CASSAZIONE – Infortunio sul lavoro. Omissione di soccorso per mancato tempestivo intervento del datore di lavoro.
Commette omissione di soccorso il datore di lavoro che, verificatosi un infortunio di una certa gravità, non provvede tempestivamente al trasporto in ospedale dell’infortunato.
La Corte di Cassazione Sezione Penale conferma la pena inflitta ad un datore di lavoro che aveva omesso di prestare soccorso all’infortunato che aveva subito nell’ambito del cantiere un grave incidente.
Da quanto si desume dalla sentenza in esame, il datore di lavoro incriminato e condannato si era limitato a dare notizia dell’infortunio al committente.
In tal modo, l’infortunato rimaneva in attesa per oltre quaranta minuti prima di essere trasportato all’ospedale.
Secondo la Corte d’Appello che aveva emesso la condanna poi confermata dalla Corte di Cassazione, le modalità dell’infortunio e l’evidente sofferenza dell’infortunato, avrebbero dovuto consigliare il datore di lavoro ad attivarsi per l’immediato soccorso, realizzandosi così la fattispecie penale di cui all’articolo 593, comma 2 del codice penale.
Fabio Petracci
Di seguito la sentenza della Corte di Cassazione.
Cassazione Sezione Penale sentenza n.47322 del 14.12.2022
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUINTA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. ZAZA Carlo – Presidente –
Dott. DE GREGORIO Eduardo – Consigliere –
Dott. MICCOLI Grazia – Consigliere –
Dott. GUARDIANO Alfredo – Consigliere –
Dott. PISTORELLI Luca – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
A.A., nato a (Omissis);
avverso la sentenza del 23/03/2021 della CORTE APPELLO di TORINO;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere ALFREDO GUARDIANO;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore OLGA MIGNOLO che ha concluso chiedendo.
udito il difensore.
Svolgimento del processo – Motivi della decisione
- Con la sentenza di cui in epigrafe la corte di appello di Torino riformava parzialmente in favore dell’imputato, limitatamente alla dosimetria della pena, la sentenza con cui il tribunale di Cuneo, in data 7.1.2019, aveva condannato A.A. alla pena ritenuta di giustizia, in relazione al reato ex art. 593, comma 2, c.p., in rubrica ascrittog li.
In particolare al A.A. viene addebitato, in concorso con B.B., di avere omesso di prestare la necessaria assistenza alla persona offesa C.C., dipendente della ditta individuale del B.B., con la qualifica di muratore, vittima di un grave incidente nel cantiere allestito presso la sede della ditta committente dei lavori, il “Caseificio A.A. Srl “, di cui il ricorrente era il legale rappresentante, e di dare immediato avviso alla competente autorità di quanto era accaduto.
Il C.C., infatti, mentre era intento con altri lavoratori a sostituire il manto di copertura di un fabbricato, posto a circa 2,9 metri di altezza, era caduto nel locale sottostante, attraverso una botola non adeguatamente protetta o segnalata, riportando le lesioni personali gravi indicate nel capo n. 3) dell’imputazione.
Secondo l’impianto accusatorio, fatto proprio dai giudici di merito, il A.A., invece di prestare immediato soccorso al lavoratore infortunato, aveva informato innanzitutto il B.B., assente dal cantiere nel momento del verificarsi del sinistro, attendendo per circa quaranta minuti l’arrivo di quest’ultimo, senza allertare le autorità sanitarie, limitandosi a caricare il C.C. sul furgone della ditta, con cui, poi l’infortunato, una volta giunto in loco il B.B., sarebbe stato accompagnato presso l’ospedale di (Omissis).
Ad avviso della corte territoriale, le modalità della caduta, tenuto conto dell’altezza di circa tre metri da cui la vittima era precipitata, e l’evidente sofferenza della persona offesa, che, quando il A.A. era intervenuto, si trovava ancora per terra, sia pure appoggiato a un muro, attorniato dagli altri operai, “erano palesemente tali da destare preoccupazione e giustificare da parte del A.A. la richiesta di immediato soccorso da parte delle Autorità Sanitarie o, al più, l’effettuazione di un immediato trasporto al vicino nosocomio, senza indugiare nell’attesa del datore di lavoro” (cfr. pp.11-13 della sentenza oggetto di ricorso).
