamente superiore, il dipendente è esonerato dal periodo di prova ai sensi dell’art. 25 (Periodo di prova), comma 2 e, nel rispetto della disciplina vigente, conserva le giornate di ferie maturate e non fruite. Conserva, inoltre la retribuzione individuale di anzianità (RIA) che, conseguentemente, non confluisce nel Fondo risorse decentrate. 3. Al dipendente viene attribuito il tabellare inziale per la nuova area. Qualora il trattamento economico in godimento acquisito per effetto della progressione economica risulti superiore al predetto trattamento tabellare iniziale, il dipendente conserva a titolo di assegno personale, a valere sul Fondo risorse decentrate, la differenza assorbibile nelle successive progressioni economiche all’interno della stessa area.

Art. 13 Quale norma di prima appicazione

Art. 13 Norme di prima applicazione 1. Al fine di consentire agli enti di procedere agli adempimenti necessari all’attuazione delle norme di cui al presente Titolo, lo stesso entra in vigore il 1° giorno del quinto mese successivo alla sottoscrizione definitiva del presente CCNL.

  1. Il personale in servizio alla data di entrata in vigore del presente Titolo è inquadrato nel nuovo sistema di classificazione con effetto automatico dalla stessa data secondo la Tabella B di Trasposizione (Tabella di trasposizione automatica nel sistema di classificazione).
  2. Gli incarichi di posizione organizzativa in essere alla data di entrata in vigore del presente Titolo sono, in prima applicazione, automaticamente ricondotti alla nuova tipologia di incarichi di EQ. Gli incarichi di posizione organizzativa conferiti secondo la predetta disciplina proseguono fino a naturale scadenza.
  3. Le procedure per l’attribuzione di progressioni economiche definite dai contratti integrativi già sottoscritti alla data di entrata in vigore del nuovo ordinamento di cui al comma 1 sono portate a termine e concluse sulla base della previgente disciplina. 5. Fermo restando il potere di autotutela dell’amministrazione, le procedure concorsuali di accesso alle aree o posizioni di inquadramento giuridico del precedente ordinamento professionale, ivi incluse quelle riservate al personale già in servizio presso l’amministrazione, già bandite prima dell’entrata in vigore del nuovo ordinamento, sono portate a termine e concluse sulla base del precedente ordinamento professionale. Il personale utilmente collocato nelle graduatorie delle stesse procedure viene inquadrato nel nuovo sistema di classificazione applicando la disciplina di cui al comma 2, secondo la Tabella B di Trasposizione.
  4. In applicazione dell’art. 52, comma 1-bis, penultimo periodo, del D.Lgs.n.165/2001, al fine di tener conto dell’esperienza e della professionalità maturate ed effettivamente utilizzate dall’amministrazione di appartenenza, in fase di prima applicazione del nuovo ordinamento professionale e, comunque, entro il termine del 31 dicembre 2025, la progressione tra le aree può aver luogo con procedure valutative cui sono ammessi i dipendenti in servizio in possesso dei requisiti indicati nella allegata Tabella C di Corrispondenza.
  5. Le amministrazioni definiscono, in relazione alle caratteristiche proprie delle aree di destinazione e previo confronto di cui all’art. 5 (Confronto), i criteri per l’effettuazione delle procedure di cui al comma 6 sulla base dei seguenti elementi di valutazione a ciascuno dei quali deve essere attribuito un peso percentuale non inferiore al 20%: a) esperienza maturata nell’area di provenienza, anche a tempo determinato; b) titolo di studio; c) competenze professionali quali, a titolo esemplificativo, le competenze acquisite attraverso percorsi formativi, le competenze certificate (es. competenze informatiche o linguistiche), le competenze acquisite nei contesti lavorativi, le abilitazioni professionali.
  6. Le progressioni di cui al comma 6, ivi comprese quelle di cui all’art. 93 e art. 107, sono finanziate anche mediante l’utilizzo delle risorse determinate ai sensi dell’art.1, comma 612, della L. n. 234 del 30.12.2021 (Legge di Bilancio 2022), in misura non superiore allo 0.55% del m.s. dell’anno 2018, relativo al personale destinatario del presente CCNL.

