I Quadri nel Pubblico Impiego. Un’occasione mancata ma non persa…
a. Breve cronistoria.
Con il DLGS 165/2001 il rapporto di lavoro del personale delle pubbliche amministrazioni è per la gran parte ricondotto alle regole del codice civile e della ordinaria normativa in tema di lavoro.
Si poneva da subito il problema della operatività in tale ambito dell’articolo 2095 dell’articolo 2095 del codice civile che suddivide i lavoratori nelle categorie dei dirigenti, dei quadri, degli impiegati e degli operai.
Il DLGS 165/2001 evidenziava invece esclusivamente la categoria dei dirigenti e quindi del restante personale non dirigenziale, pur sottolineando nell’allora articolo 40, comma 2 la presenza di spazi contrattuali per specifiche elevate professionalità. In particolare rilevava per questa organizzazione il tema dell’inquadramento delle professionalità medio – alte e quindi dei quadri.
b. La lunga strada del contenzioso.
Ne seguiva una lunga e fitta interlocuzione con la funzione pubblica. Erano quindi avviate numerose cause per il riconoscimento della categoria di quadro nell’ambito del comparto pubblico. Alcune sortivano esito positivo altre no.
Nel 2008, la Corte di Cassazione (Cassazione, Sezione lavoro, sentenza 6 marzo 2008 n. 6063) riteneva definitivamente che l’articolo 2095 del codice civile che prevede anche la categoria dei quadri non doveva trovare attuazione nell’ambito dell’impiego pubblico dove invece, a detta della Suprema Corte esistevano specifiche normative a tutela della professionalità
apicali. La Corte si riferiva all’articolo 40 comma 2 del DLGS 165/2001 che prevede nell’ambito della contrattazione collettiva apposita disciplina per le figure professionali che “che in posizione di elevata responsabilità svolgono compiti di direzione” e che, sempre in tale posizione, svolgono compiti che “comportano iscrizione ad albi oppure tecnicoscientifici
e di ricerca”. La Corte in sostanza riteneva questa una specifica disciplina di settore che impediva la trasposizione della categoria dei quadri dal codice civile alla disciplina del pubblico impiego. Va rilevato che ad oggi l’articolo 40 comma 2 del DLGS 165/2001 non ha trovato attuazione.
Particolare di rilievo, il Tribunale di Treviso, rinviava dapprima all’ARAN il contratto del comparto Ministeri laddove non contemplava la figura dei quadri, per verificare se le parti intendevano trovare una soluzione in merito. Ciò non solo non accadeva, ma ARAN e sindacati firmatari del Comparto Pubblico mandavano risposta al giudice escludendo tale soluzione.
Lo stesso magistrato riteneva il dover affidare la questione alle sole parti stipulanti, di rilevante incostituzionalità e quindi la questione era avviata alla Corte Costituzionale che però non la riteneva tale.
c. L’esperienza della Vice dirigenza mai attuata.
Di seguito anche grazie alle numerose insistenze dell’Organizzazione, la legge 145 /2002 (Legge Frattini) istituiva mediante l’articolo 17 bis la vice dirigenza la cui attuazione era poi affidata alla contrattazione collettiva di comparto.
Un tanto non avveniva e dopo alterne vicissitudini giudiziarie che vedevano anche l’intervento della Corte Costituzionale, l’articolo 17 bis era abrogato. Di seguito minore era l’interesse della Associazione per l’argomento.
Attualmente è pendente un ricorso innanzi alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo.
Va ricordato inoltre che nel 2001, il Parlamento Europeo – Ufficio Petizioni, dopo l’audizione del sindacato DIRSTAT a Bruxelles aveva ritenuto il governo e il parlamento italiano inadempienti perché dopo la cosiddetta privatizzazione del pubblico impiego non aveva istituito un’area quadri per il personale ex direttivo relegandolo nei livelli funzionali.
Per quanto riguarda la legge di abrogazione della vice dirigenza, essa era intervenuta dopo che erano passate
in giudicato alcune pronunce che su diversi versanti ritenevano la sussistenza del diritto.