- Avverso la sentenza della corte di appello, di cui chiede l’annullamento, ha proposto ricorso per cassazione l’imputato, lamentando 1) vizio di motivazione, in quanto, premesso che il reato di cui all’art. 593, c.p., non si configura come un reato proprio, la corte territoriale ha omesso di indicare le ragioni, per cui, accertata la presenza di una serie di soggetti diversi dal A.A. nel momento del verificarsi dell’incidente di cui fu vittima la persona offesa, solo quest’ultimo sia stato ritenuto, in qualità di committente dei lavori, l’unico responsabile del dovere di prestare assistenza, la cui violazione integra il reato di cui all’art. 593, c.p.; 2) manifesta illogicità della motivazione, in quanto la corte territoriale ha desunto la sussistenza dell’elemento soggettivo del reato di cui si discute, che si atteggia in termini di dolo, secondo un ragionamento deduttivo, incentrato sulla natura delle lesioni, emersa solo ex post, grazie all’accertamento operato dal consulente tecnico del pubblico ministero, tipico della ricostruzione dell’elemento soggettivo nei reati colposi, omettendo di considerare che risponde dell’omissione solo chi voglia non compiere un’azione che sa di dover compiere.
- Con requisitoria scritta del 29.7.2022, depositata sulla base della previsione del D.L. 28 ottobre 2020, n. 137, art. 23, comma 8, il Procuratore generale della Repubblica presso la Corte di Cassazione, chiede che il ricorso venga dichiarato inammissibile.
Con conclusioni scritte del 13.9.202, pervenute a mezzo di posta elettronica certificata, il difensore di fiducia dell’imputato, avv. Giuseppe Sandri, insiste per l’accoglimento del ricorso.
- Il ricorso va dichiarato inammissibile.
4.1. Con particolare riferimento al primo motivo di ricorso non può non rilevarsene la manifesta infondatezza, posto che la presenza di più persone, diverse dall’imputato, quando si verificò il sinistro di cui si discute e nei momenti immediatamente successivi a esso, non esonera da responsabilità il A.A..
Come è noto l’art. 593, c.p., che disciplina la fattispecie di omissione di soccorso, recita testualmente: “Chiunque, trovando abbandonato o smarrito un fanciullo minore degli anni dieci, o un’altra persona incapace di provvedere a se stessa, per malattia di mente o di corpo, per vecchiaia o per altra causa, omette di darne immediato avviso all’Autorità è punito con la reclusione fino a un anno o con la multa fino a duemilacinquecento Euro.
Alla stessa pena soggiace chi, trovando un corpo umano che sia o sembri inanimato, ovvero una persona ferita o altrimenti in pericolo, omette di prestare l’assistenza occorrente o di darne immediato avviso all’Autorità. Se da siffatta condotta del colpevole deriva una lesione personale, la pena è aumentata; se ne deriva la morte, la pena è raddoppiata”.
Orbene, il reato di cui all’art. 593, c.p., sia nell’ipotesi di cui al comma 1, che in quella di cui al comma 2 (contestata al A.A.), non si configura come reato proprio, non richiedendo la fattispecie incriminatrice tra i suoi elementi costitutivi una particolare qualità personale del soggetto attivo, che può essere chiunque, anche se, come è stato fatto notare, posto che per la sussistenza del reato è necessario che sussista un contatto materiale, attraverso gli organi sensoriali, tra l’agente e la persona oggetto del ritrovamento (cfr. Sez. 5, n. 20480 del 15/03/2002, Rv. 221916), sarebbe opportuno qualificare il reato come proprio, in ragione del rapporto materiale che deve necessariamente legare l’autore con il soggetto passivo.
Proprio la particolare natura del reato di cui si discute, comporta che, in presenza di una persona in stato di presunto o accertato pericolo, l’obbligo di assistenza diretta o indiretta imposto dalla norma, in cui si concretizza, come sottolineato da autorevole dottrina, l’adempimento sul terreno penalistico dei doveri inderogabili di solidarietà sociale di cui all’art. 2, Cost., incombe su tutti coloro che entrano in contatto con il soggetto bisognoso di assistenza, indipendentemente dalla qualità dei soggetti obbligati.
Come affermato dalla giurisprudenza di legittimità con orientamento risalente nel tempo, ma non formante oggetto di rivisitazione critica nel corso degli anni, in tema di omissione di soccorso, il termine “trovare” deve intendersi nel senso di “imbattersi”, “venire in presenza di”, e implica un contatto materiale diretto, attraverso gli organi sensoriali, con l’oggetto del ritrovamento. Non importa perciò la distanza fra l’agente e il soccorrendo, purchè essa sia tale che il primo possa percepire lo stato di pericolo in cui versa il secondo, cosi come pure è irrilevante la presenza in loco dell’agente prima che il pericolo sorga, non potendo escludersi l’obbligo del soccorso sol perchè il contatto sensoriale fra agente e soccorrendo si verifica non a causa di una condotta posta in essere dal primo ma a causa di una condotta dello stesso soccorrendo o di terzi (cfr. Sez. 5, n. 6339 del 31/01/1978, Rv. 139066).