 Su tale base, valutiamo le differenze tra le due procedure di inquadramento.

La procedura transitoria fa riferimento alla tabella C di corrispondenza allegata al CCNL
Dall’esame della stessa sono indicati requisiti quali esperienza e titolo di studio. Per quest’ultimo aspetto, si fa riferimento anche al possesso di un titolo di studio inferiore rispetto a quello ordinariamente previsto per la qualifica, privilegiandosi invece la durata dell’esperienza. Dunque la differenza sta nei requisiti selettivi adottati, con prevalenza del fattore esperienza.
Inoltre per la procedura transitoria è necessario il previo confronto con le associazioni sindacali.

Elementi comuni alle due procedure di accesso all’area sono da individuarsi nell’esistenza di un bando, un’istanza di ammissione alla procedura di avanzamento ed una fase di istruttoria per valutare la sussistenza dei requisiti.

Fabio Petracci

 

 

Responsabilità del pubblico dipendente. Azione penale e presunzione di innocenza

Sino a che punto il giudizio penale interferisce nell’ambito del pubblico impiego nel giudizio disciplinare ed in quello di danno innanzi alla Corte dei Conti?

L’articolo 651 del codice di procedura penale stabilisce la generale efficacia nell’ordinamento della sentenza penale irrevocabile di condanna, affermando testualmente che “. La sentenza penale irrevocabile di condanna pronunciata in seguito a dibattimento ha efficacia di giudicato, quanto all’accertamento della sussistenza del fatto, della sua illiceità penale e all’affermazione che l’imputato lo ha commesso, nel giudizio civile o amministrativo per le restituzioni e il risarcimento del danno promosso nei confronti del condannato e del responsabile civile che sia stato citato ovvero sia intervenuto nel processo penale.

  1. La stessa efficacia ha la sentenza irrevocabile di condanna pronunciata a norma dell’articolo 442, salvo che vi si opponga la parte civile che non abbia accettato il rito abbreviato.

Ulteriore norma di raccordo è data dal successivo articolo 652 del codice di procedura penale che nello specifico affronta il tema della valenza della sentenza irrevocabile di condanna tanto nel giudizio civile di danno che in quello amministrativo, e che testualmente stabilisce come

  1. La sentenza penale irrevocabile di assoluzione pronunciata in seguito a dibattimento ha efficacia di giudicato, quanto all’accertamento che il fatto non sussiste o che l’imputato non lo ha commesso o che il fatto è stato compiuto nell’adempimento di un dovere o nell’esercizio di una facoltà legittima  nel giudizio civile o amministrativo per le restituzioni e il risarcimento del danno promosso dal danneggiato o nell’interesse dello stesso, sempre che il danneggiato si sia costituito o sia stato posto in condizione di costituirsi parte civile, salvo che il danneggiato dal reato abbia esercitato l’azione in sede civile a norma dell’articolo 75, comma 2 
  2. La stessa efficacia ha la sentenza irrevocabile di assoluzione pronunciata a norma dell’articolo 442, se la parte civile ha accettato il rito abbreviato.

Riguardo invece alla valenza del giudicato penale nel giudizio disciplinare innanzi alle pubbliche amministrazioni, interviene il successivo articolo 653 del codice di procedura penale che così stabilisce:

  1. La sentenza penale irrevocabile di assoluzione ha efficacia di giudicato nel giudizio per responsabilità disciplinare davanti alle pubbliche autorità quanto all’accertamento che il fatto non sussiste o non costituisce illecito penale ovvero che l’imputato non lo ha commesso .

1-bis. La sentenza penale irrevocabile di condanna ha efficacia di giudicato nel giudizio per responsabilità disciplinare davanti alle pubbliche autorità quanto all’accertamento della sussistenza del fatto, della sua illiceità penale e all’affermazione che l’imputato lo ha commesso.”

 

In sintesi è solo la condanna irrevocabile di condanna o di assoluzione ad assumere efficacia in altro procedimento civile, amministrativo, disciplinare ed esclusivamente all’accertamento del fatto, o la sua commissione da parte dell’imputato o alla sussistenza di scriminanti.