Si riteneva in tal modo, che si fosse verificata un’indebita ingerenza del potere legislativo nell’ambito di una statuizione consolidata del potere giudiziario.
d. Prospettive
Con la legge 124/2015, erano poste le basi per la riforma della dirigenza (legge Madia). Non seguiva però nei tempi debiti la legge di attuazione e quindi ad oggi, la riforma è ancora in totale attesa di attuazione. Va notato come la legge delega 124/2015 non accenni né alla vice dirigenza, né all’introduzione della categoria dei quadri.
Un aspetto interessante è dato invece dalla riduzione del numero dei dirigenti e dalla prevista istituzione del ruolo unico della dirigenza.
Si potrebbe porre l’opportunità di seguire una nuova strada.
Fondamentalmente, l’istituzione della vice dirigenza è stata bollata come corporativa e costosa e quindi come un arretramento dell’organizzazione amministrativa. In realtà essa ha trovato una forte opposizione da parte del sindacato confederale (CISL in primis) che non ne ha permesso l’avvio.
Se questa ormai è storia, dobbiamo ora esaminare allo stato quali sono le possibilità di introdurre un’area dei quadri o della vice dirigenza nell’ambito del pubblico impiego percorrendo una nuova strada anche alla luce dei nuovi assetti che hanno interessato il settore.
Si propone innanzitutto di inserirsi nel solco della riforma della dirigenza che dovrà di seguito essere nuovamente avviata per sviluppare i temi della riduzione dei costi, della conseguente riduzione dei dirigenti e della costituzione di un ruolo unico che consenta alla Pubblica Amministrazione non solo di ridurre il numero dei dirigenti, ma di disporre anche di un nucleo di personale non dirigente, ma altamente qualificato cui attribuire compiti di sostituzione, di consulenza e di elevata specializzazione.
e. Partendo dalle criticità della legge abrogata.
L’introduzione della vice dirigenza avvenuta con la legge 145/2002 prevedeva una complessa architettura legale collegata alle categorie esistenti, alla delega di funzioni e ad un riconoscimento contrattuale.
Inoltre l’incarico del vice – dirigente presentava delle criticità in riferimento alle modalità di assegnazione degli incarichi al vice dirigente. Questa carenza costituiva un elemento di notevole e notata rigidità organizzativa. In tal modo infatti, i dipendenti assurti alla qualifica di vice – dirigente acquisivano una posizione sostanzialmente irremovibile con una totale
coincidenza tra rapporto di servizio e rapporto organico. In sostanza, i vice dirigenti avrebbero un incarico fisso a differenza dai dirigenti, soggetti, invece, alle valutazioni ed a possibili modifiche degli incarichi dirigenziali.
La sostanziale inamovibilità dall’incarico avrebbe potuto dar luogo ad un effetto perverso nella dinamica del rapporto tra gli organi di governo e la dirigenza, dove quest’ultima presentava un elemento di debolezza costituito dalla potestà di nomina e revoca da parte degli organi di governo a fronte di una sostanziale inamovibilità dei sottoposti vice dirigenti, mettendo così in pericolo il principio di separazione delle funzioni dirigenziali da quelle politiche, conferendo una maggior forza ai cosiddetti funzionari rispetto alla dirigenza.
Inoltre l’accesso alla vice dirigenza previsto dalla legge 145/2002 era pressochè automatico per i livelli più elevati dell’area C con adeguato titolo di studio. Mancava in effetti, una procedura selettiva nei confronti di un’area apicale C abbastanza generalizzata ed inflazionata e nessun criterio di valutazione per l’attribuzione dell’incarico.
Per contro, il sistema oggi vigente delle posizioni organizzative è tutto incentrato sul conferimento di un incarico nella quasi totale discrezionalità della pubblica amministrazione e sull’inesistenza di una base di dipendenti titolari di un diritto ad essere selezionati.
Si poneva così, almeno per i più critici, come una nuova forma di irrigidimento delle strutture dell’impiego pubblico, cui si preferirono le posizioni organizzative che da una parte salvaguardavano l’uniformità dell’inquadramento del personale non dirigenziale e dall’altra garantivano alle amministrazioni una notevole discrezionalità. Essa inoltre era particolarmente invisa ai sindacati tradizionali, in quanto prevedeva la creazione di una specifica e separata area anche contrattuale della vice dirigenza che avrebbe fatto di quadri e vice dirigenti e quindi delle specifiche organizzazioni di categoria dei soggetti della contrattazione collettiva.
f. L’emergere di nuove e attuali esigenze
– Il caso delle Agenzie Fiscali
Sulla base di tali considerazioni, si sarebbe dovuto puntare alla costituzione di un’area quadri anche nel pubblico impiego cui poi conferire appositi incarichi e deleghe su valutazione dei dirigenti.
