Assegnazione di sede ex articolo 33 lege 104/92: la giurisdizione è del Giudice ordinario

Il TAR del Lazio con la sentenza n.17673/2023 conferma l’indirizzo della Corte di Cassazione – Cassazione Civile Sezioni Unite 9.6.2021 n.16086 – che ha ritenuto come in tema di assegnazione della sede di lavoro presso una amministrazione pubblica (all’esito della procedura concorsuale per l’assunzione in servizio), intervenuta con contratto stipulato successivamente al 30 giugno 1998, deve riconoscersi – stante il carattere generale della giurisdizione del giudice ordinario in relazione ai rapporti di lavoro dei dipendenti delle amministrazioni pubbliche (art. 63, comma 1, del d.lgs. n. 165 del 2001), a fronte del quale la perpetuazione della giurisdizione del giudice amministrativo (prevista dal comma 4 dello stesso art. 63) riveste una portata limitata ed eccezionale – la giurisdizione del giudice ordinario nella controversia in cui, sul presupposto della definitività della graduatoria e senza in alcun modo censurare lo svolgimento del concorso ed il relativo atto finale, si faccia valere, in base all’art. 33, comma 5, della l. n. 104 del 1992, il diritto – che sorge con l’assunzione al lavoro e, dunque, in un momento successivo all’esaurimento della procedura concorsuale – alla scelta della sede di lavoro più vicina al proprio domicilio.

Il TAR del Lazio adeguandosi a questo indirizzo ha affrontato lo specifico tema dell’assegnazione della sede di servizio al vincitore di concorso titolare dei benefici di cui alla legge 104/1992. l’Organo giurisdizionale amministrativo precisa che “con l’approvazione della graduatoria definitiva si è chiusa la fase procedimentale amministrativa, soggetta alla giurisdizione del Giudice amministrativo, ed è iniziata la fase relativa all’immissione in servizio soggetta alla giurisdizione del Giudice ordinario”. Dopo la fase dell’approvazione della graduatoria si apre la fase esecutiva nella quale si configurano attività che attengono allo svolgimento privatistico del rapporto di lavoro (TAR Lazio, Roma I-quater, 28 marzo 2023, n. 5322, Cons di Stato, V sezione; 21 novembre 2014) e nel cui contesto i comportamenti e le determinazioni dell’Amministrazione sono espressione del potere negoziale che la stessa esercita nella veste e con la capacità del privato datore di lavoro. Il quadro normativo consente di affermare che in tema di lavoro pubblico la giurisdizione del giudice ordinario costituisce ormai la regola e quella del giudice amministrativo l’eccezione.

Fabio Petracci

Presentazione a Palazzo Madama del Magazine Spazio Imprese

Presentato a Palazzo Madama il numero zero della nuova rivista Spazio Imprese diretta dal dottor Antonio Grieci.

Il magazine si propone come uno strumento che vuole dare voce a Imprese e Lavoratori connettendoli in sinergia con le Istituzioni.

Con la delegazione di CIU Unionquadri presente pure l’avvocato Petracci che collabora con la rivista che nel corso del suo intervento ha ribadito l’importanza, accanto alle tematiche di ampio respiro, del ruolo di guida dell’informazione per lavoratori ed imprenditori sempre alla ricerca di orientamenti nel mondo produttivo.

Il video della presentazione da Radio Radicale

Tutela cautelare per il whistleblower

Il decreto 24/2023 è entrato in vigore il 30 marzo 2023 e le disposizioni ivi previste sono efficaci dal 15 luglio 2023.

Il decreto si applica ai soggetti del settore pubblico e del settore privato; con particolare riferimento a quest’ultimo settore, la normativa estende le protezioni ai segnalanti che hanno impiegato, nell’ultimo anno, la media di almeno cinquanta lavoratori subordinati o, anche sotto tale limite, agli enti che si occupano dei cd. settori sensibili (servizi, prodotti e mercati finanziari e prevenzione del riciclaggio o del finanziamento del terrorismo, sicurezza dei trasporti e tutela dell’ambiente) e a quelli adottano modelli di organizzazione e gestione ai sensi del d.lgs. n.231/2001.

Solo per i soggetti del settore privato che hanno impiegato, nell’ultimo anno, una media di lavoratori subordinati, con contratti di lavoro a tempo indeterminato o determinato, fino a 249, l’obbligo di istituire un canale interno di segnalazione decorre dal 17/12/2023.

Fino a tale data, i suddetti soggetti privati che hanno adottato il modello 231 o intendono adottarlo continuano a gestire i canali interni di segnalazione secondo quanto previsto dal d.lgs. 231/2001.

Ma si verificano alcune prime pronunce rilevanti, come quella del Tribunale di Milano, ordinanza 20 agosto 2023, seppure in sede cautelare.

La vicenda riguarda un addetto alla security aziendale che aveva presentato, prima informalmente e poi formalmente, una moltitudine di segnalazioni agli organi di controllo e di garanzia della società nonché al sindaco di Milano in relazione alla vicenda, poi divenuta di pubblico dominio, dei “biglietti clonati”, vale a dire il sistema creato da alcuni dipendenti infedeli di per generare e vendere “in nero” biglietti e abbonamenti non registrati dai sistemi informatici e, dunque, nemmeno contabilizzati con la correlativa perdita di somme ingentissime.

Successivamente, il ricorrente era oggetto di vari procedimenti disciplinari che determinavano anche la sospensione cautelare dal servizio e dalla retribuzione.

Il giudice, tuttavia, ha ritenuto inapplicabile il D.Lgs. n. 24/2023, visto il chiaro disposto dell’art. 24 comma 1 ai sensi del quale: “1. Le disposizioni di cui al presente decreto hanno effetto a decorrere dal 15 luglio 2023” ritenendo infatti che, nel caso di specie non trovasse applicazione il principio “tempus regit actum” – posto che la stessa disposizione in commento chiarisce a partire da quale momento “segnalazioni” e “denunce” (dunque, non procedimenti) saranno sussumibili alla sua disciplina.

Dopo approfondita valutazione, il Tribunale ha comunque ritenuto sussistenti i presupposti per accogliere il ricorso ex art. 700 c.p.c. e ha pertanto ordinato alla società datrice di lavoro di sospendere le delibere, con immediata reintegra in servizio del ricorrente e condanna della società datrice alla corresponsione delle retribuzioni maturate per tutta la durata della sospensione cautelare.