Del pari da tempo la giurisprudenza di legittimità ha evidenziato come il reato di omissione di soccorso posto a carico di un soggetto, non può venir meno in caso di possibile intervento di terze persone (cfr. Sez. 6, n. 11148 del 04/03/1988, Rv. 179741).
In altri termini l’affermazione della responsabilità del A.A. trova la sua giustificazione nella violazione del dovere di assistenza previsto dall’art. 593, comma 2, c.p., che, pur in presenza di altre persone del pari astrattamente destinatarie del medesimo dovere, comunque incombeva su di lui, non in qualità di committente dei lavori o di datore di lavoro della persona offesa, ma di soggetto entrato in contatto diretto con la persona pericolante, vale a dire bisognosa di assistenza, dopo il verificarsi del sinistro, in ragione delle conseguenze riportate a causa della caduta da un’altezza di circa tre metri.
Tale dovere egli ha violato, quanto meno non avvisando immediatamente, cioè senza alcuna dilazione non indispensabile, le autorità sanitarie e di polizia (cfr. Sez. 5, n. 3397 del 14/12/2004, Rv. 231409) dell’incidente verificatosi presso la sede del suo caseificio, attendendo, piuttosto, l’arrivo del B.B., senza che ve ne fosse ragione ai fini del soccorso, per accompagnare il C.C. presso il nosocomio di (Omissis).
4.2. Manifestamente infondato e generico appare il secondo motivo di ricorso, con il quale, in definitiva, il ricorrente reitera acriticamente le doglianze rappresentate nell’atto di appello in ordine alla ritenuta sussistenza dell’elemento soggettivo del reato di cui di discute, che si atteggia in termini di dolo generico (integrato dalla consapevolezza della necessità del soccorso e dell’omissione: cfr. Sez. 5, n. 4003 del 14/12/1977, Rv. 138535, nonchè Sez. 5, n. 13310 del 14/02/2013, Rv. 254983), senza confrontarsi con la motivazione della sentenza della corte di appello.
Al riguardo si osserva come, secondo un condivisibile arresto della giurisprudenza di questa Corte, in tema di omissione di soccorso, lo stato di pericolo è elemento costitutivo delle diverse ipotesi di reato previste nel primo e comma 2 dell’art. 593, c.p., e in quest’ultima fattispecie – a differenza della prima nella quale il pericolo è “presunto” in presenza delle situazioni descritte – lo stato di pericolo deve essere accertato, in base agli elementi che caratterizzano il reato, con valutazione “ex ante” e non “ex post” (cfr. Sez. 4, n. 36608 del 19/09/2006, Rv. 235424).
Orbene la corte territoriale ha fatto buon governo di tale principio, evidenziando che proprio le modalità dell’incidente e la condizione di oggettiva sofferenza dell’infortunato immediatamente percepibili e percepite dall’imputato quando entrò in contatto diretto con il C.C., consentivano al ricorrente di avere piena consapevolezza dell’esistenza di una condizione di pericolo quanto meno per l’integrità fisica dell’infortunato, che richiedeva un soccorso immediato attraverso la subitanea allerta delle competenti autorità sanitarie, per cui l’omesso adempimento del dovere di soccorso correttamente è stato ritenuto frutto di una consapevole e volontaria scelta del A.A., sulle cui motivazioni, inoltre, la corte territoriale si sofferma specificamente (cfr. pp. 13-14).
In questa prospettiva gli esiti della consulenza tecnica disposta dal pubblico ministero sulla natura e gravità delle lesioni patite dalla persona offesa non integrano una valutazione “ex post” della situazione di pericolo, ma solo un ulteriore approfondimento degli esiti dell’incidente, foriero di un evidente pericolo per il C.C. già nel momento del suo verificarsi.
- Alla dichiarazione di inammissibilità, segue la condanna del ricorrente, ai sensi dell’art. 616, c.p.p., al pagamento delle spese del procedimento e della somma di Euro 3000,00 a favore della Cassa delle Ammende, tenuto conto della circostanza che l’evidente inammissibilità dei motivi di impugnazione, non consente di ritenere quest’ultimo immune da colpa nella determinazione delle evidenziate ragioni di inammissibilità (cfr. Corte Costituzionale, n. 186 del 13.6.2000).
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.
Conclusione
Così deciso in Roma, il 21 settembre 2022.
Depositato in Cancelleria il 14 dicembre 2022