CASSAZIONE: Malattia e calcolo del comporto, le novità della giurisprudenza.

Il comporto non è uguale per tutti. Un periodo di comporto determinato astrattamente può determinare discriminazione indiretta nei confronti del disabile.

La recente ordinanza n.24052 del 6.9.2024 della Sezione Lavoro della Corte di Cassazione ha ritenuto come gli ordinari termini di comporto di cui alla contrattazione collettiva non sempre appaiano in grado di garantire il lavoratore portatore di handicap nei confronti di un trattamento di discriminazione indiretta.

Nel caso di lavoratore portatore di handicap, non è sufficiente infatti una determinazione astratta dell’assenza per determinarne l’idoneità a risolvere automaticamente il rapporto di lavoro, ma è necessaria una valutazione soggettiva dell’inabilità con l’applicazione degli accorgimenti ragionevoli prescritti dalla direttiva  2000/78/CE e dall’art. 3, comma 3-bis, d.lgs. n. 216 del 2006.

La pronuncia appare in linea con i recenti precedenti della Cassazione Corte secondo cui (Cass. n. 9095/2023), in tema di licenziamento, costituisce discriminazione indiretta l’applicazione dell’ordinario periodo di comporto al lavoratore disabile, perché la mancata considerazione dei rischi di maggiore morbilità dei lavoratori disabili, proprio in conseguenza della disabilità, trasmuta il criterio, apparentemente neutro, del computo del periodo di comporto breve in una prassi discriminatoria nei confronti del particolare gruppo sociale protetto in quanto in posizione di particolare svantaggio e secondo cui (Cass. n. 14316/2024) la conoscenza dello stato di disabilità del lavoratore – o la possibilità di conoscerlo secondo l’ordinaria diligenza – da parte del datore di lavoro fa sorgere l’onere datoriale – a cui non può corrispondere un comportamento ostruzionistico del lavoratore – di acquisire, prima di procedere al licenziamento, informazioni circa l’eventualità che le assenze per malattia del dipendente siano connesse allo stato di disabilità, al fine di individuare possibili accorgimenti ragionevoli imposti dall’art. 3, comma 3-bis, D.Lgs. n. 216 del 2003, la cui adozione presuppone l’interlocuzione ed il confronto tra le parti.

Ciò in pratica significa che nel valutare o fissare il periodo di assenza atto a determinare la risoluzione del rapporto di lavoro, si renderà necessario considerare la situazione di handicap e la sua idoneità a complicare la guarigione anche in relazione alla possibilità o meno di adottare degli accomodamenti ragionevoli.

Fabio Petracci