Ultime novità in materia di Somministrazione di Lavoro

Con riferimento all’istituto della somministrazione sono state introdotte alcune rilevanti modifiche con il c.d Decreto Milleproroghe e dal D.L. n. 48/2023 convertito, con modificazioni, dalla legge n. 85/2023.

Il Milleproroghe risolve, parzialmente (almeno fino al 30 giugno 2025), una incongruenza creatasi nella normativa a seguito del D.L. n. 104/2020 che, nella sostanza, vietava alle Agenzie di somministrazione di inviare in missione per periodi superiori ai 24 mesi, lavoratori assunti dalle stesse a tempo indeterminato: la prassi (cfr. Circolare 17/2018 del Ministero del Lavoro) l’aveva pacificamente ammessa e le parti sociali la consideravano in senso positivo.

La data del 30/06/2025 consente alle Agenzie di Lavoro che hanno assunto a tempo indeterminato il lavoratore, di inviarlo in missione, anche a tempo determinato ed anche per periodi superiori ai 24 mesi.

Altre novità scaturiscono dalla entrata in vigore del D.L. n. 48/2023.

I primi 12 mesi di contratto di somministrazione a termine, comprensivi di proroghe e rinnovi possono essere effettuati senza l’apposizione di alcuna condizione. Superata tale soglia occorre introdurre una causale per i successivi 12 mesi (salvo limite diverso fissato dalla contrattazione collettiva, anche aziendale).

Ma, le novità sulla somministrazione a termine non finiscono qui: viene “azzerata” tutta la contabilità in essere ai fini del raggiungimento della soglia oltre la quale scatta l’obbligo della causale. La stessa si calcola, unicamente, a partire dai contratti stipulati dalla data del 5 maggio 2023.

Ancora, con riguardo al contingentamento dei lavoratori somministrati in caso di somministrazione a tempo indeterminato, il d.lgs. n. 81/2015 fissa una percentuale del 20%, con arrotondamento all’unità superiore nel caso in cui il calcolo sia uguale o superiore allo 0,5, rispetto ai dipendenti in forza a tempo indeterminato alla data del 1° gennaio dell’anno, con possibilità, delegata alla contrattazione collettiva, di prevedere aliquote diverse.

Per le aziende che hanno iniziato l’attività nel corso dell’anno, il limite percentuale si calcola sul numero dei dipendenti in forza a tempo indeterminato nel momento in cui si stipula il contratto di somministrazione a tempo indeterminato.

Dalla citata quota del 20% devono essere esclusi i lavoratori assunti con contratto di apprendistato, i lavoratori assunti dopo un periodo di disoccupazione non agricola di almeno sei mesi; i lavoratori assunti dopo un periodo di fruizione dell’integrazione salariale da almeno sei mesi e i lavoratori qualificati come “svantaggiati” o “molto svantaggiati” a cui si riferisce il Regolamento UE n. 651/2014 ed individuati dal D.M. 17 ottobre 2017 del Ministro del Lavoro.

Le stabilizzazioni nell’ambito del Servizio Sanitario Regionale sono possibili sino al 31.12.2024

Le regole generali per la stabilizzazione

Le stabilizzazioni nell’ambito del Pubblico Impiego trovano fondamento nell’articolo 20 del DLGS 75/2017 che così dispone:

“1. Le amministrazioni, al fine di superare il precariato, ridurre il ricorso ai contratti a termine e valorizzare la professionalità acquisita dal personale con rapporto di lavoro a tempo determinato, possono, fino al 31 dicembre 2023, in coerenza con il piano triennale dei fabbisogni di cui all’articolo 6, comma 2, e con l’indicazione della relativa copertura finanziaria, assumere a tempo indeterminato personale non dirigenziale che possegga tutti i seguenti requisiti:

  1. a) risulti in servizio successivamente alla data di entrata in vigore della legge n. 124 del 2015 con contratti a tempo determinato presso l’amministrazione che procede all’assunzione o, in caso di amministrazioni comunali che esercitino funzioni in forma associata, anche presso le amministrazioni con servizi associati;
  2. b) sia stato reclutato a tempo determinato, in relazione alle medesime attività svolte, con procedure concorsuali anche espletate presso amministrazioni pubbliche diverse da quella che procede all’assunzione;
  3. c) abbia maturato, al 31 dicembre 2022, alle dipendenze dell’amministrazione di cui alla lettera a) che procede all’assunzione, almeno tre anni di servizio, anche non continuativi, negli ultimi otto anni.
  4. Fino al 31 dicembre 2024, le amministrazioni possono bandire, in coerenza con il piano triennale dei fabbisogni di cui all’articolo 6, comma 2, e ferma restando la garanzia dell’adeguato accesso dall’esterno, previa indicazione della relativa copertura finanziaria, procedure concorsuali riservate, in misura non superiore al cinquanta per cento dei posti disponibili, al personale non dirigenziale che possegga tutti i seguenti requisiti: 
  5. a) risulti titolare, successivamente alla data di entrata in vigore della legge n. 124 del 2015, di un contratto di lavoro flessibile presso l’amministrazione che bandisce il concorso;
  6. b) abbia maturato, alla data del 31 dicembre 2024, almeno tre anni di contratto, anche non continuativi, negli ultimi otto anni, presso l’amministrazione che bandisce il concorso.

2-bis. Anche per le finalità connesse alla stabilizzazione delle ricerche collegate al Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR), le disposizioni dei commi 1 e 2, con riferimento agli enti pubblici di ricerca di cui all’articolo 1 del decreto legislativo 25 novembre 2016, n. 218, sono prorogate fino al 31 dicembre 2026.