Cosa accade qualora, la Pubblica Amministrazione decida dopo la sentenza di primo grado ed in assenza di giudicato, di proseguire l’azione disciplinare, civile o amministrativa (Corte dei Conti) contro il proprio dipendente?

Va ricordato come l’articolo 6 della Convenzione europea dei diritti dell’Uomo e quanto all’ordinamento nazionale,  l’articolo 48 della Carta Costituzionale affermano chiaramente il principio della presunzione di innocenza che limita grandemente l’efficacia della sentenza non ancora passata in giudicato sino al definitivo accertamento della colpevolezza.

In ogni caso, la pendenza di un giudizio penale in assenza di sentenza avente effetto di giudicato, può produrre effetti sul rapporto di lavoro previsti dalla legge.

A sua volta in tema di procedimenti disciplinari nell’ambito dell’impiego pubblico, la normativa sin qui trattata si salda con le disposizioni di cui al testo unico del pubblico impiego nella parte disciplinare dall’articolo 55 in poi del DLGS 165/2001.

In tema di connessione tra procedimento penale e disciplinare, la materia è trattata all’articolo 55 ter che limita la pregiudiziale penale consentendo la parallela indipendenza del giudizio disciplinare, salvo l’interferenza di quest’ultimo in merito all’accertamento di fatto, e la riapertura del giudizio disciplinare una volta intervenuto il giudicato.

Nel caso di specie, la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo con la sentenza del 19 novembre 2021 ha ritenuto come un’autonoma e motivata decisione in sede civile ed amministrativa che non si basi sull’automatico recepimento del giudizio penale può intervenire in qualunque momento del giudizio civile e amministrativo, senza peraltro violare la presunzione di innocenza di cui all’articolo 6 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea.

Sulla stessa lunghezza d’onda, si è posta pure la Corte Costituzionale con la sentenza n.182/2021 che ha ritenuto come effettivamente la presunzione di innocenza possa tradursi in una limitazione dei poteri cognitivi e dichiarativi dell’autorità investita del nuovo procedimento non avente natura penale.

Il limite però va ristretto al divieto di emettere per quest’ultima autorità, provvedimenti che presuppongano esclusivamente un giudizio di colpevolezza emerso in sede penale o che siano fondati su un nuovo apprezzamento della responsabilità penale della persona in ordine al reato precedentemente contestato.

Quindi, nel caso si decida di proseguire l’azione civile, disciplinare o amministrativa, in pendenza di giudizio penale ed in assenza di giudicato, sarà necessario fondare l’azione stessa  non esclusivamente sulle risultanze penali e sulla sentenza non passata in giudicato, ma dotarla di autonoma motivazione.

Fabio Petracci

Nuove regole per il lavoro degli sportivi professionisti e dilettanti

La nuova normativa

Il primo gennaio 2023, entreranno in vigore le nuove disposizioni contenute nel DLGS n.163/2022 che apportano una globale riforma alla normativa sportiva italiana modificando il recente DLGS 36/2021 nel senso di semplificarne la normativa e di prendere in esame l’aspetto concernente il lavoro sportivo dilettantistico.

Il campo di applicazione

In tal senso, l’articolo 25 del DLGS n.36/2021 (campo di applicazione della legge) viene notevolmente ampliato nel suo contenuto.

La nuova versione siccome modificata dal DLGS 163/2022 estende tale nozione oltre agli atleti ed agli allenatori che svolgono attività sportiva dietro un corrispettivo, ad ogni tesserato che svolge attività correlate a quelle sportive con eccezione dell’attività amministrativa.

E’ ribadito il principio di dignità dei lavoratori sportivi e la specificità dell’attività sportiva.

E’ ammessa inoltre la prestazione di attività sportiva mediante rapporto di lavoro subordinato o anche nella forma della collaborazione coordinata e continuativa.

Lavoro nell’ambito della PA e lavoro sportivo

E’ prevista inoltre la compatibilità tra l’attività di lavoro sportivo ed il lavoro alle dipendenze della pubblica amministrazione svolto fuori dall’orario di lavoro, previa comunicazione all’amministrazione di appartenenza.