Fatte queste debite precisazioni, si riscontrano elementi del tutto oggettivi che rendono necessaria ed attuale la costituzione di questa area professionale.
Va ricordato che con sentenza del 25 febbraio 2015, la Corte Costituzionale censurava le Agenzie Fiscali che nella mancanza di quadri intermedi in grado di coprire determinate posizioni, aveva attribuito incarichi dirigenziali a propri funzionari pe assicurare la funzionalità operativa delle proprie strutture e l’attuazione delle misure di contrasto all’evasione.
Ne traeva lo spunto la finanziaria per il 2018 legge 27.12.2017 n.205 che prevedeva all’articolo 1, comma 93 la possibilità per le agenzie fiscali di istituire posizioni organizzative per lo svolgimento di incarichi di elevata professionalità o particolare specializzazione ivi compresa la responsabilità di uffici operativi di livello non dirigenziale nei limiti del risparmio di spesa conseguente alla riduzione di posizioni dirigenziali, conferendo dette posizioni a funzionari con almeno cinque anni di
esperienza nella terza area mediante una selezione interna in base alle conoscenze professionali ed alle capacità tecniche ed alle valutazioni conseguite negli anni precedenti, attribuendo agli stessi il potere di adottare atti amministrativi anche a rilevanza esterna con poteri di spesa e di organizzazione delle risorse umane, articolando dette posizioni in relazione ai poteri conferiti, favorendo quindi detto personale nell’accesso alla dirigenza tramite concorso facilitato.
La norma citata in maniera settoriale e non sempre chiara e coordinata istituisce di fatto una categoria molto affine alla vice dirigenza, attribuendo delle posizioni organizzative, termine che appartiene alla contrattazione collettiva e non alla legge, a determinati soggetti predeterminati con ampi poteri.
La norma così emanata rivela da un lato un indicibile elemento di confusione e di cattivo coordinamento con il testo unico del pubblico impiego e con la contrattazione collettiva, introducendo così anche elementi di dubbia costituzionalità.
Essa però appare come sintomatica della necessità di un’area professionale intermedia tra la dirigenza ed il resto del personale anche in considerazione di esigenze di risparmio.
Essa per quanto infelicemente formulata, potrebbe dare lo spunto per un ripensamento generale e di ampio respiro per l’introduzione definitiva della vice dirigenza nell’impiego pubblico in termini mutati rispetto alla disciplina abrogata.
– La riforma Madia nella parte non attuata.
Un ulteriore cenno va alla legge delega 124/2015 Riforma Madia nella parte concernente la dirigenza che però non ha trovato attuazione, essendo scaduti i termini per la decretazione.
L’articolo 11 della previsione di legge si occupa della dirigenza pubblica ed in particolare al punto c) dell’accesso alla dirigenza, stabilendo l’immissione dei vincitori del corso concorso in fase iniziale quali funzionari, senza tener conto che il testo unico sul pubblico impiego non prevede né tali figure né un loro equivalente, prevedendo inoltre per i dirigenti privi di incarico la possibilità di avanzare istanza per passare alla carriera di funzionario.
Non si tratta davvero di un semplice lapsus del legislatore, ma ancora una volta di una sensazione di necessità di un’area di quadri – vicedirigenti – funzionari.
– Il piano triennale dei fabbisogni del personale e l’emergere della professionalità.
Va ricordato ancora il recente DLGS 75/2017 che ha modificato l’articolo 6 del DLGS 165/2001 introducendo il piano triennale dei fabbisogni del personale consentendo alle pubbliche amministrazioni di superare il concetto obsoleto di organico intervenendo sull’assetto non solo quantitativo, ma anche e soprattutto qualitativo delle risorse, del livello di inquadramento e della loro specializzazione.
Si assiste quindi ad un rovesciamento del concetto numerico e qualitativo delle risorse che non dovrà essere più adeguato
esclusivamente alla pianta organica in essere, ma alle reali esigenze della struttura.
Questo primo riconoscimento alla qualità ed alla professionalità del personale ben può dar luogo all’introduzione di un’area di professionisti e specialisti nella pubblica amministrazione.