  1. Ferme restando le norme di contenimento della spesa di personale, le pubbliche amministrazioni, fino al 31 dicembre 2022, ai soli fini di cui ai commi 1 e 2, possono elevare gli ordinari limiti finanziari per le assunzioni a tempo indeterminato previsti dalle norme vigenti, al netto delle risorse destinate alle assunzioni a tempo indeterminato per reclutamento tramite concorso pubblico, utilizzando a tal fine le risorse previste per i contratti di lavoro flessibile, nei limiti di spesa di cui all’articolo 9, comma 28, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito dalla legge 20 luglio 2010, n. 122, calcolate in misura corrispondente al loro ammontare medio nel triennio 2015-2017 a condizione che le medesime amministrazioni siano in grado di sostenere a regime la relativa spesa di personale previa certificazione della sussistenza delle correlate risorse finanziarie da parte dell’organo di controllo interno di cui all’articolo 40-bis, comma 1, e che prevedano nei propri bilanci la contestuale e definitiva riduzione di tale valore di spesa utilizzato per le assunzioni a tempo indeterminato dal tetto di cui al predetto articolo 9, comma 28. 
  2. Le disposizioni di cui ai commi 1 e 2 non possono essere applicate dai comuni che per l’intero quinquennio 2012-2016 non hanno rispettato i vincoli di finanza pubblica. Le regioni a statuto speciale, nonché gli enti territoriali ricompresi nel territorio delle stesse, possono applicare il comma 1, elevando ulteriormente i limiti finanziari per le assunzioni a tempo indeterminato ivi previsti, anche mediante l’utilizzo delle risorse, appositamente individuate con legge regionale dalle medesime regioni che assicurano la compatibilità dell’intervento con il raggiungimento dei propri obiettivi di finanza pubblica, derivanti da misure di revisione e razionalizzazione della spesa certificate dagli organi di controllo interno. Ai fini del rispetto delle disposizioni di cui all’articolo 1, commi 557e 562, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, gli enti territoriali delle predette regioni a statuto speciale, calcolano inoltre la propria spesa di personale al netto dell’eventuale cofinanziamento erogato dalle regioni ai sensi del periodo precedente. I predetti enti possono prorogare i rapporti di lavoro a tempo determinato fino al 31 dicembre 2018, nei limiti delle risorse utilizzabili per le assunzioni a tempo indeterminato, secondo quanto previsto dal presente articolo. Per gli stessi enti, che si trovino nelle condizioni di cui all’articolo 259 del testo unico di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, la proroga di cui al quarto periodo del presente comma è subordinata all’assunzione integrale degli oneri a carico della regione ai sensi del comma 10 del citato articolo 259.
  3. Fino al termine delle procedure di cui ai commi 1 e 2, è fatto divieto alle amministrazioni interessate di instaurare ulteriori rapporti di lavoro flessibile di cui all’articolo 9, comma 28, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122, e successive modificazioni, per le professionalità interessate dalle predette procedure. Il comma 9-bis dell’articolo 4del decreto-legge 31 agosto 2013, n. 101, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 ottobre 2013, n. 125, è abrogato.
  4. Resta fermo quanto previsto dall’articolo 1, commi 425426 della legge 23 dicembre 2014, n. 190.
  5. Ai fini del presente articolo non rileva il servizio prestato negli uffici di diretta collaborazione di cui all’articolo 14del decreto legislativo n. 165 del 2001 o degli organi politici delle regioni, secondo i rispettivi ordinamenti, né quello prestato in virtù di contratti di cui agli articoli 90 e 110 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267.
  6. Le amministrazioni possono prorogare i corrispondenti rapporti di lavoro flessibile con i soggetti che partecipano alle procedure di cui ai commi 1 e 2, fino alla loro conclusione, nei limiti delle risorse disponibili ai sensi dell’articolo 9, comma 28, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122.
  7. Il presente articolo non si applica al reclutamento del personale docente, educativo e amministrativo, tecnico e ausiliario (ATA) presso le istituzioni scolastiche ed educative statali. Fino all’adozione del regolamento di cui all’articolo 2, comma 7, lettera e), della legge 21 dicembre 1999, n. 508, le disposizioni di cui al presente articolo non si applicano alle Istituzioni dell’alta formazione artistica, musicale e coreutica. I commi 5 e 6 del presente articolo non si applicano agli enti pubblici di ricerca di cui al decreto legislativo 25 novembre 2016, n. 218. Per i predetti enti pubblici di ricerca il comma 2 si applica anche ai titolari di assegni di ricerca in possesso dei requisiti ivi previsti. Il presente articolo non si applica altresì ai contratti di somministrazione di lavoro presso le pubbliche amministrazioni. 
  8. Per il personale dirigenziale e non dirigenziale del Servizio sanitario nazionale, continuano ad applicarsi le disposizioni di cui all’articolo 1, comma 543, della legge 28 dicembre 2015, n. 208, la cui efficacia è prorogata al 31 dicembre 2019 per l’indizione delle procedure concorsuali straordinarie, al 31 dicembre 2020 per la loro conclusione, e al 31 ottobre 2018 per la stipula di nuovi contratti di lavoro flessibile ai sensi dell’articolo 1, comma 542, della legge 28 dicembre 2015, n. 208
  9. Le disposizioni di cui ai commi 1 e 2 si applicano al personale, dirigenziale e no, di cui al comma 10, nonché al personale delle amministrazioni finanziate dal Fondo ordinario per gli enti e le istituzioni di ricerca, anche ove lo stesso abbia maturato il periodo di tre anni di lavoro negli ultimi otto anni rispettivamente presso diverse amministrazioni del Servizio sanitario nazionale o presso diversi enti e istituzioni di ricerca. 7

11-bis. Allo scopo di fronteggiare la grave carenza di personale e superare il precariato, nonché per garantire la continuità nell’erogazione dei livelli essenziali di assistenza, per il personale medico, tecnico-professionale e infermieristico, dirigenziale e no, del Servizio sanitario nazionale, le disposizioni di cui ai commi 1 e 2 si applicano fino al 31 dicembre 2022. Ai fini del presente comma il termine per il conseguimento dei requisiti di cui al comma 1, lettera c), e al comma 2, lettera b), è stabilito alla data del 31 dicembre 2022, fatta salva l’anzianità di servizio già maturata sulla base delle disposizioni vigenti alla data di entrata in vigore del presente decreto.