La parziale applicazione delle regole del lavoro subordinato

Il successivo articolo 26 Disciplina del rapporto di lavoro sportivo assoggetta il rapporto di lavoro sportivo alle regole del lavoro subordinato con esclusione di un notevole numero di norme come articoli 45, e 18 della legge 20 maggio 1970, n. 300, negli articoli 1235678 della legge 15 luglio 1966, n. 604, nell’articolo 1, commi da 47 a 69, della legge 28 giugno 2012, n. 92, negli articoli 24 e 5 della legge 11 maggio 1990, n. 108, nell’articolo 24 della legge 23 luglio 1991, n. 223, e nel decreto legislativo 4 marzo 2015, n. 23 nell’articolo 2103 del codice civile.

E’ ammessa l’apposizione di un termine al rapporto di lavoro che non può essere superiore ai cinque anni.

In campo disciplinare

E’ esclusa l’applicazione dell’articolo 7 della legge 300/70 (obbligo di contestazione) per le sanzioni disciplinari e quindi è ammessa l’apposizione al contratto di lavoro di una clausola compromissoria per le controversie concernenti l’esecuzione del contratto.

No a clausole di non concorrenza successive alla risoluzione del rapporto

La legge inoltre esclude l’apposizione di vincoli e clausole di non concorrenza a valere dopo la risoluzione del contratto.

Settore professionistico e natura presunta del rapporto

Il successivo articolo 27 regola il rapporto di lavoro sportivo nel settore professionistico, stabilendo che in tal caso, il rapporto si presume essere di natura subordinata qualora prestato in maniera prevalente e continuativa.

Sono previste al di fuori delle caratteristiche di continuità e prevalenza, ipotesi di lavoro sportivo di natura autonoma.

Settore dilettantistico e presunta natura autonoma del rapporto

Diversamente l’articolo 28 della medesima disposizione di legge presume la natura di lavoro autonomo coordinato e continuativo per il lavoro sportivo dei dilettanti.

Attività sportiva e volontariato

L’articolo 29 prevede inoltre le prestazioni sportive dei volontari che possono essere rappresentate da vere e proprie attività sportive o da attività di supporto allo sport medesimo.

In tal caso le attività sono considerate gratuite con il solo diritto al rimborso delle spese.

Formazione e apprendistato

L’articolo 30 si occupa invece della formazione dei giovani atleti, rendendo possibile con i medesimi la stipula di ogni forma di apprendistato prevista dalla legge.

Stabilisce l’articolo 30 che le società o associazioni sportive dilettantistiche e le società professionistiche possono stipulare contratti di apprendistato per la qualifica e il diploma professionale, per il diploma di istruzione secondaria superiore e per il certificato di specializzazione tecnica superiore, di cui all’articolo 43 del decreto legislativo 15 giugno 2015, n. 81, e contratti di apprendistato di alta formazione e di ricerca, di cui all’articolo 45 del medesimo decreto legislativo. La formazione degli atleti può essere conseguita anche con le classi di laurea L-22 (Scienze Motorie e di laurea magistrale), LM-47 (Organizzazione e gestione dei servizi per lo sport e le attività motorie), la LM-67 (Scienze e tecniche delle attività motorie preventive e adattative), nonché la LM-68 (Scienze e tecniche dello sport).

L’abolizione del vincolo sportivo

Innovativo è l’articolo 31 che stabilisce l’abolizione del vincolo sportivo e il premio di formazione tecnica.

Le limitazioni alla libertà contrattuale individuate come vincolo sportivo verranno a cadere entro il 31 luglio 2023, con possibilità di una disciplina transitoria atta alla diminuzione progressiva della durata massima del vincolo, con la precisazione che alla data del 31 luglio 2023, ogni vincolo si intenderà abolito.

E’ previsto inoltre che le federazioni sportive debbano prevedere con proprio regolamento l’istituzione di un premio di formazione tecnica in favore degli sportivi che tenga conto della durata e del contenuto formativo del rapporto.

Altri articoli in successione prevedono regole concernenti la sicurezza ed il benessere fisico degli sportivi prevedendo visite mediche periodiche e norme antinfortunistiche.

Fabio Petracci