  1. 12. Ai fini delle assunzioni di cui al comma 1, ha priorità il personale in servizio alla data di entrata in vigore del presente decreto.
  2. In caso di processi di riordino, soppressione o trasformazione di enti, con conseguente transito di personale, ai fini del possesso del requisito di cui ai commi 1, lettera c), e 2, lettera b), si considera anche il periodo maturato presso l’amministrazione di provenienza.
  3. Le assunzioni a tempo indeterminato disciplinate dall’articolo 1, commi 209211212, della legge 27 dicembre 2013, n. 147sono consentite anche nel triennio 2018-2020. Per le finalità di cui al presente comma le amministrazioni interessate possono utilizzare, altresì, le risorse di cui ai commi 3 e 4 o previste da leggi regionali, nel rispetto delle modalità, dei limiti e dei criteri previsti nei commi citati. Ai fini delle disposizioni di cui all’articolo 1, commi 557 e 562, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, gli enti territoriali calcolano la propria spesa di personale al netto dell’eventuale cofinanziamento erogato dallo Stato e dalle regioni. Le amministrazioni interessate possono applicare la proroga degli eventuali contratti a tempo determinato secondo le modalità previste dall’ultimo periodo del comma 4”.

Trattasi quindi di procedure agevolate di assunzione riservate a chi abbia lavorato per almeno un triennio anche non continuativo anche non continuativo nell’ambito degli ultimi otto anni con contratto a termine ed in questo caso l’ammissione in servizio è diretta, oppure abbia lavorato con altro contratto flessibile di almeno tre anni anche non continuativi negli ultimi otto. In questo caso l’assunzione avviene invece tramite concorso con la riserva del 50% dei posti.

Il settore della sanità dopo il COVID-19

Per quanto riguarda il settore della sanità, la previsione di legge attuale è data, anche in riferimento all’emergenza da COVID-19, dalla legge di bilancio 30.12.2021 n.234, articolo 1, comma 268.

Vi si legge:

“Al fine di rafforzare strutturalmente i servizi sanitari regionali anche per il recupero delle liste d’attesa e di consentire la valorizzazione della professionalità acquisita dal personale che ha prestato servizio anche durante l’emergenza da COVID-19, gli enti del Servizio sanitario nazionale, nei limiti di spesa consentiti per il personale degli enti medesimi dall’articolo 11, comma 1, del decreto-legge 30 aprile 2019, n. 35, convertito, con modificazioni, dalla legge 25 giugno 2019, n. 60, come modificato dal comma 269 del presente articolo:

  1. a) verificata l’impossibilità di utilizzare personale già in servizio, nonché di ricorrere agli idonei collocati in graduatorie concorsuali in vigore, possono avvalersi, anche per gli anni 2022 e 2023, delle misure previste dagli articoli 2-bis, limitatamente ai medici specializzandi di cui al comma 1, lettera a), del medesimo articolo, e 2-ter, commi 1 e 5, del decreto-legge 17 marzo 2020, n. 18, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 aprile 2020, n. 27, anche mediante proroga, non oltre il 31 dicembre 2023, degli incarichi conferiti ai sensi delle medesime disposizioni;58
  2. b) ferma restando l’applicazione dell’articolo 20 del decreto legislativo 25 maggio 2017, n. 75, dal 1° luglio 2022 e fino al 31 dicembre 2024 possono assumere a tempo indeterminato, in coerenza con il piano triennale dei fabbisogni di personale, il personale del ruolo sanitario e del ruolo sociosanitario, anche qualora non più in servizio, che siano stati reclutati a tempo determinato con procedure concorsuali, ivi incluse le selezioni di cui all’articolo 2-ter del decreto-legge 17 marzo 2020, n. 18, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 aprile 2020, n. 27, e che abbiano maturato al 31 dicembre 2023 alle dipendenze di un ente del Servizio sanitario nazionale almeno diciotto mesi di servizio, anche non continuativi, di cui almeno sei mesi nel periodo intercorrente tra il 31 gennaio 2020 e il 31 dicembre 2022, secondo criteri di priorità definiti da ciascuna regione. Alle iniziative di stabilizzazione del personale assunto mediante procedure diverse da quelle sopra indicate si provvede previo espletamento di prove selettive;5759
  3. c) possono, anche al fine di reinternalizzare i servizi appaltati ed evitare differenze retributive a parità di prestazioni lavorative, in coerenza con il piano triennale dei fabbisogni di personale, avviare procedure selettive per il reclutamento del personale da impiegare per l’assolvimento delle funzioni reinternalizzate, prevedendo la valorizzazione, anche attraverso una riserva di posti non superiore al 50 per cento di quelli disponibili, del personale impiegato in mansioni sanitarie e socio-sanitarie corrispondenti nelle attività dei servizi esternalizzati che abbia garantito assistenza ai pazienti in tutto il periodo compreso tra il 31 gennaio 2020 e il 31 dicembre 2021 e con almeno tre anni di servizio”.

Si tratta nel caso di specie di ipotesi specifica subordinata ai requisiti di cui sopra cui si aggiunge il requisito, nell’ambito dei 18 mesi, di almeno sei mesi di servizio svolto tra il 31 gennaio 2020 e il 31 dicembre 2022.

Oltre alle ipotesi di precariato svolto mediante contratti a termine, si consente l’assunzione per il tramite di concorso per coloro che abbiano lavorato con altri contratti flessibili.

Possono inoltre essere avviati appositi concorsi per riassorbire nella misura del 50% coloro che abbiano lavorato nell’ambito di servizi appaltati dalla sanità pubblica a soggetti esterni.

La regolamentazione ad hoc – Conferenza Stato Regioni

Trattandosi di rapporti di lavoro nell’ambito delle Aziende Sanitarie che fanno capo alle Regioni, la materia oltre che ad essere disciplinata dalla normativa nazionale in tema di pubblico impiego, trova le proprie regole di dettaglio nel documento emesso in data 10.5.2023 dalla Conferenza Stato Regioni in merito all’applicazione della disciplina in materia di stabilizzazione del personale del Servizio Sanitario Nazionale.

Il documento prevede la possibilità di assumere direttamente o previo esperimento di prova selettiva o utilizzando graduatorie di contratti a termine.

Ciò significa che chi ha maturato i 18 mesi nell’ambito di contratti a termine, potrà accedere direttamente all’impiego per il tramite della stabilizzazione.

Diversamente chi ha operato con contratto di lavoro autonomo o con altre forme di lavoro flessibile dovrà partecipare ad una procedura concorsuale.

Non può essere destinatario della stabilizzazione chi ha lavorato con contratto di somministrazione (tramite agenzia).

Resta sempre applicabile l’articolo 35 del DLGS 165/2001 che impone il limite delle assunzioni per gli enti pubblici dall’esterno nella misura del 50% delle risorse complessivamente programmate per l’assunzione di personale in conformità al piano triennale dei fabbisogni inserito nel PIAO (documento di programmazione delle assunzioni).

In concreto, chi desidera fruire delle stabilizzazioni deve verificare:

  1. calcolare il periodo di lavoro svolto con contratto precario;
  2. verificare la tipologia di rapporto: deve essere contratto a termine o altra forma di precariato, no somministrazione;
  3. verificare presso l’amministrazione di destinazione se hanno in programma assunzioni per il tramite della stabilizzazione;
  4. se assunti già a termine – possibilità di assunzione diretta
  5. se altre forme di precariato, necessita il concorso.

avv. Fabio Petracci

Le tutele previste per il lavoratore in caso di patto di prova nullo

Il recesso intimato in assenza di valido patto di prova equivale ad un ordinario licenziamento, assoggettato – nel regime introdotto dal Jobs Act – alla regola generale della tutela indennitaria: così afferma la sentenza n. 20239 del 14.07.2023 della Suprema Corte di Cassazione.

Nel dettaglio, nel caso affrontato una dipendente impugnava giudizialmente il licenziamento irrogatole per mancato superamento del patto di prova.

Sul piano delle conseguenze connesse al licenziamento ad nutum intimato dal datore di lavoro in relazione ad un patto di prova nullo, è stato chiarito che la trasformazione dell’assunzione in definitiva comporta il venir meno del regime di libera recedibilità sancito dall’art. 1 l. n. 604 del 1966.

In presenza di un patto di prova invalido la cessazione unilaterale del rapporto di lavoro per mancato superamento della prova è inidonea a costituire giusta causa o giustificato motivo di licenziamento e non si sottrae alla relativa disciplina limitativa dettata dalla legge n. 604 del 1966; il recesso del datore di lavoro equivale, quindi, ad un ordinario licenziamento soggetto alla verifica giudiziale della sussistenza o meno della giusta causa o del giustificato motivo.

Per costante enunciato del giudice di legittimità, infatti, il licenziamento intimato per asserito esito negativo della prova, sull’erroneo presupposto della validità della relativa clausola o in forza di errata supposizione della persistenza del periodo di prova (venuto invece a scadenza), si configura come licenziamento individuale non distinguibile da ogni altro licenziamento della stessa natura e regolato – ove intimato a carico di lavoratore fruente della tutela della stabilità del posto – dalla disciplina comune per quel che attiene ai requisiti di efficacia e di legittimità e soggetto alla verifica giudiziale della sussistenza, o meno, della giusta causa o del giustificato motivo (Cass. n. 16214 del 2016, Cass. n. 7921 del 2016, Cass. n. 21506 del 2008, Cass. n. 17045 del 2005, Cass. n. 2728 del 1994).

In base a tale ricostruzione, il potere esercitato dal datore di lavoro non risulta radicalmente insussistente ma è soggetto alle limitazioni connesse al principio di causalità e tipicità del licenziamento, non venendo in rilievo l’an ma solo il quomodo del relativo esercizio.

Scelta del CCNL e poteri dell’Ispettorato del lavoro

Il T.A.R. della Lombardia, con sentenza n. 2046 del 4 settembre 2023, ha accolto il ricorso di un datore di lavoro ispezionato e sanzionato in merito al CCNL applicabile in azienda.

Il CCNL da applicare in azienda rientra nella sfera di esclusiva competenza del singolo datore di lavoro e, pertanto gli Ispettori del Lavoro potranno imporre di applicare un diverso contratto – in sostituzione del CCNL prescelto – soltanto se vi sono clausole contrarie alla legge oppure riferibili ad un settore economico differente da quello in cui opera l’impresa oppure qualora questo non rispetti il contenuto previsto dalle norme vigenti in materia di “minima” contribuzione previdenziale ed assicurativa.

Dunque, l’Ispettorato del Lavoro non può imporre un diverso CCNL, tramite un provvedimento amministrativo semplicemente teso a migliorare il profilo retributivo dei lavoratori dipendenti.

Nel caso di specie una società cooperativa applicava coerentemente un CCNL specifico per i lavoratori dipendenti del comparto della vigilanza privata e dei servizi fiduciari il quale è stato sottoscritto da sindacati comparativamente più rappresentativi sul piano nazionale.

L’Ispettorato del Lavoro di Como-Lecco applicava all’impresa cooperativa in questione un provvedimento di disposizione ex art. 14 del D.Lgs. n. 124/2004 – rifacendosi all’articolo 36 della Costituzione che sancisce una retribuzione dignitosa per i lavoratori dipendenti – tramite cui si obbligava il datore di lavoro ad adottare un diverso CCNL, precisamente uno specifico per i Multiservizi, che prevede trattamenti economici superiori con il conseguenziale obbligo di corrispondere le differenze retributive, relative agli arretrati, calcolate in base alle tabelle del CCNL Multiservizi.

La citata pronuncia del TAR annulla il provvedimento di disposizione dell’ITL e si rifà esplicitamente all’artico 7, comma 4°, del D.L. n. 248/2007 che è stato convertito con la Legge n. 31/2008 il quale sancisce che il trattamento economico complessivo minimo da garantire ai lavoratori è quello stabilito dal CCNL del settore comparativamente più rappresentativo sul piano nazionale in quanto – oltre ad essere ritenuto come l’unica fonte idonea ad assicurare la proporzionalità e la sufficienza della retribuzione richiesta dall’articolo 36 della Costituzione – è considerato allo stesso tempo anche come l’unico parametro di riferimento esterno con cui comparare nel complesso la parte economica e la parte normativa previste dal CCNL liberamente scelto dall’impresa in maniera tale da garantire la libertà sindacale, anch’essa tutelata a livello costituzionale.

Quando il dipendente pubblico diviene assolutamente e permanentemente inabile al lavoro

Normalmente nell’ambito del rapporto di lavoro regolato dalla disciplina del Codice civile, l’impossibilità della prestazione determina la risoluzione del rapporto di lavoro per giustificato motivo oggettivo.

Nell’ambito del pubblico impiego, ormai disciplinato per la gran parte dalle ordinarie leggi del lavoro, l’impossibilità assoluta alla prestazione comporta analoga conseguenza.

La peculiarità dell’impiego pubblico e le regole di stabilità che lo contraddistinguono comportano però un assetto maggiormente complesso del provvedimento.

La previsione di legge specifica è individuata nell’articolo 55-octies del DLGS 165/2001 testo unico del Pubblico Impiego.

La normativa vigente

L’articolo 55-octies del DLGS 165/2001 stabilisce alcune norme basilari, affermando come l’accertata e permanente inidoneità permanente al servizio consente all’amministrazione la risoluzione del rapporto.

Procedura ed effetti però sono disciplinati dal D.P.R. 27-7-2011 n. 171- Regolamento di attuazione in materia di risoluzione del rapporto di lavoro dei dipendenti delle amministrazioni pubbliche dello Stato e degli enti pubblici nazionali in caso di permanente inidoneità psicofisica, a norma dell’articolo 55-octies del DLGS 165/2001.

L’articolo 2 del DPR fornisce la definizione dell’inidoneità psicofisica che viene a seconda degli effetti ad essere suddivisa in

  1. inidoneità psicofisica permanente assoluta lo stato di colui che a causa di infermità o difetto fisico o mentale si trovi nell’assoluta e permanente impossibilità di svolgere qualsiasi attività lavorativa;
  2. inidoneità psicofisica permanente relativa, lo stato di colui che a causa di infermità o difetto fisico o mentale si trovi nell’impossibilità permanente allo svolgimento di alcune o di tutte le mansioni dell’area, categoria o qualifica di inquadramento.

L’inidoneità, in questo caso, deve essere oggetto di una procedura di accertamento disciplinata dall’articolo 3 del citato DPR.

Chi e come si attiva la procedura

L’avvio della procedura di norma compete all’amministrazione, ma essa può essere avviata anche ad iniziativa del dipendente.

La pubblica amministrazione è tenuta ad attivare la procedura nei seguenti casi:

  1. assenza del dipendente per malattia, superato il primo periodo di conservazione del posto previsto nei contratti collettivi di riferimento;
  2. disturbi del comportamento gravi, evidenti e ripetuti, che fanno fondatamente presumere l’esistenza dell’inidoneità psichica permanente assoluta o relativa al servizio;
  3. condizioni fisiche che facciano presumere l’inidoneità fisica permanente assoluta o relativa al servizio.

La procedura di accertamento

L’articolo 4 prevede pure apposita procedura e stabilisce che:

  1. L’accertamento dell’inidoneità psicofisica è effettuato dagli organi medici competenti in base agli articoli 6, 9 e 15 del decreto del Presidente della Repubblica n. 461 del 2001;
  2. Gli organi medici possono avvalersi per specifici accertamenti, analisi o esami del Servizio sanitario nazionale.
  3. È previsto anche un accertamento preliminare in quanto, l’amministrazione, prima di concedere l’eventuale ulteriore periodo di assenza per malattia, dandone preventiva comunicazione all’interessato, procede all’accertamento delle condizioni di salute dello stesso, per il tramite dell’organo medico competente, al fine di stabilire la sussistenza di eventuali cause di permanente inidoneità psicofisica assoluta o relativa. Quindi, l’amministrazione può chiedere che il dipendente sia sottoposto a visita da parte dell’organo medico competente, al fine di verificare l’eventuale inidoneità relativa o assoluta, dandone immediata e contestuale comunicazione al dipendente interessato, ferma restando la possibilità di risoluzione del rapporto di lavoro in caso di superamento del periodo di comporto previsto dai contratti collettivi di riferimento.

Nel caso di accertamento di invalidità assoluta e permanente, l’Amministrazione procede alla risoluzione del rapporto con pagamento del preavviso.

La sospensione cautelare

Capita spesso che nelle more dell’accertamento, l’amministrazione non riesca ad utilizzare il dipendente senza rischi per i colleghi, l’utenza ed il dipendente stesso.

In questo caso, può essere disposta la sospensione cautelare del dipendente provvedimento che, non avendo carattere disciplinare – punitivo, ne comporta l’integrale retribuzione (articolo 6 D.P.R. 27-7-2011 n. 171).

I casi per procedere alla sospensione cautelare sono i seguenti:

  1. in presenza di evidenti comportamenti che fanno ragionevolmente presumere l’esistenza dell’inidoneità psichica, quando gli stessi generano pericolo per la sicurezza o per l’incolumità del dipendente interessato, degli altri dipendenti o dell’utenza, prima che sia sottoposto alla visita di idoneità;
  2. in presenza di condizioni fisiche che facciano presumere l’inidoneità fisica permanente assoluta o relativa al servizio, quando le stesse generano pericolo per la sicurezza o per l’incolumità del dipendente interessato, degli altri dipendenti o dell’utenza, prima che sia sottoposto alla visita di idoneità;
  3. in caso di mancata presentazione del dipendente alla visita di idoneità, in assenza di giustificato motivo.

Conservazione del posto e trattamento economico

Il DPR citato al successivo articolo 7 tratta del trattamento economico di fronte a queste situazioni.

Di fronte ad ipotesi di inabilità parziale, l’amministrazione prima di procedere al licenziamento deve cercare di applicare il dipendente a mansioni anche inferiori.

L’articolo 8 affronta proprio il caso delle conseguenze sul rapporto di lavoro dell’inidoneità permanente psicofisica al servizio.

In tal caso, l’amministrazione previa comunicazione all’interessato entro 30 giorni dal ricevimento del verbale di accertamento medico, risolve il rapporto di lavoro e corrisponde, se dovuta l’indennità sostitutiva del preavviso.

In tal caso, resta ferma la disciplina vigente in materia di trattamenti pensionistici per inabilità, ivi compresa quella recata dalla legge 8 agosto 1995, n. 335 e dal decreto del Presidente della Repubblica 29 dicembre 1973, n. 1092.

Rimane salvo quanto previsto dal decreto del Presidente della Repubblica n. 461 del 2001 e successive modificazioni, nonché dal decreto del Presidente della Repubblica n. 1124 del 1965 e del decreto legislativo n. 38 del 2000 in materia di infortuni sul lavoro.

Per pervenire alla dichiarazione di inabilità assoluta al lavoro, è prevista apposita procedura descritta dalla Circolare del Ministero della Difesa (le Commissioni sono quelle militari) con nota 1° ottobre 2020, prot. n. 56967 avente ad oggetto: assenze dal servizio per malattia – Procedura di verifica dell’idoneità al servizio del dipendente – Posizione di stato ricoperta dal dipendente per il periodo in cui resta in attesa della visita medica presso l’organo medico competente.

La procedura avviene in ogni caso per il tramite dei competenti organi di verifica sulla base degli articoli 6 – 9 del DPR 461/2001 che all’articolo 15 estende le procedure relative al riconoscimento della causa di servizio alle pratiche di inabilità.

Gli Organi Competenti per la valutazione sono la Commissione Medica Ospedaliera (C.M.O.), la Commissione Medica di Verifica (C.M.V.) e la Commissione Medica dell’Azienda sanitaria locale territorialmente competente ai sensi dell’art. 9 del D.P.R. n. 461/2001.

Il rapporto di lavoro durante la fase di accertamento

La durata degli accertamenti e talune pronunce interlocutorie come il ricorrere di responsi di inabilità assoluta e temporanea con successivo giudizio della locale commissione portano a dilatarsi i tempi di accertamento.

Si verificano così problematiche inerenti al rapporto di lavoro nel corso degli accertamenti.

Normalmente, il dipendente durante detti periodi può essere collocato in malattia ove però lo stesso sia coperto da valida certificazione che ne attesti l’inidoneità al lavoro.

Pertanto, in conseguenza delle modifiche introdotte dal D.P.R. n. 171/2011 citato , l’intervallo di tempo che intercorre tra il periodo di attesa della visita medica di idoneità al servizio e la pronuncia da parte della Commissione Medica competente (“periodo a disposizione della C. M”), non costituisce autonoma causa di sospensione del rapporto di lavoro, ma rientra – e trova adeguata regolamentazione – nella disposizione generale prevista dalla contrattazione collettiva in applicazione della quale il suddetto periodo può essere imputato giuridicamente ad assenza per malattia soltanto ed esclusivamente a condizione che sussista idonea certificazione sanitaria (certificato medico o verbale della C. M.) attestante la temporanea incapacità al lavoro del dipendente, con conseguente inserimento, in tal caso, dei relativi giorni nel computo della determinazione del periodo di comporto e delle decurtazioni economiche previste dalla contrattazione collettiva.

Al di fuori della suddetta ipotesi, e cioè in difetto di certificazione sanitaria attestante la temporanea incapacità al lavoro, il dipendente, per tutto il periodo di attesa della visita medica, deve considerarsi idoneo al servizio ed è, di conseguenza, tenuto a prestare attività lavorativa almeno sino al giudizio dell’organo sanitario competente, dal cui esito definitivo (idoneità, oppure temporanea inidoneità) dipende la posizione di stato in cui il dipendente sarà collocato per il successivo periodo, salvo sia giudicato permanentemente inidoneo in modo assoluto al servizio.

Durante l’assenza decorre il comporto

Ci si chiede se durante dette assenze decorra il periodo di comporto.

Secondo l’ARAN, interpellata sul punto, la risposta è positiva.

Tra i quesiti posti all’ARAN sul tema era chiesto se ai fini del beneficio dell’esclusione dal computo dei giorni di assenza per malattia nel periodo di comporto di cui alla contrattazione collettiva, fosse sufficiente che l’assenza fosse dovuta a gravi patologie.

Rispondeva l’ARAN che per l’applicazione dei benefici previsti dall’art. 47, comma 8, del CCNL del 17/05/2004, che prevede l’esclusione dal computo dei giorni di assenza per malattia ai fini del periodo di comporto e la retribuzione al 100%, era richiesta, oltre alla presenza di gravi patologie, la contestuale necessità di effettuazione di terapie salvavita: i due elementi, tra loro inscindibili, costituiscono, a giudizio dell’ARAN, il presupposto per l’applicazione della disciplina più favorevole.

Pertanto, ai fini della concessione del beneficio, deve risultare che il lavoratore sia affetto da grave patologia e che lo stesso debba sottoporsi alle relative terapie salvavita.

La disciplina dell’inabilità nel Comparto Scuola

Per quanto riguarda il comparto scuola dove, comunque vigono spesso normative specifiche, notiamo come la norma collettiva preveda che il dipendente assente per malattia ha diritto alla conservazione del posto per un periodo di diciotto mesi.

Allo scadere di tale termine il lavoratore, in casi di particolare gravità comprovati da idonea documentazione medica, può presentare al dirigente un’istanza finalizzata alla concessione di un ulteriore periodo di conservazione del posto, pari ad altri diciotto mesi, senza corresponsione di alcuna retribuzione.

A tale richiesta non corrisponde in capo al lavoratore alcun diritto soggettivo alla proroga del periodo di comporto. Al termine del primo periodo, nelle more dell’iniziativa datoriale finalizzata all’effettuazione della visita di idoneità, infatti, il dipendente è tenuto a presentarsi al lavoro una volta cessato lo stato di malattia

Il superamento dei periodi di conservazione del posto è, dunque, condizione sufficiente a legittimare il recesso (comma 4 del citato art. 17).

L’adozione del provvedimento di risoluzione rientra tra gli atti di gestione del rapporto di impiego ed è di competenza del dirigente scolastico il quale, al contemporaneo verificarsi dei presupposti previsti dalla legge e dalla contrattazione collettiva (ossia l’avvenuto superamento del periodo massimo di comporto e l’assenza di qualsivoglia richiesta di proroga da parte del lavoratore) provvederà a risolvere il contratto, previa diffida al lavoratore.

Nel caso in cui invece il dirigente scolastico sia intenzionato a concedere al dipendente gli ulteriori 18 mesi, lo stesso dovrà avviare, previo avviso all’interessato, la procedura per l’accertamento dell’idoneità psicofisica allo scopo di verificare se il lavoratore, allo scadere del secondo periodo di conservazione, sia effettivamente in grado di riassumere servizio per le mansioni precedenti alla malattia e tutelare così il suo stato di salute (comma 3).

In questo caso, qualora all’esito dell’accertamento il dipendente sia risultato permanentemente inidoneo al servizio, il dirigente procederà alla risoluzione del rapporto di lavoro e alla corresponsione dell’indennità sostitutiva del preavviso (art.8).

avv. Fabio Petracci

L’onere della prova del lavoratore con riferimento alla richiesta di risarcimento danni

La Suprema Corte di Cassazione, con sentenza n. 21682/2023, si è espressa su un caso di richiesta di risarcimento danni (patrimoniale, non patrimoniale biologico, esistenziale e morale) formulata da un lavoratore a seguito di asserite condotte mobbizzante subite.

L’istruttoria svolta nelle fasi di merito ha tuttavia fatto emergere il mancato raggiungimento della prova da parte del lavoratore circa la ricostruzione fattuale in ordine alla sussistenza di condotte datoriali di natura vessatoria e persecutoria continuative, con conseguente assorbimento delle questioni attinenti a sussistenza e quantificazione dei danni.

Del pari è stata esclusa (in quanto non adeguatamente provata) la sussistenza di un comportamento illecito datoriale in nesso di causa con il danno denunciato, sulla base del materiale probatorio complessivamente valutato.

Precisa la Cassazione che in tema di onere della prova in riferimento al diritto al risarcimento dei danni in favore del lavoratore per violazione degli obblighi del datore di lavoro di sicurezza e di protezione della salute del lavoratore di cui all’art. 2087 c.c., non si tratta di ipotesi di responsabilità oggettiva del datore di lavoro.

Invero, i rispettivi oneri di allegazione e prova sono articolati come segue: il lavoratore è tenuto ad allegare compiutamente lo svolgimento della prestazione secondo modalità nocive e a provare il nesso causale tra il lavoro svolto e il danno, mentre al datore di lavoro, in ragione del suo dovere di assicurare che l’attività lavorativa non risulti pregiudizievole per l’integrità fisica e la personalità morale del dipendente, spetta dimostrare che la prestazione si è, invece, svolta secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, con modalità normali, congrue e tollerabili (Cass. n. 34968/2022; cfr. anche Cass. n. 10992/2020, n. 14064/2019, n. 8911/2019, n. 24742/2018).

Appunto poiché l’art. 2087 c.c. non configura un’ipotesi di responsabilità oggettiva, in quanto la responsabilità del datore di lavoro va collegata alla violazione degli obblighi di comportamento imposti da norme di legge o suggeriti dalle conoscenze sperimentali o tecniche del momento, ne consegue che incombe al lavoratore che lamenti di avere subito, a causa dell’attività lavorativa svolta, un danno alla salute, l’onere di provare l’esistenza di tale danno, come pure la nocività dell’ambiente di lavoro, nonché il nesso tra l’uno e l’altro, e solo se il lavoratore abbia fornito la prova di tali circostanze sussiste per il datore di lavoro l’onere di provare di avere adottato tutte le cautele necessarie ad impedire il verificarsi del danno e che la malattia del dipendente non è ricollegabile alla inosservanza di tali obblighi.

Neppure la riconosciuta dipendenza delle malattie da una “causa di servizio” implica necessariamente, o può far presumere, che gli eventi dannosi siano derivati dalle condizioni di insicurezza dell’ambiente di lavoro, potendo essi dipendere piuttosto dalla qualità intrinsecamente usurante della ordinaria prestazione lavorativa e dal logoramento dell’organismo del dipendente esposto ad un lavoro impegnativo per un lasso di tempo più o meno lungo, restandosi così fuori dall’ambito dell’art. 2087 c.c., che riguarda una responsabilità contrattuale ancorata a criteri probabilistici e non solo possibilistici (così Cass. n. 2038/2013; cfr. anche Cass. n. 25151/2017).

Circolare n. 9/2023 del Ministero del Lavoro in materia di contratti a termine

Con la Circolare n. 9/2023 il Ministero del Lavoro fornisce alcuni chiarimenti in materia di contratti a termine a seguito dell’entrata in vigore del c.d. Decreto Lavoro (D.L. n.48/2023 come convertito e modificato dalla legge n.85/2023).

In particolare, a far data dal 5 maggio, se il contratto a termine ha una durata inferiore ai 12 mesi, può essere liberamente stipulato tra le parti.

Sono previste nuove condizioni da apporre ai contratti di durata superiore ai 12 mesi, riconducibili ai seguenti casi indicati dall’art. 19 del d.lgs. n. 81/2015:

  1. nei casi previsti dai contratti collettivi;
  2. in assenza di previsioni dei contratti collettivi e solo fino al 30 aprile 2024, per esigenze di natura tecnica, organizzativa o produttiva individuate dalle parti del contratto di lavoro;
  3. in sostituzione di altri lavoratori.

In merito alle facoltà concessa alle parti di individuare specifiche esigenze di “natura tecnica, organizzativa o produttiva individuate dalle parti ” fino al 30 aprile 2024, la Circolare chiarisce che la data indicata è da intendersi come riferita alla stipula del contratto di lavoro.

Viene inoltre chiarito che sono utilizzabili le causali introdotte, in epoca antecedente alla conversione del Decreto Lavoro, da qualsiasi livello di contrattazione collettiva, purché tali clausole non si limitino ad un mero rinvio alle fattispecie legali in precedenza tipizzate dal Decreto Dignità (d.l. n. 87/2018).

Altra rilevante precisione riguarda il c.d. azzeramento dei contratti stipulati prima del 5 maggio 2023: infatti, per il computo dei 12 mesi vanno considerati esclusivamente i contratti stipulati dal 5 maggio 2023 in poi.

A decorrere da tale data, fermo restando i limiti massimi di durata del contratto, i datori di lavoro potranno liberamente fare ricorso al contratto di lavoro a termine per un ulteriore periodo di dodici mesi, indipendentemente da eventuali rapporti già intercorsi con lo stesso lavoratore.

Infatti, come specifica la Circolare con un esempio “se successivamente al 5 maggio 2023 sia venuto a scadenza un contratto di lavoro a termine instaurato prima di tale data, lo stesso contratto, in virtù della disposizione entrata in vigore il 4 luglio 2023, potrà essere rinnovato o prorogato “liberamente” per ulteriori dodici mesi.

Diversamente, sempre a titolo di esempio, se nel periodo intercorrente tra il 5 maggio 2023 e il 4 luglio 2023 – data di entrata in vigore del comma 1-ter – le parti abbiano già rinnovato o prorogato un rapporto di lavoro a termine per sei mesi, le stesse avranno la possibilità di fare ricorso al contratto a termine per un ulteriore periodo non superiore a sei mesi “senza condizioni”.

È dunque al momento in cui è stato stipulato il contratto di lavoro – se anteriormente al 5 maggio 2023 o a decorrere da tale data – che deve farsi riferimento per l’applicazione di questa previsione”.